Geopolitica

di Octavian Haragos

Parlare nel 2022 della creazione di nuovi imperi sembra forse un può anacronistico, ma quando il progetto di un paese si basa su uno sguardo rivolto verso il passato piuttosto che verso il futuro, tutto diventa molto attuale e i paradigmi storici e politici con cui siamo abituati devono essere rivalutati. Fra i tanti dibattiti di questi giorni c’è anche quello se Vladimir Putin vuole rifare l’URSS oppure l’Impero russo degli zar. Quale è la differenza fra i due?

In generale un impero nasce non soltanto per la capacità militare di uno stato di conquistare nuovi territori, ma anche per la sua capacità di offrire ai nuovi sudditi modelli di vita più attraenti, culturali ed economici, nonché la garanzia di essere protetti davanti ad eventuali minace. Ovvio che nei suoi intenti lo stato candidato-impero incontrerà sempre la resistenza di una parte delle popolazioni che vuole conquistare, ma ci sarà sempre una parte, specialmente tra le élite, che ha già dei legami con la civiltà dello stato in questione e che funzionerà come tramite.

29-03-2022
Autore: Octavian Haragos
Giornalista

di Gaetano Fausto Esposito

Interdipendenza globale. Questa espressione indica le connessioni tra le diverse economie del mondo e spiega anche perché la guerra russo-ucraina può avere effetti pervasivi, soprattutto se si adottano rimedi non appropriati. Ne abbiamo avuto una prima dimostrazione con il Covid-19. Nella fase iniziale, quando si sono interrotte le forniture di componenti produttive dalla Cina, buona parte dell’industria mondiale è andata in crisi. Ma la Cina è da diversi anni il primo paese esportatore al mondo, quindi si spiega lo shock generato dall’interruzione delle forniture da Pechino. Russia e Ucraina invece contribuiscono in termini quantitativi ai processi di globalizzazione per valori molto modesti, complessivamente intorno al 2%.

Ma perché allora si sta generando tanto allarmismo a livello mondiale, al punto che le più recenti stime dell’OCSE sulla crescita internazionale prevedono una contrazione di un punto percentuale, accompagnato da un forte aumento dei prezzi al consumo intorno a 2,5 punti percentuali? Le due crisi, quella da Covid e quella russo-ucraina, sono molto diverse. La crisi Covid è stata contemporaneamente una crisi di offerta, dovuta alla contrazione della fornitura di componenti, e una crisi da domanda, indotta dalla contrazione dei redditi delle famiglie e quindi dei consumi.

21-03-2022
Autore: Gaetano Fausto Esposito
Direttore Generale Centro Studi Guglielmo Tagliacarne

di Carlo Bellinzona e Lucio Martino

Dal 24 febbraio, inizio della cosiddetta “operazione militare speciale” lanciata dalla Federazione Russa, abbiamo cercato di leggere nella sarabanda delle opposte propagande, le intenzioni e gli obiettivi dei combattenti, l’esito degli scontri e la possibile evoluzione del conflitto, confrontandoci sempre con una grande difficoltà di verifica degli eventi.

L’avvio dell’operazione militare speciale ha ricalcato il copione tipico degli interventi del dopo Guerra Fredda, caratterizzandosi per massiccio impiego iniziale di aerei da bombardamento in aggiunta ai missili tattici balistici e da crociera, il tutto volto all’annientamento delle infrastrutture di comando e controllo, delle basi aeree, degli aeroporti, delle fabbriche di armamenti e dei depositi di munizioni.

Con il passare delle ore non si è però delineata un’azione “lampo”, ma una progressione sistematica per controllare l’esteso territorio ucraino e impedire nel contempo ogni eventuale contrattacco. In altri termini, la Federazione Russa si è impegnata nell’invasione dell’intera Ucraina. 

Le forze russe si sono mosse lungo quattro direttrici: due provenienti dalla Bielorussia, dove sembrano riunite le forze più robuste e meglio addestrate, in direzione Sud e Sud-Est. La prima ha avanzato direttamente verso Kiev. La seconda, con il precipuo compito di tagliare trasversalmente l’Ucraina, ha rinforzato la gravitazione contro la capitale, puntando poi alle aree meridionali circostanti Poltava e Dnipopretrowk.

09-03-2022
Autore: Carlo Bellinzona
Autore: Lucio Martino

di Damorpal

In questi giorni drammatici, molti hanno riscoperto la storia, e le analogie tra il 1939 e il 2022, tra Danzica e Donetz; ma mentre una maggioranza schiacciante dei media sostiene la causa ucraina, in molti settori della sinistra europea si accusano i paesi dell’Occidente: poiché abbiamo voluto ad ogni costo l’estensione della NATO e della UE all’Est, e perché non si sono ascoltate le richieste di Putin, in un certo senso saremmo noi, di questa guerra, i veri colpevoli. Quando Hitler invase la Polonia e scatenò la Seconda Guerra Mondiale, pochi erano interessati a studiare le cause remote della sua ascesa; fu questo, poi, un compito degli storici, e oggi sono chiare le colpe della Francia e dell’Inghilterra (e del trattato di Versailles) nel sorgere del fascismo e del revanscismo in Germania e in Italia; studi recenti sottolineano anche l’ossessione dei due dittatori per le colonie, che all’uno erano state negate, e all’altro sottratte, in favore di Londra e di Parigi. La brutalità dei sistemi nazisti non lasciava comunque, nel 1939, altra scelta se non di difendersi.

Oggi in teoria questa scelta c’è, ed è apparentemente in favore degli Ucraini, anche se alcuni argomenti che ricorrono sui media vanno respinti: tra cui quello che, se non intervenissimo,  commetteremmo lo stesso errore di Monaco; e che quindi le sanzioni contro Mosca devono essere estreme, comprese le più sofisticate forniture di armi. La differenza è che l’annessione dalla Crimea e del Donbass, e la richiesta di neutralizzare l’Ucraina hanno poco a che vedere con i piani di Hitler, che  nel 1938 aveva già in mente di conquistare il resto d’Europa; e anche che la Russia è una potenza nucleare, e una guerra contro di lei – almeno finché Putin è vivo – potrebbe causare, oltre a conseguenze economiche disastrose – e centinaia di migliaia di morti - addirittura il rischio della distruzione del mondo.

08-03-2022
Autore: Damorpal
Ex diplomatico e incaricato di corsi all’Università statale di Milano

di Paolo Balduzzi

Nel 1919, un giovane economista inglese, delegato del governo britannico alla Conferenza di Versailles, si faceva conoscere e notare nel mondo con un libro dal titolo molto evocativo: “Le conseguenze economiche della pace”. Lo scrittore si chiamava John Maynard Keynes e in quell’opera aveva previsto, con drammatica precisione, che le umiliazioni economiche imposte alla Germania dopo la Prima guerra mondiale (oggi le chiameremmo “sanzioni”) avrebbero portato a un nuovo conflitto nel giro di un ventennio.

Sono passati esattamente cento anni e in Europa soffiano ancora venti di guerra. A differenza del 1919, tuttavia, ora il conflitto non è alla fine e, anzi, è appena iniziato. Finora la diplomazia sembra aver fallito: le nazioni europee stanno dunque introducendo sanzioni sempre più importanti con cui proveranno a indebolire il fronte russo.

04-03-2022
Autore: Paolo Balduzzi
Docente di Economia pubblica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano