di Rosa Musto
Le decisioni prese al momento sulla riapertura dei cancelli delle scuole, al termine delle festività natalizie, sono il risultato di una mediazione del Governo con le Regioni.
Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera in presenza al 50% degli studenti per le scuole secondarie di secondo grado dal prossimo lunedì 11 gennaio, mentre per le scuole primarie e secondarie di primo grado, ha confermato la ripresa delle lezioni in presenza dal 7 gennaio. L’obiettivo è di rispettare il DPCM del 3 dicembre 2020 garantendo il 75% della popolazione studentesca in classe a partire dal 15 gennaio. A riguardo, i Prefetti stanno ricercando soluzioni diverse, le più appropriate per i territori, perché questo obiettivo del 15 gennaio possa essere raggiunto, senza disagi per le scuole. Però, l’aumento dei contagi registrati a livello locale ha condizionato diverse Regioni, che non potranno rispettare l’accordo e, ad esempio, la Liguria non aprirà,la Sardegna ha deciso di posticipare al 15 gennaio, il Veneto Calabria, Friuli Venezia Giulia e Marche rimandano l’apertura al 31 gennaio.
Il Ministero dell’Istruzione è impegnato nella difesa del diritto allo studio con la riapertura immediata delle scuole; una scelta condivisa anche dai giovani studenti che, da una indagine dell’Ipsos, realizzata per conto di Save The Children[1], evidenzia come tra i ragazzi dai 14 a 18 anni, il 42% di loro ritiene ingiusto che agli adulti sia permesso di andare al lavoro, mentre a loro non è consentito frequentare la scuola. Il 46% degli intervistati considera, quello trascorso finora, un anno sprecato. Da questa raccolta dati le stime prevedono che sia possibile che fino a 34mila studenti delle superiori, per le assenze prolungate, rischiano l’abbandono scolastico; il 28% degli studenti ha dichiarato che almeno un loro compagno di classe ha smesso di frequentare le lezioni e più di uno studente su tre (35%) si sente meno preparato di quando frequentava in presenza la scuola. Ragioni valide da tener presente e che rende difficili scelte giuste e che soddisfino tutti.
Perché la decisione Ministero dell’Istruzione non sia stata accolta favorevolmente da diverse Regioni occorre ricercare le motivazioni partendo dall’analisi dei dati reali e dei fatti, che di certo hanno inciso e condizionato fortemente sul piano decisionale.
Occorre quindi partire dallo studio del Rapporto pubblicato dall’Istituto superiore di Sanità[2] e che riguarda l’anno 2020 dal 31 agosto al 27 dicembre. I contagi a scuola registrati presentano 3.173 focolai di coronavirus pari al 2% del totale. I dati sui casi covid19 riguardano bambini e ragazzi in età scolare dai 3 ai 18 anni e di questi i casi covid19 sono rappresentati da : il 40%, dagli adolescenti (14-18 anni), il 27% dai bambini delle scuole primarie (6-10 anni), il 23% dai ragazzi delle scuole medie (11-13 anni) e il 10% dai bambini delle scuole per l’infanzia (3-5 anni).
Questi dati però, dal punto di vista qualitativo non dichiarano con chiarezza se la contaminazione avviene dentro o fuori le scuole, sui mezzi di trasporto o altro; questo ha comportato il fatto che sino ad ora non si è giunti a conoscenza di quanto la frequenza scolastica incida realmente sull’andamento della curva epidemiologica e quindi, se la scuola rappresenti una realtà che dia origine o meno a focolai. Questa e altre scarsità di valutazioni e informazioni hanno motivato le suddette scelte diverse a livello locale a seguito dell’aumento dei contagi, nonostante l’accordo preso.
Al presente si sta vivendo la mancanza di piani strutturati di breve e medio termine da poter realizzare nelle scuole, anche sulle idee innovative che provengono da più parti, come risultato di riflessione dell’esperienza vissuta nell’anno passato. Si tratta di attese che provengono da tutto il mondo della scuola, da docenti, studenti, genitori e che si è senz’altro ancora in tempo per soddisfare, con interventi propositivi e ad hoc.
Innanzitutto, occorre iniziare a dare risposte concrete ai bisogni educativi finalizzati all’inclusione scolastica, che in questo anno trascorso, non ha visto garantito il diritto allo studio, per i limiti della formazione a distanza, ai numerosi alunni con bisogni educativi speciali, che frequentano le nostre scuole. Per costoro, le dimensioni della socialità e della relazionalità rappresentano un aspetto fondamentale nella dimensione educativa e da cui essi non possono prescindere. Per costoro, i più deboli, il diritto allo studio può essere soddisfatto solo con la riapertura dei cancelli delle scuole.
Per realizzare questo, occorrerebbe per esempio: iniziare a rendere adeguatamente sani gli ambienti delle scuole, attivando una ventilazione sanificatrice nelle aule; investire per attivare un sistema specifico dei trasporti; definire in tempi brevi un programma nazionale di vaccinazioni, atto a garantire la sicurezza e far aumentare celermente il tasso di frequenza scolastica in presenza in ogni località.
In questo nuovo anno occorrerebbe poter riflettere su come affrontare la questione frequenza scolastica in un’ottica diversa, in termini propositivi e con investimenti che apportino soluzioni tecniche e scientifiche adeguate, superando i limiti informativi riferiti ai dati che la ricerca quantitativa può fornirci, ma ascoltando le proposte che provengono dal dibattito attivo del mondo della scuola.
[1] https://s3.savethechildren.it/public/files/uploads/pubblicazioni/i-giovani-ai-tempi-del-coronavirus.pdf
[2] https://www.iss.it/documents/20126/0/Rapporto+ISS+COVID+58_2020+Rev+%282%29.pdf/df07173e-bcab-4d2a-dceb-2bb10f412592?t=1608546121797