di Gilda Ricci
Finalmente ho rivisto durante questi indimenticabili,e si spera unici Esami di Sato gli sguardi dal vivo dei ragazzi , i “ miei” studenti”, i liceali vitali ed esplosivi , a volte distratti ma sempre curiosi, attenti, partecipi, desiderosi di rivedersi e di incotrarci.
Certo grazie alla tecnologia, ai social, alle piattaforme interattive siamo rimasti spesso e comunque connessi e comunicanti nella varie fasi della diffusione di quella che ricorderemo come pandemia epocale del “Coronavirus o Covid 19”.
Insegno in una scuola di questa meravigliosa città sul mare, Salerno, in Campania, dove come in tutto il territorio nazionale non è stato possibile fare lezione dal 5 marzo 2020, neanche all’aperto, nei parchi, nei Musei, nelle strade cittadine che conservano nella toponomastica la storia dei nostri avi e di incroci di
popolazioni, etnie, religioni, vite umane a volte dimenticate.Ecco la scuola a distanza ci ha tolto all’improvviso tutto questo, ci ha colto impreparati tutti, docenti e studenti ancor più.
Organizzavo lezioni all’aperto già prima , da sempre , da quando insegnavo nella primaria e da alcuni anni nella secondaria di secondo grado , realizzando il progetto di filosofia “Il giardino dei pensieri”, ispirato alla metodologia di Mario Trombino .
Durante la prima settimana di chiusura della scuola, il liceo statale “Alfano I” dove insegno Filosofia e scienze umane, ho potuto continuare ad organizzare qualche lezione al parco Mercatello vicino scuola con piccoli gruppi di studenti a debita distanza , pur di dare seguito alla sperimentazione di alcune classi che svolgono lezione all’aperto con il mio collega di Filosofia Ugo Concilio. Poi anche il parco è stato chiuso e quindi tutti a casa e da casa ad immaginare spazi aperti dietro uno schermo, continuando a restare in contatto, per mantenere una relazione possibile e ancor più necessaria con i nostri ragazzi. Progettare , sperimentare , immaginare , ecco penso che la scuola sia necessaria per questo, non solo per “fare lezione” in modo tecnico, strumentale, fine a se stesso.
Trasferire in DAD ( Didattica a distanza) ciò che si fa in aula con una lezione limitatamente seppur necessaria cosiddetta “frontale”, senza dialogo e partecipazione è ancora più complicato dietro uno schermo e una connessione alternata, con un audio intermittente, spesso deformato da microfoni non professionali, con p.c . , tablet o cellulari non adatti allo studio e alla relazione in video.
Certo ci siamo tutti rimboccati le maniche e come sempre la scuola militante fa ci siamo dati da fare a prescindere. Tutto ciò cercando di non trascurare nessuno, impegnati e al servizio di una comunità , nel rispetto e nella garanzia del diritto allo studio. Abbiamo molto discusso con i ragazzi sulla “mancanza” su ciò che non avevamo e che era stato sottovalutato in presenza , come appunto le nostre
meravigliose lezioni all’aperto. Sì, ci è mancato il contatto fisico, lo sguardo penetrante della relazione dentro e fuori aula, la socialità, ma soprattutto ci mancava il respiro profondo della curiosità e della scoperta che realizza il vero processo di apprendimento-insegnamento.
Eppure in questo tempo sospeso ma pieno di messaggi, telefonate affannose, silenzi e domande, di chat e collegamenti che sovraccaricavano linee e reti globali, abbiamo scoperto la risorsa e contemporaneamente il limite, della “scuola a distanza”, della possibilità che avevamo e che non utilizzavamo mai abbastanza.
Tutto diventa risorsa quando vivi il limite , quando la libertà è condizionata da una situazione per giunta inaspettata.
E se non tornassimo più a scuola ? Forse potremmo continuare così, a distanza. Abbiamo imparato in pochissimo tempo ad utilizzare piattaforme, sistemi interattivi, , senza neanche un corso di formazione adeguato. Non ce ne è stato il tempo. E’ stata una corsa con il tempo. Ci siamo riusciti a tempo di record con la forza della volontà, grazie ad un reale ottimismo della volontà e grazie all’autoaiuto che è scattato subito tra noi docenti, con le famiglie, con i ragazzi e che ha reso possibile tutto questo. Siamo stati uniti come non mai, in collegi docenti virtuali connessi per ore, in riunioni tra noi per discutere, capire, chiarire, scambiarsi opinioni e idee, per andare avanti. Proprio così , con lo sguardo di noi tutti nella scuola distanza rivolto al domani, al futuro migliore di un presente che ci addolora pensando a quei corpi delle vittime di giorni terribili, senza funerali e senza rituali necessari alle elaborazioni di lutti, che non riusciamo a vivere.
Cosa accadrà a settembre ? Come torneremo a scuola? Non lo so, so soltanto che vogliamo ritornare, come è accaduto per gli Esami di Stato, per guardarci negli occhi, per ascoltare le nostre voci rimbombare nella connessione reale della conoscenza reciproca e umana e non solo nozionistica e contenutistica dei saperi.
La DAD è stata la prova generale di un supporto utile ma momentaneo ad uno stato di emergenza didattica interrotta da una fisicità necessaria, per poter maturare apprendere la capacità di adattamento innata nell’uomo, quel cambiamento che diventa sviluppo cognitivo per bambini , adolescenti e per noi tutti. E poi?Come torneremo?
Dopo convegni e seminari di studio su ”outdoor school”, dopo corsi di formazione nelle scuole nord europee che da decenni utilizzano gli spazi aperti per “fare scuola” e per favorire l’evoluzione del pensiero creativo e critico, stimolando intelligenze multiple non unidirezionali, immagino una scuola organizzata in spazi diversi dall’aula, nel rispetto delle limitate e limitanti norme sulla sicurezza , dietro le quali spesso docenti e dirigenti nascondono una sorta di “agorafobia”.
Sicuramente occorre definire con maggiore chiarezza il limite tra responsabilità personale e collettiva, tra ruoli ed esercizio della libertà d’insegnamento ma in una scuola possibile, oltre le mura, oltre gli steccati di una pericolosa “sindrome della capanna” , ancora più evidente in fase tre o quattro post Covid 19, con l’augurio che questo intruso, che si è autoinvitato nei nostri corpi svanisca per sempre in quell’aria che ci ridia ossigeno per sopravvivere.
Ecco sogno una scuola nuova che attinga alle esperienze del passato per poter ricominciare con sguardo attento all’investimento futuro che sono i nostri bambini, i nostri ragazzi, affinchè tutti crescano con menti aperte e dinamiche .
Non basta la visita sporadica ad un Museo, ad uno scavo archeologico in gita fuori classe, non basta l’uscita didattica volontaria organizzata da alcuni docenti che si assumono la responsabilità di accompagnatore- guida, ma una pratica didattica consapevole e consolidata, che sia didattica museale, didattica ambientale, didattica reale e non virtuale per una ricerca di senso, che attraverso i sensi e la relazione , nella socialità delle esperienze si trasformi in conoscenza e non in mera e semplice trasmissione di conoscenze senza anima.
I centri educativi aperti in questi giorni a Milano come a Napoli e in numerose realtà del nostro ricco territorio, patrimonio dell’umanità ci invitano a riflettere sul potenziale della risorsa naturale e storico-culturale dell’Italia, terra di conquiste perché terra di lavoro e di luoghi meravigliosi, spesso lasciati nel chiuso di libri di quella che oggi chiamano geo-storia o sui cartelloni delle pareti di aule troppo piccole per contenere non solo le classi pollaio ma il fuoco del sapere.