di Romeo Lisciani - Corrado Alberto Cutrufo
Il coronavirus SARS-CoV-2 è la causa dell’attuale pandemia di Covid-19, caratterizzata da sintomi respiratori e febbre, che nei casi più gravi evolve in polmonite bilaterale, insufficienza respiratoria grave ed eventualmente morte. Inizialmente, l’evoluzione maligna è stata osservata soprattutto in individui anziani o con patologie concomitanti come, ad esempio, diabete, obesità, ipertensione arteriosa o insufficienza renale cronica (1).
Con le varianti potenzialmente pericolose, o Variant Of Concern (VOC), la forma grave del Covid- 19 è manifestata anche in soggetti meno anziani. Esse hanno anche favorito l’insorgere delle ondate epidemiche che, dal 2019 ad oggi, sono regolarmente comparse ogni inverno. Queste, in successione, sono state denominate alfa, beta, delta, la più minacciosa per la vita finora individuata, ed omicron.
Attualmente, la disomogenea copertura vaccinale mondiale e la grande contagiosità della variante omicron sono i due fattori critici che caratterizzano questa nuova ondata epidemica, la quarta (3).
Varianti delta ed omicron, infettività, virulenza e resistenza ai vaccini
Nel periodo in cui la variante delta era prevalente in Italia ed in molti altri Paesi europei ed extraeuropei, circa sei mesi dopo la vaccinazione con due dosi, c’è stata una diminuzione dell'efficacia dei vaccini nel prevenire qualsiasi diagnosi sintomatica o asintomatica di COVID-19; questo dato è già stato riportato in un nostro articolo precedente (4).
Ad un primo esame, la perdita di efficacia della vaccinazione sembrerebbe dovuta alla capacità della nuova variante di eludere gli anticorpi suscitati dalla reazione immunitaria o che questa si attenui col tempo, oppure ad entrambi i fattori. Ad esaminare meglio i dati epidemiologici, si osserva che diminuisce la capacità di prevenire la diffusione del virus, ma non quella di prevenire l’evoluzione severa della malattia. Una spiegazione possibile è il perdurare della immunità cellulare attivata dalla vaccinazione, o memoria immunitaria, che provoca una robusta e duratura immunità così come succede nell’infezione naturale (5,6). Dai dati epidemiologici disponibili è evidente che i vaccini attualmente in uso sono efficaci anche contro la variante delta del ceppo originale del coronavirus SARS-CoV-2.
Il 24 novembre 2021 il Sud Africa ha segnalato al WHO la comparsa di una nuova variante e, quasi simultaneamente, la medesima variante è stata identificata in Belgio, Israele ed Hong Kong. Tenendo conto del numero di mutazioni e dell’estrema contagiosità, il 26 novembre il WHO l’ha classificata VOC, dandole il nome di variante omicron (7). Essa presenta 50 punti di mutazione, 35 dei quali nella proteina spike, lo strumento utilizzato dal coronavirus per entrare nella cellula ospite ed infettarla: alcune di queste mutazioni sono comuni a quelle di VOC precedenti, ma altre sono inedite e la rendono filogeneticamente differente dal ceppo originale Wuhan; inoltre,
particolare notevole, ha un tempo medio di raddoppio di soli due giorni contro i 5 della variante delta e quindi la sua velocità di diffusione è due volte e mezzo superiore a quella di quest’ultima (8). Altra caratteristica della variante omicron è che l’evoluzione della malattia che provoca è meno grave e minacciosa per la vita di quella della variante delta.
Questo dato clinico ha un riscontro sperimentale: la variante omicron ha una capacità distruttiva del tessuto polmonare meno accentuata della variante delta, perché la sua replicazione e capacità di formare sincizi nelle cellule polmonari è più lenta (9). Secondo il Bollettino Periodico di Aggiornamento sulla pandemia di Covid-19, pubblicato dall’Istituto Superiore della Sanità il 14 febbraio 2022, l’efficacia del vaccino, valutata del numero di contagi nei vaccinati rispetto a quello dei non vaccinati, è pari a 71% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale e si riduce al progressivamente nel tempo, ossia 57% tra i 91 e 120 giorni, e 34% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale. Analogamente a quanto osservato con la variante delta, rimane elevata l’efficacia nel prevenire i casi di malattia ad evoluzione grave, che necessitano il ricovero in ospedale: 95% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, 93% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni e 89% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni (10). Da questi dati è evidente che l’intensa compagna vaccinale promossa in Italia ed in altri Paesi europei abbia avuto un impatto significativo sulla riduzione della diffusione del contagio della variante omicron che, al momento della stesura dei questo articolo, è decisamente in diminuzione; inoltre sono la dimostrazione del perdurare della memoria immunitaria. Nei Paesi con economia sviluppata, le conseguenze indirette della diffusione della variante omicron, come lockdown, restrizioni, divieti di viaggio, perdite economiche e sconvolgimento della normale attività sociale sono state gravi, ma devastanti in quelli con economia parzialmente o ancora in sviluppo. Inoltre, gli effetti indiretti della variante omicron possono avere un impatto negativo notevole sulla salute mentale e fisica dei bambini e, più in generale, dei giovani, a causa della chiusura delle scuole, della
ridotta socialità, delle vaccinazioni mancate e della difficoltà di cura di altre malattie.
Vaccinazione nei bambini da 0 a 16 anni
L’'incidenza e la gravità del Covid-19 nei giovani da 5 a 16 anni è molto bassa (10). La loro vaccinazione non ha l’obiettivo principale di proteggerli dal contagio, ma quello di ottenere benefici indiretti per altri gruppi di età o per la società in generale. Ad esempio, è prevedibile che la vaccinazione dei giovani possa aiutare le famiglie a tornare alle normali attività e possa ridurre le epidemie e le morti tra gli individui più anziani o fragili che, altrimenti, potrebbero essere infettati proprio da questi. La vaccinazione dei giovani non ha quindi lo scopo principale di proteggerli dalla malattia, ma piuttosto quello di rallentare la circolazione del virus. Tuttavia, per completezza di informazione, va detto che esistono anche argomenti contrari a questa strategia. Vaccinare i giovani potrebbe spostare l'infezione nelle fasce di età più elevata, provocando una maggiore mortalità nei più anziani (11, 12). Questo perché in molti Paesi europei ed extraeuropei, una significativa percentuale di persone dai 50 anni in su è riluttante a vaccinarsi ed alcuni anziani non completamente vaccinati o portatori di immunodeficienza hanno risposte immunitarie insufficienti. Questi potenziali effetti indiretti sono importanti e vanno tenuti nel debito conto, ma, da un punto di vista etico, dovrebbe essere posto in primo piano il rapporto rischio-beneficio della vaccinazione di giovani in buona salute.
Effetti avversi associati alla vaccinazione in Italia
In Italia, nel periodo 27 dicembre 2020–26 dicembre 2021 sono state segnalate 117.920 reazioni avverse (AE) su un totale di 108.530.987 di dosi somministrate, ossia 109 ogni 100.000 dosi (0,109%), di cui l’83,7% erano eventi non gravi, come dolore nella sede di iniezione, febbre, stanchezza e dolori muscolari diffusi. Le segnalazioni di eventi gravi sono state il 16,2% del totale, ossia 17,6 eventi gravi ogni 100.000 dosi (0,017%). Come riportato nei precedenti Rapporti, indipendentemente dal
vaccino, dalla dose e dalla tipologia di evento, la reazione si è verificata nella maggior parte dei casi (73% circa) nella stessa giornata della vaccinazione o il giorno successivo e solo più raramente oltre le 48 ore. Per tutti i vaccini, gli eventi avversi non gravi si sono risolti entro 1-3 giorni. Va però osservato che negli studi clinici che hanno preceduto l’autorizzazione all’uso, nel gruppo di pazienti a cui era stato somministrato il placebo è stato rilevato il 64% di effetti indesiderati, attribuibile all’effetto nocebo. È evidente che le AE sicuramente attribuibili alla vaccinazione sono inferiori a quelle effettivamente segnalate, perché una percentuale di esse è di natura psicosomatica, causata dall’effetto nocebo.
Per quanto riguarda la somministrazione della terza dose, fino
a dicembre 2021 sono state riportate 3.510 segnalazioni su 16.198.231 dosi somministrate, ossia 21,7 segnalazioni ogni 100.000 terze dosi (0,021%), percentuale molto più bassa di quella osservata nel ciclo di vaccinazione primario. L’84,1% di tutte le segnalazioni sono di eventi non gravi, ossia 18,2 ogni 100.000 dosi ed il 15,9% ad eventi avversi gravi, ossia 3,4 su 100.000 dosi. Nei bambini da 5 a 16 anni, fino alla data del presente rapporto, sono state somministrate 4.178.361 di dosi di vaccino, il 96% a quelli di 12-16 anni ed il 4% a quelli di 5-11 anni. I due vaccini autorizzati per questa popolazione sono entrambi a mRNA. Al 26 dicembre 2021 sono state segnalate complessivamente 1.170 reazioni avverse, ossia 28 casi ogni 100.000 dosi somministrate (0,028%). Le AE più frequenti sono state febbre, cefalea, stanchezza e vomito ed il 69% di esse si sono risolte completamente o erano in miglioramento al momento della segnalazione. I dati di farmacovigilanza non hanno evidenziato problemi di sicurezza specifici sia in gravidanza sia in allattamento, confermando i dati degli studi ad hoc in questa popolazione. Non vi sono inoltre evidenze che suggeriscano che i vaccini anti-COVID- 19 possano influenzare negativamente la fertilità in entrambi i sessi. Inoltre, AE di particolare interesse per la loro pericolosità, come anafilassi, sindrome di Guillain- Barré, miocarditi/pericarditi, paralisi di Bell e trombosi trombocitopenica sono estremamente rari, confermando i dati di sicurezza valutati a livello europeo (13).
Terapie disponibili e futuri vaccini
I vaccini rimangono lo strumento più importante per il controllo del COVID-19 e per il contenimento dei contagi. Attualmente, quelli a mRNA sono i più usati nei Paesi ad economia avanzata, compresa l’Italia. A gennaio 2022, la variante omicron era predominante in molti Paesi europei ed extraeuropei, con una prevalenza in Italia dell’81%, mentre la variante delta era al 19%. Dai dati riportati nell’ Aggiornamento Nazionale sull’epidemia di COVID-19 dell’Istituto Superiore della Sanità risulta che la rapida e generalizzata crescita del numero di nuovi casi di infezione registrato in questo periodo, come pure il conseguente aumento dei ricoveri ospedalieri e dei decessi, si è verificato soprattutto nei soggetti non completamente vaccinati o che non avevano ricevuto neanche una dose di vaccino (10). Studi epidemiologici condotto negli USA ed in Israele hanno confermato che la somministrazione di due-tre dosi di vaccino, è in grado , nei sei mesi successivi, di ridurre la circolazione del virus, incluse le varianti delta ed omicron, e di prevenire l’evoluzione grave della malattia. Da questi dati sembrerebbe quindi che la progettazione ed il successivo studio clinico di vaccini specifici per le due VOC attualmente circolanti possa essere superfluo; inoltre non è garantito che i vaccini specifici per le varianti delta ed omicron siano attivi anche verso eventuali nuove VOC che potrebbero comparire. L’obiettivo dello sviluppo dei futuri vaccini dovrebbe essere l’ampliamento della copertura vaccinale anche verso nuove varianti del virus. Tra questi vanno citati i vaccini multi- epitopi sintetici, prodotti in vitro da culture cellulari, dei quali il più avanzato è il COVID-19 COVAXX, che utilizza epitopi del sito di legame virus-cellula (Receptor Binding Domain, RBD) di diversi cloni di SARS-CoV-2 (14). Particolarmente interessante è anche lo sviluppo di vaccini somministrabili per via orale, se si tiene conto della difficoltà della distribuzione e della vaccinazione della popolazione di Paesi a basso e medio reddito. Questi vaccini sono stabili a temperature di almeno 40 °C ed al pH acido dello stomaco.
Inoltre, per la loro somministrazione non è necessario personale addestrato e possono essere trasportati e stoccati senza una catena del freddo estrema, che invece è necessaria per i vaccini a mRNA (14, 15). Gli anticorpi monoclonali anti SARS-CoV-2 hanno come bersaglio la proteina spike del virus, ne impediscono il legame con il recettore della cellula e ne bloccano l’ingresso nell’ ospite. Questo meccanismo è simile a quello degli anticorpi naturali presenti nel siero dei pazienti convalescenti, suggerendo che la immunoterapia con gli anticorpi monoclonali possa essere efficace nel trattamento del Covid-19. Questa possibilità è stata confermata da diversi studi clinici e, conseguentemente, il loro uso è stato recentemente autorizzato per la profilassi di soggetti venuti a contatto con persone infette e per il trattamento precoce di casi asintomatici o con sintomi lievi-moderati, che non necessitano del ricovero in ospedale (16).
Tra gli agenti antivirali, due nuovi farmaci sono stati recentemente approvati per l’uso emergenziale negli USA e nella Comunità Europea nel Covid-19. I due farmaci sono stati autorizzati per il trattamento orale degli adulti con sintomi lieve o moderati, ad alto rischio per l’evoluzione grave della malattia, incluso il ricovero in ospedale o il decesso. Il primo, Molnupiravir (MOV), è un monocomposto che inibisce un enzima che catalizza la replicazione dell'RNA (RNA-dependent RNA polymerase, RdRp) e quindi blocca la replicazione dei virus mRNA, compreso il SARS.CoV-2. Il secondo, Paxlovid, è una combinazione di 2 farmaci: il nirmatrelvir che blocca la replicazione virale, il ritonavir che viene utilizzato per rallentare il metabolismo del nirmatrelvir. Per concludere, come dovrebbe essere la terapia anti-Covid-19 ideale in grado di porre fine alla pandemia? Uno studio recente ha sottolineato che la riduzione della gravità del COVID19, della conseguente mortalità e della necessità del ricovero in ospedale, sono caratteristiche molto positive in un nuovo farmaco, ma che la riduzione della durata dell'infettività avrebbe un impatto benefico assai superiore ad una qualsiasi di queste proprietà (18). Quindi, un futuro farmaco dovrebbe soddisfare almeno tre criteri: avere un'elevata potenza e capacità di resistenza ad essere eluso; essere efficace nel ridurre la
replicazione virale e minimizzarne la diffusione; non favorire la selezione di varianti resistenti. È probabile che questo obiettivo ambizioso venga realizzato, visto il grande sforzo che numerosi gruppi di ricerca stanno facendo in questa direzione, ma certamente questo non avverrà nei prossimi anni. Quello che invece potrebbe eradicare la pandemia in tempi relativamente brevi è la vaccinazione di almeno il 90% della popolazione mondiale, dato che è oramai accertato che le nuove VOC si sviluppano dove il virus circola liberamente, ossia dove la vaccinazione è scarsa o quasi inesistente. Questo obiettivo sarebbe facilmente raggiungibile se Paesi con un’economia avanzata mettessero da parte gli egoismi nazionali e si rendessero conto che uno sforzo comune in questo senso sarebbe non solo un’iniziativa di alto valore etico ma soprattutto sarebbe a vantaggio di tutti.
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