di Annalaura Giannelli

Nella serrata sequenza di decreti legge volti a fronteggiare la crisi sanitaria anche il tema delle procedure di autorizzazione relative alle sperimentazioni cliniche è stato oggetto di attenzione. Le norme pertinenti consistono nell’art. 17 del d.l. n. 18/2020 e nell’art. 40 del d.l. n. 23/2020, che si sono susseguiti ad un ritmo così serrato da far sì che il testo più recente abbia sostituito un d.l. non convertito.

Al netto del ritmo sincopato della normazione, occorre chiedersi se sia possibile intravedere in essa qualche spunto sfruttabile nel prossimo futuro, scandito da appuntamenti molto importanti. Proprio nel 2020, infatti, l’agenda politica prevede (o forse sarebbe più prudente dire “avrebbe previsto”) l’attuazione effettiva di due regolamenti europei dedicati alle sperimentazioni cliniche dei medicinali e a quelle dei dispositivi medici. Ecco, dunque, che le scelte assunte sotto la sollecitazione della pandemia in atto meritano di essere esaminate non solo per valutarne l’intrinseca razionalità, ma anche in una prospettiva di lungo periodo, ossia come possibile anticipazione di quelle che saranno le scelte legislative da mettere in atto per ottemperare agli impegni europei.

Tra i due d.l. sopra citati vi è un comune denominatore, rappresentato dall’accentramento (con riguardo alle sole sperimentazioni inerenti il trattamento del Covid19) in capo al Comitato etico dell’Istituto Istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzani delle prerogative di valutazione dei Comitati etici territoriali. La ratio di questa scelta consiste nella volontà di individuare una voce unica in grado di esprimersi sulla attivazione delle sperimentazioni cliniche aventi come obiettivo la lotta al virus.

Meno ovvia è la valutazione relativa al merito di questa scelta.

L’accentramento in favore del CE dell’I. Spallanzani si inserisce in un percorso di riduzione dei Comitati territoriali, culminato nella cd. legge Lorenzin (l. n. 3/2018), spallanzaniche ha prefigurato un sostanziale dimezzamento del loro numero, con conseguente trasferimento di competenze in favore dei CE “sopravvissuti”, giocoforza destinati ad assumere le caratteristiche di comitati di area vasta. Tuttavia, la legislazione emergenziale in esame non ha scelto di operare un ulteriore taglio al numero dei comitati etici, ma ha optato per un accentramento di funzioni temporaneo e “per materia”.

I due d.d. l.l. menzionati in apertura (il n. 18 e il n. 23) hanno in comune la scelta di fondo dell’accentramento delle funzioni del CE, ma divergono rispetto all’esatto ambito delle attività per le quali si determina lo spostamento di competenze dai CE territoriali a quello dell’Istituto Spallanzani.

Il d.l. n. 18 prevedeva che il trasferimento di competenze in capo al CE centrale riguardasse (ovviamente sempre e solo con riferimento alla cura del Covid 19) sia le sperimentazioni relative ai dispositivi medici che quelle inerenti l’uso di medicinali. Nel successivo d.l. n. 23/2020 la scelta è stata diversa: solo le procedure di valutazione delle sperimentazioni inerenti l’uso di medicinali sono state assegnate al CE dell’I. Spallanzani come Comitato unico nazionale.

Si tratta di una discontinuità non trascurabile, se si pone mente alle criticità riscontrate presso gli ospedali del Nord del Paese circa il numero dei respiratori disponibili, e alle ricerche intraprese al fine di consentire l’uso simultaneo di un unico macchinario da parte di due pazienti. La scelta di non trasferire al CE centrale anche la valutazione sulle sperimentazioni dei dispositivi dovrebbe servire a scongiurare il rischio che l’accentramento di funzioni si traduca in un rallentamento regolamentonell’esercizio delle medesime, a discapito dell’efficienza delle procedure preliminari all’avvio della sperimentazione. Peraltro non si può neppure tacere che, in materia di dispositivi medici, si profila un importante “appuntamento” legislativo: il 26 maggio 2020 è, infatti, prevista la piena applicazione del regolamento UE 2017/745, per l’appunto dedicato alle sperimentazioni di dispositivi medici (cd. «MDR»).

Il nuovo regolamento è foriero di importanti novità, che implicano un notevole, e tuttora incompiuto, sforzo di adeguamento tecnico da parte degli Stati membri. Basti pensare alla mancata implementazione del portale informatico Eudamed dedicato alla gestione trasparente delle sperimentazioni, portale alla cui realizzazione la Commissione Europea e gli Stati membri stanno ancora lavorando.

In questo scenario non stupisce che lo scorso 3 aprile la Commissione Europea abbia proposto al Parlamento e al Consiglio una proroga del termine di attuazione del regolamento in questione, per consentire agli Stati membri di gestire nel modo più rapido possibile i peculiari fabbisogni di approvvigionamento di dispositivi medici necessari alla cura dei pazienti affetti da Covid19.

È probabile che tale richiesta ottenga un riscontro positivo, e che dunque nei prossimi mesi non si profili con urgenza il problema legato alla rapida attuazione della disciplina UE. Cionondimeno, stante l’innegabile complessità della transizione verso il modello autorizzatorio previsto dalla disciplina UE e l’attuale incertezza circa le tempistiche di tale transizione, la scelta del d.l. n. 23 di non gravare il CE dell’Istituto Spallanzani di tutte le valutazioni inerenti le sperimentazioni di dispositivi anti-Covid sembra rispondere ad una apprezzabile logica di prudenza, al di là di ogni personale punto di vista in merito al più ampio dibattito sulla opportunità o meno della riduzione dei CE territoriali e delle conseguenti riallocazioni di competenze.

Se, sul fronte delle sperimentazioni sui dispositivi medici, il d.l. n. 23/2020 “fa un passo indietro” rispetto alle spinte accentratrici innescate (in favore del CE dello Spallanzani) dal d.l. n. 18/2020, lasciando inalterato l’ordinario assetto di competenze, lo stesso non può dirsi con riguardo alle sperimentazioni di medicinali. Rispetto a queste ultime il d.l. n. 23 conferisce al CE dell’Istituto Spallanzani prerogative di valutazione che, nell’assetto disegnato dal d.l. n. 18, risultavano ancora rimesse ai CE territoriali.

 Sul punto, gli aspetti su cui soffermarsi sono essenzialmente tre.

La risposta a tali interrogativi sembra di segno negativo.

Per prima cosa occorre chiarire che gli studi osservazionali sono esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento. Quantomeno rispetto a questi studi la scelta del d.l. n. 23/2020 di assegnare al CE dell’I. Spallanzani, anziché ai comitati territoriali, la valutazione delle sperimentazioni dei medicinali anti Covid19 non può essere motivata dalla volontà di anticipare i tempi di una imminente transizione verso l’abolizione dei comitati territoriali imposta dall’UE.

Più complesso è il discorso relativo alle sperimentazioni interventistiche, oggetto del regolamento UE sopramenzionato.

Quest’ultimo prevede regole chiare e dettagliate in tema di procedure di autorizzazione alle sperimentazioni di medicinali: obbligo di presentazione di un’unica domanda di autorizzazione presso il portale UE; convalida della domanda da parte del cd. Stato relatore; lo Stato relatore redige una relazione di valutazione di parte I (avente ad oggetto aspetti generali e scientifici) e la presenta attraverso il portale UE al promotore e agli Stati interessati; gli Stati interessati redigono una relazione di valutazione di parte II (avente ad oggetto aspetti etici e di fattibilità locale) e la presentano attraverso il portale UE al promotore  e allo Stato relatore; decisione finale con scenari alternativi: a) decisione finale negativa da parte dello Stato relatore che vale come conclusione negativa da parte di tutti gli Stati interessati; b) decisione finale positiva dello Stato relatore e silenzio di uno o più Stati interessati, che vale come silenzio assenso; c) decisione positiva dello Stato relatore e negativa di uno o più Stati interessati (presso i quali la sperimentazione non potrà aver luogo) per motivi attinenti la parte I o la parte II della relazione di valutazione o «qualora un comitato etico abbia espresso un parere negativo che, a norma del diritto dello Stato membro interessato, è valido nell’intero territorio di tale Stato membro» (art. 8, par. 4).

Il passaggio sopracitato ha indotto a ritenere che il regolamento pretenda la transizione del diritto nazionale verso un assetto caratterizzato dalla presenza di un unico comitato etico nazionale.

Si tratta di una impressione che, tuttavia, non pare giustificata. A ben vedere, infatti, il legislatore europeo si limita a prevedere che su ciascuna sperimentazione si esprima un unico comitato etico, indipendentemente dal carattere policentrico o multicentrico della sperimentazione. Ciò tuttavia non equivale a pretendere l’abolizione dei comitati etici territoriali. Non sarebbe, infatti, incompatibile il mantenimento della rete territoriale dei CE, stabilendo tuttavia che per ciascuno studio uno solo di essi sia in grado di esprimere un parere di sintesi, magari all’esito di una consultazione degli altri comitati territoriali coinvolti (nel caso, ovviamente, di sperimentazioni multicentriche). Ad oggi l’art. 7 del d. lgs. n. 211/2003, prevede che le sperimentazioni multicentriche presuppongano il parere positivo del CE del centro cui afferisce lo sperimentatore (cd. CE coordinatore), stabilendo però anche (al co. 3) che i CE di afferenza dei centri “satellite” (ossia dei centri coinvolti nella sperimentazione ma diversi da quello in cui opera lo sperimentatore) possano impedire, con il proprio parere negativo in termini di fattibilità locale, che la sperimentazione abbia luogo nei centri di afferenza. Si potrebbe dunque ritenere che il parere del CE coordinatore sia «valido nell’intero territorio nazionale», sebbene a monte esso prenda atto delle posizioni espresse dai CE “satelliti” in merito alla perimetrazione dei centri coinvolti nella sperimentazione.

In alternativa, ove la via appena descritta si considerasse inadeguata sul piano della compliance rispetto agli obblighi europei, si potrebbe riformare il ruolo del Centro di coordinamento nazionale dei comitati etici territoriali istituito dalla l. n. 3/2018, in modo da trasformare le attuali prerogative di monitoraggio di quest’ultimo nel potere di adottare “in prima persona”, previa assunzione dei pareri non vincolanti dei CE territoriali coinvolti nella sperimentazione multicentrica, una decisione amministrativa da cui dipenda l’avvio o meno della sperimentazione sull’intero territorio nazionale.

Così come un’ulteriore via per garantire l’osservanza del regolamento senza rinunciare al patrimonio di esperienza della rete territoriale dei CE potrebbe consistere nella differenziazione per discipline, ossia nel mantenere il pluralismo dei CE ma coniugare quest’ultimo con l’assegnazione di un ruolo di sintesi per ambito scientifico, in modo sostanzialmente analogo a quanto il d.l. n. 23 – e ancor prima il d.l. n. 18 – hanno fatto, sia pure in un’ottica emergenziale e temporanea, in tema di terapie antiCovid19. La previsione di un parere unico per “materia” potrebbe cioè rappresentare uno spunto anche in vista delle riforme imposte dall’entrata in vigore del regolamento, valutando la possibilità di arricchire – in un contesto più sereno rispetto a quello in cui hanno visto la luce i due d.l. sopra citati – meccanismi di interlocuzione preventiva tra il CE centrale “per materia” e i CE di afferenza dei centri coinvolti nella sperimentazione.

Concludendo: la rinuncia alla rete dei CE territoriali non sembra una strada segnata dalla normativa europea. Ne è una definitiva conferma anche il considerando n. 18 del regolamento del 2014, che dovrebbe fugare ogni dubbio circa l’indifferenza del legislatore dell’UE rispetto ai profili organizzatori in tema di CE. In esso si legge, infatti, che «La facoltà di stabilire quali siano l’organismo o gli organismi appropriati ai fini della valutazione della domanda di autorizzazione a condurre una sperimentazione clinica e di organizzare la partecipazione dei comitati etici entro i termini per l’autorizzazione a detta sperimentazione clinica previsti nel presente regolamento dovrebbe essere lasciata allo Stato membro interessato. Tali decisioni rientrano nell’organizzazione interna di ciascuno Stato membro. In sede di determinazione dell’organismo o degli organismi appropriati gli Stati membri dovrebbero assicurare la partecipazione di persone non addette ai lavori, in particolare di pazienti o di organizzazioni di pazienti».

Il regolamento, dunque, è indifferente al tema della organizzazione non solo dei CE ma più in generale delle Autorità competenti a decidere, in ciascuno Stato, sull’avvio di una sperimentazione.

Piuttosto, quel che merita di essere sottolineato è il ridimensionamento dell’attenzione che il regolamento dedica al ruolo del CE in generale. Il par. 4 dell’art. 8 del regolamento si limita, infatti, a prevedere che ciascuno Stato interessato non possa esprimersi favorevolmente rispetto alla sperimentazione in caso di parere negativo («valido nell’intero territorio dello Stato membro») emesso per l’appunto da un CE. Si profila, dunque, un blando meccanismo di silenzio assenso, che segna un’importante discontinuità rispetto alla direttiva 2001/20/CE (abrogata dal regolamento), che all’art. 9, par. 1, stabiliva che «Lo sponsor può iniziare una sperimentazione clinica solo dopo aver ottenuto il parere favorevole del comitato etico».

La sensazione che si trae, dunque, dall’analisi del quadro europeo “retrostante” rispetto agli interventi normativi d’emergenza in materia di sperimentazioni non è quella di una anticipazione di uno scenario annunciato e inevitabile: l’eliminazione della rete dei CE territoriali in favore di un unico organo centrale.

Guardando alla disciplina europea i dati che emergono rispetto al ruolo dei CE sono di segno diverso e consistono, come si è visto, nell’indifferenza del legislatore rispetto a profili di tipo organizzatorio e, più in generale, in un ridimensionamento del “peso specifico” di tali organi nel processo decisionale che in tema di autorizzazione si compie in sede nazionale.

È su questo secondo aspetto che dovrebbero addensarsi le maggiori preoccupazioni e, quindi, i maggiori sforzi per riaprire, in sede europea, il dibattito politico.

31-05-2020
Autore: Annalaura Giannelli
Prof. di diritto amministrativo presso l’Università G. Fortunato
Avvocato Amministrativista
meridianoitalia.tv

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