di Ranieri de Ferrante

Per una Europa che, per una serie di motivi, deve aumentare la propria capacità di proteggersi da sola, la chiave non è una frettolosa corsa agli armamenti, ma piuttosto un piano di rilancio dell’industria della Difesa,  simile ad un secondo PNRR dedicato a questa specifica industria, basato su condivisione delle informazioni, linee guida comuni, investimenti transnazionali, mercato unico e garantito, ed approccio coordinato che permettano di avere programmi e volumi tali da competere con l’industria americana.

E’ difficile, ma è l’unica ricetta, ed esistono esempi di successo cui fare riferimento.

 PRIMA PARTE

1 - Necessità di investire in Difesa

Il mondo nel quale siamo cresciuti non c’è più.

Basti considerare che la fiction “M – il figlio del secolo”, girata da Netflix sulla base del libro di Scurati, non trova un distributore USA perché è “troppo antifascista”.  O che Trump ha definito la U.E. una “organizzazione nata per fregare gli USA”. Ed è un gran brutto segno che Trump cominci ad ignorare le sentenze della Magistratura.

L’Occidente Trans-Atlantico fatto di democrazia e antifascismo è chiaramente finito, e considerare ancora gli USA un alleato (chiave) è una pia illusione. L’Europa è ormai sola a difendere i valori di inclusione, uguaglianza, libertà, schiacciata fra due autocrazie decisamente in sintonia: Russia e Stati Uniti. Il mondo è sempre più simile a quello degli anni 20/30 del XX secolo e noi siamo nella stessa, spiacevole, posizione della Polonia nel 1939, fra Russia e Germania Nazista. E per non farci mancare niente abbiamo anche dei Mosley e dei Quisling.

Temo anche che la deriva degli USA sia senza ritorno, e che fra 4 anni non torneranno alla vera democrazia.

Qualunque sia la visione politica, comunque, ed il grado di fiducia nella resilienza democratica degli Stati Unti, è evidente che per la prima volta dal 1945 l’Europa si debba porre il problema di una capacità di Difesa indipendente, e questo non solo per ragioni politiche, ma anche perché l’America (quella vecchia) ha pagato  i nostri conti per 80 anni ed è quindi comprensibile che l’America (quella nuova) ne sia stufa.

D’altra parte ogni moneta ha il suo opposto, e quindi – ricordando che la parola “crisi” viene dal greco, e vuol dire scelta – possiamo sperare e dobbiamo attivarci perché la situazione attuale porti a scelte positive per la U.E.: chiarimenti interni, progresso sulla strada di una maggiore integrazione (ad esempio politica estera) e forse anche maturazione dei meccanismi interni dell’Unione Europea, andando oltre i sogni infantili della unanimità.

2 – Investimento in Difesa: come e quando

Prima del come e quando, una parola sul quanto: i valori proposti dalla Commissione Europea sono certamente basati su dati e valutazioni professionali. Non ho i dati per valutare, ma posso osservare che – in termini di % del PIL - non sono lontani dai livelli ritenuti normali durante la Guerra Fredda (spero di non aver sbagliato i conti … e quindi dovrebbero essere giustificati oggi, visto che la situazione è peggiore.

L’altra premessa che è doveroso fare è che non sono un politico, non entro nel dibattito su Esercito Europeo ecc. e preferisco ignorare i pacifisti a tutti i costi o gli autarchici della Difesa: è difficile, credo, fare politica quando si rifiuta di guardare, e soprattutto di capire, la realtà.

Mi tengo quindi sul semplice, e parto dall’assunto del primo punto: la nostra capacità di difesa non è sufficiente e va aumentata, e mi permetto di offrire un’opinione su come e quando farlo.

Io comincerei riconoscendo che siamo già in guerra con la Russia: l’uso degli hackers e della disinformazione (già oggi il 35% delle risposte date da sistemi commerciali di intelligenza artificiale risulta inquinato dai BOT russi) è una minaccia concreta ed immanente alla sovranità ed alla democrazia europea. E’ l’equivalente sociale e culturale di una guerra biologica – l’arma più vile - che non colpisce i corpi, ma i cervelli dei nostri cittadini.

In questo settore quando e come sono chiarissimi: subito, e togliendosi i guanti della democrazia e delle regole civili per affrontarli sul loro (moralmente basso) terreno di gioco. E mi auguro che chi sa e può stia già agendo.

Per quanto riguarda la guerra nel senso che tradizionalmente le diamo (bombe, “boots on the ground”, macerie e cadaveri), mi sembra la Russia abbia dimostrato di essere un gigante dai piedi di argilla. Nella guerra convenzionale in Ukraina non solo non è riuscita a piegare l’avversario ma, nella fase di guerra a valle della prima fulminea avanzata, la Russia ha perso territorio ed oggi ha bisogno dell’aiuto degli USA perché ha il fiato corto, militarmente ed economicamente, quasi quanto i suoi avversari. Questo ricorrendo a mercenari, carcerati e nord coreani per la “forza lavoro”, alla Nord Corea per le munizioni (oltre il 50% del fabbisogno) ed all’IRAN per la tecnologia.

La Russia (che ha popolazione e GNP più o meno poco superiori al Messico) non ha abbastanza forza – se non il suo disprezzo per la vita umana e la mafiosa, ma poco credibile minaccia nucleare - per andare oltre l’Ukraina.

Quindi il quando ed il come sono strettamente collegati: senza inutile fretta e con intelligenza.

La spesa della Difesa è la somma di tre componenti, del tutto differenti:

A - gestione, amministrazione e personale, dove ovviamente risparmi sono sempre possibili, specialmente alla luce del fatto che l’Europa a 27 + UK ha un’intrinseca inefficienza in personale e servizi data da strutture duplicate (28 Capi di Stato Maggiore della Difesa, 28 dell’esercito 28 della Marina ecc ecc … 28 ministeri della difesa …. ecc, più tutti gli strumenti di coordinamento) la cui soluzione passa attraverso decisioni politiche, soluzioni creative ed un cambio culturale;

B - Acquisto di equipaggiamento, manutenzione e training (determinati dal parco equipaggiamenti). Qui si rischia, ad acquisire troppo in fretta, di essere costretti a comprare americano, e questo ha pochissimo senso:

  • strategico perché la frase di Elon Musk sulla dipendenza del fronte ukraino dal suo StarLink e del rischio di tracollo se stacca la spina, o la dipendenza degli F35 dagli aggiornamenti SW e disponibilità di pezzi di ricambio statunitensi sottolineano che per le necessità fondamentali – e la Difesa lo è – una entità importante negli equilibri mondiali come l’Europa non può dipendere da terzi;
  • economico perché l’investimento europeo in Difesa deve avere una ricaduta sull’industria della Difesa Europea, che è, prima di tutto, un’industria, che va protetta e sviluppata.

Quindi conviene acquisire il minimo indispensabile, quando indispensabile … aspettando i risultati di …. “C” …

C - Investimento i Ricerca e Sviluppo nell’industria della Difesa, sul quale si gioca la partita, a medio/lungo termine. Perché, in realtà, per renderci indipendenti, non si deve parlare di spendere, ma di investire in una industria strategica, con uno spirito da PNRR o da piano di rilancio di una qualsiasi industria.

Ranieri de Ferrante

 Ranieri de Ferrante è un Fulbright Fellow, ed attualmente – da vecchietto -  si occupa di Ambiente. Nel passato ha operato nella Farmaceutica, Consulenza (McKnsey), Informatica, Energia e Difesa, coprendo posizioni come Presidente, ABB, Central Eastern Europe e Co – CEO, Alenia Marconi Systems (una JV fra l’allora Finmeccanica e la British Aerospace). Proveniente da una famiglia di Militari, Storia e Difesa sono le sue passioni.

 

Esercito comune? No! Solo un razionale Piano industriale.

di Ranieri de Ferrante

Per una Europa che, per una serie di motivi, deve aumentare la propria capacità di proteggersi da sola, la chiave non è una frettolosa corsa agli armamenti, ma piuttosto un piano di rilancio dell’industria della Difesa,  simile ad un secondo PNRR dedicato a questa specifica industria, basato su condivisione delle informazioni, linee guida comuni, investimenti transnazionali, mercato unico e garantito, ed approccio coordinato che permettano di avere programmi e volumi tali da competere con l’industria americana.

E’ difficile, ma è l’unica ricetta, ed esistono esempi di successo cui fare riferimento.

 

SECONDA PARTE

3 – L’industria della Difesa

La Difesa è un importante settore dell’economia Europea, (basta pensare – solo in Italia - a Leonardo ed a buona parte di Fincantieri), che impiega decine di migliaia di persone di livello, con grande percentuale di laureati e che

  • ha un forte indotto, molto qualificato e grande potenziale di esportazione. Quindi, in termini macroeconomici, un Euro investito nella Difesa ha un ottimo moltiplicatore;
  • sviluppa tecnologie innovative che spesso trovano fruttuosa applicazione nella vita civile. E’ una verità, indigesta quanto si vuole, che la tecnologia ha fatto i suoi maggiori progressi “grazie” alle guerre;
  • offre interessanti opportunità di riqualificazione ad industrie in crisi grave e di durata prevedibilmente non breve (automotive?)

L’industria della Difesa è quindi economicamente importante e tecnologicamente utile, anche se “antipatica” ... ed  i lavoratori della Difesa sono lavoratori come gli altri:  pagano le tasse, consumano, spingono l’economia ...

E’ anche una industria i cui programmi di sviluppo sono lunghi e costosissimi, e che è fortemente penalizzata se limitata ad un mercato nazionale o se guidata da considerazioni politiche ottuse.

Un esempio di cosa questo voglia dire: la Agusta (ora Leonardo) sviluppò l’elicottero da combattimento Mangusta, per competere con il Cobra della Bell. Pur essendo il Mangusta forse superiore, non ha avuto mai speranze perché non aveva un grande mercato domestico garantito cui fare riferimento. Invece la Bell aveva abbastanza mercato domestico da sorreggere lo sviluppo, dopo il Cobra, dell’Apache (più pesante), per guadagnare molto e spingerne l’export (una ventina di Paesi), dove Agusta non ha potuto seguirla. Oltre 6000 Cobra e Apache vs 100 Mangusta …

Oppure il carro armato Ariete, sviluppato e costruito da Oto Melara (anch’essa Leonardo) , comprato solo dall’Esercito Italiano e da quello Brasiliano e mai veramente competitivo. Non che Oto Melara fosse incapace ma potendo fare rifermento ad un solo cliente, e piccolo, non è stata  in grado di generare il volume per sviluppare il sistema d’arma al meglio e aggiornarlo per mantenerlo al top.

Ed ancora oggi c’è chi dice che dobbiamo comprare solo italiano … come se si trattasse di parmigiano …

All’industria europea della Difesa non manca certo la competenza tecnica, che è di livello altissimo, ad esempio:

  • la Oto Melara ha fornito per anni i suoi sistemi d’arma navali da 76 e 127 mm alla US Navy, che li ha preferiti a quelli americani;
  • la stessa US Navy ha recentemente scelto, per la sua nuova classe Constellation, il disegno delle fregate FREMM, sviluppate in cooperazione da Italia e Francia, e già vendute a Marocco, Egitto ed Indonesia;
  • il Concorde è nato in Europa, da una cooperazione franco - britannica.

E non dimentichiamo che Radar e siluri sono stati inventati da Italiani, la missilistica, i sottomarini a lunga capacità di immersione e l’aereo a reazione dai tedeschi, e che il primo uso militare dell’aviazione fu fatto dai Francesi, con i palloni, alla Commune di Parigi nel 1870.

Poi … l’ingegno è diventato meno importante della capacità finanziaria.

La competenza c’è. Senza entrare nel merito del quanto si spende (che anche prima del Rearm Europe non è poco), a pennellate rozze, possiamo dire che ciò che rende i sistemi d’arma europei in media meno efficaci, in termini tecnici ed economici, di quelli americani è quindi la mancanza di coordinamento fra fornitori/nazioni e, conseguentemente, la mancanza di un grande mercato captive ed una minor credibilità all’export.

E si può correggere, lo dicono i fatti:

  • le industrie aeree europee hanno creato la Airbus, che ha fatto e fa vedere i sorci verdi alla Boeing. Oggi la sua produzione guarda al civile, ma è la dimostrazione di cosa si può fare insieme.
  • La missilistica europea, circa 30 anni fa, si è associata nella MBDA. Tradizionalmente a guida francese (come l’Airbus …) ha progressivamente razionalizzato la sua linea di prodotti, e leggo sull’ANSA del 13 marzo che Francia, Italia e Regno Unito vanno verso l’acquisto congiunto di 218 missili anti aerei ASTER.

L’industria europea oggi soffre anche di scarse sinergie di sistema: gli USA vedono la Difesa non solo come un’industria profittevole ed in grado di assorbire una forza lavoro importante e particolarmente preparata, ma anche un modo di creare dipendenza in altre nazioni … un Hard/Soft Power.

Alla fine degli anni 90 la Alenia Marconi Systems, joint venture italo inglese che io co – guidavo, si scontrò, in Malesia, con la Grumman per un radar a lungo raggio. Un valore di 50 milioni di dollari circa.

Ebbene, la Grumman mise sul piatto uno sconto infinitesimale sulla fornitura di F16 che stava per fare (del valore di Miliardi di dollari) e la diplomazia americana esercitò tutta la sua pressione. AMS non aveva né gli F16 da mettere sul piatto, né il supporto della nostra ambasciata … né ovviamente quella delle altre nazioni europee.

E questo è un particolare peccato, perché – come dimostrano gli sviluppi avviati da alcune aziende/Stati con il Giappone (Jet di 6° generazione), Sud Corea (carri armati) o India (Cantieristica civile e miltare, con partner Fincantieri), la cooperazione negli sviluppi militari può rafforzare legami che potrebbero diventare alternativi a quello storico con gli USA.

4 – Conclusioni relative a Rearm Europe

Ci provo: Il Rearm Europe ha come primum movens un’istanza di Difesa ed ha certamente una valenza politica enorme. Come ho già scritto prima, dovrebbe essere però guardato come un piano di rilancio industriale.

Come tale, può e deve avere senso anche alla luce di una collaborazione pubblico/privato: Un’industria della Difesa che possa contare su un valido mercato (Europa + UK) può sviluppare programmi che – rispetto ad oggi – generano maggior profitto a minor rischio, e che quindi possono attirare capitali privati (anche extraeuropei), generando lavoro, gettito fiscale, riducendo lo sforzo pubblico e innescando un ciclo virtuoso.

L’industria della Difesa europea non è certo guidata da incompetenti, né da persone con visione limitata e di parrocchia. Le aperture che ho prima menzionato verso l’Estremo Oriente ne sono esempio.

Nelle mie parole non c’è critica verso di loro. Questi dirigenti sono però troppo soggetti a pressioni e considerazioni che spesso impediscono/influenzano i loro tentativi di integrarsi e armonizzarsi.

Il risultato è che la maggior parte dei programmi vedono coinvolti due, o massimo tre nazioni, e questo non basta: un carro armato europeo che possa guardare a 27 o 28 clienti ha certo più respiro di uno che veda l’adesione di un paio di stati, o un aereo da combattimento di 6° generazione appoggiato da tutta l’Europa stati sarà, presumibilmente, più competitivo i cui costi di sviluppo sono sostenuti da uno o due Paesi.

Ed un mercato grande non è solo “grande”, ma è anche leva di apertura verso altri mercati, e riduzione di costi per le Forze Armate Europee, che sia Esercito unico o la somma di 27 eserciti (… 28 con l’UK, 29 con il Canada, 30 con l’Australia, 31 con la Nuova Zelanda …).

Oltre che di lavoro e sviluppo economico.

La strada è duplicare l’approccio MBDA: un riferimento Europeo, con amplissima adesione, svincolato da, anche se forse coordinato con, la Nato ed in concorrenza esplicita con l’industria statunitense.

La chiave è un Commissario ad hoc che abbia lo sguardo sulle necessità militari, ma nella misura in cui un CEO ha lo sguardo sul suo mercato di riferimento. Un Commissario che abbia

  • la competenza/staff per scegliere le soluzioni migliori in maniera indipendente;
  • l’equilibrio per distribuire equamente fra le varie nazioni attività di sviluppo e di produzione;
  • la forza di imporre, o l’intelligenza per persuadere, stati ed aziende della validità delle sue scelte;
  • la credibilità per mobilitare le risorse europee (industriali … diplomatiche) quando necessario.

Non si può fare?

Non è vero: in alcuni settori (Agricoltura, ad esempio) sono anni che si parla di quote di produzione (le “quote latte …”), mentre la BCE ha autorità a livello europeo ed in alcuni settori (vedi, ripeto, MBDA) l’industria e gli Stati sono riusciti ad autoregolarsi.

Ed un esempio di come potrebbe funzionare ci viene dall’industria privata.

ABB (Asea Brown Boveri) per anni ha funzionato con uno schema a matrice, in cui alle competenze nazionali delle Consociate si contrapponevano autorità tecniche (le “Business Areas”) che, per ciascuna linea di prodotto (trasformatori, motori elettrici ecc.) decidevano quali fossero i migliori disegni e processi fra quelli delle tante unità operative, li imponevano come standard e distribuivano il carico di lavoro fra le varie fabbriche.

Ho vissuto per quasi 10 anni ai vertici di tale sistema, e posso dire con sicurezza che si discuteva tanto e non si era sempre contenti, ma il sistema funzionava, cercando di ottimizzare sforzi e risultati. E che quando la matrice è stata smantellata, l’ABB ha avuto un periodo di crisi gravissima.

Lo schema per l’industria della Difesa Europea povrebbe essere simile: basta sostituire carri armati a trasformatori, o artiglieria a motori elettrici, e le Nazioni alle Consociate.

Certo, sono il primo a rilevarne la differenza: qui si tratta di aziende con azionisti diversi, appartenenti a  varie nazioni e con una forte valenza politica, attiva e passiva: io, nel mio piccolo, ho sperimentato quanto fosse complesso coordinare solo due anime (l’italiana di Alenia e l’inglese di British Aerospace) in sostanzialmente solo due settori (Radar e sistemi di combattimento navale). Entusiasmo e frustrazione – positivo e negativo – entrambe ai livelli di guardia …

Farlo per 27 anime, su decine di settori e linee di prodotto diventa un incubo.

 

Ma si può e si deve fare, e serve una guida politica e professionale forte.

 

Ranieri de Ferrante

 Ranieri de Ferrante è un Fulbright Fellow, ed attualmente – da vecchietto -  si occupa di Ambiente. Nel passato ha operato nella Farmaceutica, Consulenza (McKnsey), Informatica, Energia e Difesa, coprendo posizioni come Presidente, ABB, Central Eastern Europe e Co – CEO, Alenia Marconi Systems (una JV fra l’allora Finmeccanica e la British Aerospace). Proveniente da una famiglia di Militari, Storia e Difesa sono le sue passioni.

 

18-03-2025
meridianoitalia.tv

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