di Giuseppe Morabito

Venerdì a Parigi due persone sono rimaste gravemente ferite in un attacco a colpi d’ascia nei pressi dell'ex ufficio di Charlie Hebdo.

In Francia le forze di sicurezza stanno indagando partendo dalla ormai palese ipotesi di attacco terroristico che avviene a poco più di cinque anni da quello in cui uomini armati hanno aperto il fuoco nella redazione della, pur discutibile per contenuti, rivista satirica francese.

L'aggressione si è verificata nella tarda mattinata di venerdì, quando un uomo che brandiva un’ascia da macellaio si è avvicinato e ha pugnalato due dipendenti di una società di produzione televisiva che stavano facendo una pausa sigaretta davanti al proprio ufficio. L’attacco è avvenuto in Rue Nicolas Appert, la strada in cui si trovava l'ufficio  al momento del massacro del 2015.

Al momento ci sono otto persone in stato di fermo, oltre i due principali sospettati, sono stati arrestati altri sei uomini mentre si trovavano in un appartamento nell’area di Seine-Saint-Denis. Lo stesso appartamento dove, secondo gli inquirenti, viveva il principale sospettato.

 La Francia è ancora alle prese con profonde lacerazioni psicologiche derivanti dalla strage negli uffici di Charlie Hebdo, atteso che quell'attacco, che ha scatenato un'ondata di solidarietà in tutto il mondo verso la rivista, è diventato un simbolo delle tensioni tra la libertà di parola e gli insegnamenti islamici che vietano le raffigurazioni del Profeta Maometto.

Purtroppo  e tragicamente negli anni successivi, la Francia ha subito una serie di attacchi che hanno mietuto centinaia di vittime.

All'inizio di questo mese, Parigi ha aperto un processo contro presunti complici dell'attacco a Charlie Hebdo e un assalto mortale, giorni dopo, a un negozio di alimentari kosher. Per inquadrare l’evento di venerdì va subito evidenziato che la rivista, che ha trasferito la sua sede dopo l’attacco, ha recentemente ripubblicato le vignette del Profeta Maometto che hanno quasi certamente innescato gli aggressori di ieri. A conferma, secondo alcune fonti, un gruppo di media affiliato alla propaggine di Al Qaeda (ora sotto la “dirigenza“ dei fratelli Mussulmani), nello Yemen, ha rilasciato una dichiarazione che incoraggia gli attacchi in Francia come risposta alla ripubblicazione. L’attacco nell’ex zona di Charlie Hebdo ci ricorda, oggi, che trascurare la minaccia rappresentata dal ritorno di combattenti terroristi stranieri e la radicalizzazione carceraria può avere conseguenze mortali. È evidente che i jihadisti sono riusciti a radicalizzare e reclutare cittadini francesi sia online sia di persona. Gli estremisti islamici hanno invitato, con successo, i loro seguaci a compiere attacchi in Europa o a unirsi alla lotta in Medio Oriente. Gli stati europei devono assumersi la responsabilità per i rispettivi cittadini che tornano dalle zone di conflitto assicurandosi che i combattenti stranieri rimpatriati e, speriamo, condannati, non siano in contatto con altri estremisti in prigione. Dobbiamo proteggere i nostri cittadini e imparare dalle orribili esperienze che abbiamo sopportato finora. Charlie Hebdo è una lezione per non sottovalutare mai la minaccia che la radicalizzazione carceraria e i combattenti stranieri possono rappresentare se non adeguatamente controllati.  La Francia è la principale fonte di combattenti occidentali in Iraq e Siria, con circa 2.000 cittadini francesi che si sono recati nella zona di conflitto a maggio 2016. Il paese soffre di un grave problema di radicalizzazione all'interno delle sue prigioni, dove si stima che circa 1.400 detenuti sono stati radicalizzati. Ora, le autorità turche hanno annunciato di aver rimpatriato 150 combattenti terroristi stranieri dalla Siria dallo scorso novembre. 

Proprio la Turchia è, però considerata insieme al Qatar, come uno dei principali sponsor dell’organizzazione dei Fratelli Mussulmani che in questo momento è particolarmente attiva anche in aperta e ostile azione contro il  recente successo della firma a Washington degli accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Quanto precede sotto l’egida del Presidente Trump che aveva affermato: "Dopo decenni di violenze questi accordi segnano l'alba di un nuovo Medio Oriente grazie al coraggio dei leader visionari di questi tre Paesi" aggiungendo che "nasce un nuovo Medio Oriente con un accordo che nessuno pensava fosse possibile e che a breve sarà firmato da altri cinque o sei Paesi arabi". Alla firma aveva partecipato, infatti, anche l'ambasciatore dell'Oman negli Usa, un Paese che, come Sudan e Marocco e forse anche Arabia Saudita, potrebbe seguire gli altri due Paesi del Golfo e normalizzare i rapporti con Israele.

Tutto questo, anche se leggibile in chiave di pace e schieramento anti iraniano, infastidisce i palestinesi e chi li sostiene. Infatti, gli Accordi di Abramo che hanno sancito la pace tra Israele da una parte ed Emirati e Bahrein dall'altra hanno "totalmente riconfigurato" gli equilibri del Medio Oriente, cercando di mettere la parola fine al "fulcro" del conflitto israelo-arabo-palestinese.

Gilles Kepel, esperto di mondo arabo, ha dichiarato, per esempio, che nelle crisi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente', nella regione si vanno evidenziando due alleanze ben distinte. La prima è quella di 'Abramo' con America e alcuni Paesi europei (Italia si spera inclusa), Israele e quegli Stati come Egitto e Giordania che hanno firmato la pace con Tel Aviv. Dall'altra c'è un’alleanza piuttosto ostile alla prima che poggia sui Fratelli Musulmani nel mondo sunnita con Turchia e Qatar , in qualche modo alleati dell'Iran.

In Italia, mentre continuano gli ottimi legami commerciali, per l’industria della difesa, con il Qatar, il Virus di Wuhan ha fatto sì che l’opinione pubblica sia stata distolta dal rischio terrorismo.

C’è forse la speranza, secondo qualche esperto mediorientale, che la resa culturale connessa con l’accordo di Faro, che prevede uno strano meccanismo per il quale chi vi aderisce deve far sì che il proprio patrimonio artistico non offenda altri popoli e altre culture, ci faccia apparire come un “avversario buono” ai terroristi che quindi potrebbero rivolgere le loro sanguinarie attenzioni altrove.  

Insomma si tratta di nascondere un po’ d’identità e un po’ di tradizione per non disturbare musulmani che vivono da noi o ci visitano. Quello di censurare, per esempio le statue, non è nuovo al nostro paese dopo la figuraccia internazionale seguita alla farsesca  decisione di coprire con i teli alcune statue di nudi dei Musei Capitolini in occasione della visita in Italia del presidente dell'Iran Hassan Rohani.

C’è, quindi, solo la speranza che quello di Parigi sia solo un caso isolato di programmato e voluto atto di terrorismo (non credo i francesi sposino la tesi buonista del “povero malato di mente) e che i terroristi, grazie al capillare contrasto della vendita di armi al mercato nero, continuino a reperire solo asce e soprattutto si riesca a contrastare meglio la radicalizzazione in atto in Europa sia nelle aree densamente popolate colpite dalla crisi economica sia nelle carceri. 

                                                                                       

26-09-2020
Autore: Giuseppe Morabito
Generale dell’Esercito Italiano
Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation
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