di Emanuela Locci
La fragilità della politica estera italiana si è mostrata in modo pieno ed esaustivo in diversi momenti: dalla sostituzione in Libia da parte di francesi e turchi, solo per citare i maggiori artefici esterni del rovescio, fino alla recente vicenda legata al rapimento della giovane cooperante Silvia Romano.
Non che l’Italia abbia mai effettivamente brillato per ciò che riguarda la politica estera, però oggi la capacità di influenza e di attrazione del Belpaese sembra essere ai minimi storici. Le cause sono molteplici e si sono ripetute nel tempo, in particolare nell’ultimo ventennio non si è riusciti ad esprimere personalità che abbiano proposto una linea politica e un’agenda del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, adeguata. Si offrono in questo breve articolo degli spunti di riflessione, che ovviamente non esauriscono il tema, ma fungono da input per ulteriori considerazioni. Da dove o da cosa si potrebbe ripartire per rinvigorire il prestigio italiano all’estero?
Propedeutica ad ogni possibile azione ministeriale dovrebbe essere fatta una precisa scelta di campo: evitando di stare troppo al centro dei sistemi politici e diplomatici esterni, che determinano la paradossale situazione di non trovare interlocutori affidabili in nessuna delle parti. In particolare si dovrebbe coltivare l’alleanza che ci unisce a quello che un tempo si chiamava “blocco occidentale”, senza che questo significhi esserne assoggettati: è necessario rivestire un ruolo attivo. L’Italia è parte dell’Unione europea, e dovrebbe riavvicinarci a un modello di unità europea che abbia come primo strumento la politica Estera Europea, abbandonando i nazionalismi e sovranismi che stanno prendendo piede nel paese.
Per un’azione incisiva nel tempo, sarebbe auspicabile partire proprio dalla parola chiave “cooperazione”. L’Italia dovrebbe instaurare una cooperazione regionale stabile, ad esempio con i paesi dell’area del Mediterraneo, in cui può svolgere un ruolo importante. Questo significherebbe innanzitutto promuovere iniziative legate alla presenza italiana in alcuni punti strategici, come ad esempio i paesi della sponda sud del Mediterraneo. Paesi dove già in passato l’Italia ha avuto un ruolo di rilievo e che invece oggi rappresentano i fallimenti più evidenti della politica estera: la Libia e la Tunisia in primis.
Anche il drammatico momento storico che stiamo vivendo può trasformarsi in un’occasione, perché durante il post pandemia si stabiliranno nuovi equilibri e nuove alleanze. L’Italia potrebbe impostare una linea politica lungimirante che abbia delle proposte e scadenze a breve, medio e lungo termine, in vista di un rilancio dell’intero sistema Italia.
A breve e medio termine, sarebbe auspicabile stabilire partenariati strategici nuovi o temporanei che si riferiscono direttamente alla gestione della pandemia, vista anche la nostra esperienza sul campo. A lungo termine sarebbe auspicabile un nuovo programma di alleanze e cooperazione tra paesi e potenzialmente, l'istituzione di nuove strutture politiche che costituiscono la base per la nuova politica internazionale. Queste nuove connessioni dovrebbero essere costruite su una base di pragmatismo invece che sul tradizionale allineamento politico.
Per conseguire un progetto organico si dovrebbe intensificare la presenza presso le ambasciate di figure professionali ad hoc incaricate di vagliare quali siano le “necessità” della nazione in questione e in base alla loro identificazione si dovrebbe sopperire a queste “necessità” offrendo collaborazione e sostegno economico ai governi, nell’ottica di un “ritorno” in termini di accordi commerciali, energetici, di sicurezza internazionale e scambi culturali. Perché il meccanismo funzioni sarebbe condizione imprescindibile la comunicazione costante tra gli incaricati delle ambasciate e il ministero degli esteri che nel pianificare gli interventi dovrebbe lavorare in concerto con i ministeri italiani preposti: ad esempio se si intende portare avanti un progetto sull’agricoltura gli attori devono essere: lo stato ospitante, l’incaricato dell’ambasciata, il ministro degli esteri e quello dell’agricoltura. Questo modello virtuoso dovrebbe riproporsi negli ambiti di interesse. Tutto ciò dovrebbe essere organizzato con una particolare attenzione verso una proiezione europea di politica estera. Infatti, ad oggi non appare una politica estera organica, ma si nota sempre più una frattura tra le politiche dell’Unione e quelle nazionali. Questo ostacolo deve essere superato con l’ideazione di un’idea comune di politica estera. Lo stesso dicasi per la sicurezza internazionale, con l’istituzione di un Esercito Europeo.
Un’altra testa di ponte con queste nazioni, potrebbe essere rappresentato dal capitolo cultura, di cui l’Italia, pur tra tante difficoltà, ha il primato. Sarebbe auspicabile la ripresa delle attività dei centri educativi, scuole, università, che già erano presenti in passato in alcune città. Questi centri culturali dovrebbero essere fruibili per tutti i cittadini, grazie alla stipulazione di protocolli e accordi con i governi. È attraverso l’educazione che si legano le persone ad un’idea positiva di Italia. È impensabile portare avanti questa linea di condotta se si continua a smantellare il nostro sistema Italia. Nel perseguimento dei propri obiettivi l’Italia dovrebbe inserirsi in circuiti virtuosi che tengano conto delle “necessità” dei governi con cui intendono intrattenere rapporti, e assicurare un sostegno fattivo nella progettazione di infrastrutture e educazione. Questo tipo di collaborazione, in cui viga una condizione “do ut des” presuppone che l’Italia avrà un rapporto privilegiato con questi paesi negli ambiti di reciproco interesse. L’Italia è nazione dalle mille potenzialità, ha necessità perché esse si concretizzino di una razionale e pragmatica gestione da parte degli enti preposti. Che dovrebbero nel proprio operato essere sburocratizzati e messi nelle condizioni di operare in modo responsabile e fruttuoso, in vista del raggiungimento degli obiettivi.