Gian Diego Carastro

La buona partecipazione è un diritto ed un dovere di ogni persona che abbia a cuore il bene comune. Soprattutto in tempi di emergenza sanitaria da coronavirus, è importante non dimenticare che la nostra democrazia repubblicana si basa sulla qualità della partecipazione dei cittadini. Queste settimane di clausura forzata possono spingerci a tornare con il cuore alla questione di come dare nuova linfa alla convivenza sociale, pacifica, generativa di cambiamenti, attenta a chi rischia di rimanere indietro, alla tutela dell’ecosistema.


La democrazia rappresentativa attraversa da più anni una fase di stanca la crisi dei partiti, dei sindacati, dei corpi intermedi necessita un ripensamento su come coinvolgere i cittadini alla responsabilità verso il bene comune Si è parlato tanto del ricorso alla democrazia diretta, distinta dalla democrazia rappresentativa: certamente è una opportunità, ma che presenta dei limiti: l’assetto costituzionale repubblicano predilige la democrazia rappresentativa; le scelte che vengono presentate al corpo elettorale sono binarie, spesso articolate in un SI o NO (v. referendum), dinanzi ad una realtà molto più complessa e plurale, ricca di NI, SO, non saprei…
Vorrei proporre di analizzare anche altri strumenti più congrui e funzionali, al fine di dare un contributo civico alla rigenerazione della nostra democrazia italiana. Con la associazione di cui sono membro (Argomenti 2000 di Senigallia) da mesi stiamo studiando una innovazione democratica, costituita da diversi arcipelaghi vicini tra di loro: la democrazia deliberativa, la democrazia partecipativa, la democrazia di prossimità.
Occorre essere franchi: non si tratta di un percorso facile. Infatti, occorre conoscere e superare quelli che potremmo chiamare i quattro ostacoli allo svolgimento di efficaci processi partecipativi innovativi. Li elenco in rapida sequenza.
• Il paradigma della superiorità dei tecnici: I cittadini sono incompetenti, solo la Pubblica Amministrazione ha le conoscenze adatte per risolvere problemi complessi.
• Il paradigma della sfiducia verso le istituzioni: Non fidiamoci! Le Istituzioni si interessano a noi solo per “intortarci”. Ci vogliono abbindolare. Stiamo attenti. Anzi, di più. Contestiamo e protestiamo quelle che sicuramente sono “minestre già cucinate”, che vogliono far passare per libera discussione…
• Il paradigma del decisionista: Io sindaco, io amministratore sono stato eletto. Non mi serve il parere dei cittadini perché ho già il loro consenso. Ci rivediamo alle prossime elezioni. Non intendo trascurare il mio pieno mandato a governare. Anzi, se ascolto troppo i cittadini, rallento nell’attuazione del programma elettorale.
• Il paradigma dei poteri forti: I processi partecipativi servono solo come “fuffa”, come fumo senza arrosto. Le vere decisioni si prendono dietro le quinte.

Per superare questi ostacoli, dobbiamo tutte e tutti tornare a considerare la partecipazione dei cittadini come forma di azione politica e di costruzione di pubblico, giorno dopo giorno. Ci Sta a cuore la partecipazione come esperienza di democrazia e formazione quotidiana e corale alle virtù civiche della solidarietà, inclusione, empatia, rispetto.
Ci viene, infine, incontro il pensiero del costituzionalista Umberto Allegretti, che è stato tra i primi in Italia a studiare gli spazi e le finalità che la Costituzione offre alla democrazia deliberativa/partecipativa. Per lo studioso, gli ambiti di influenza della democrazia partecipativa possono essere i seguenti:
▪ la democrazia come forma di governo (diffusione del potere, ripresa di fiducia nell’azione pubblica),
▪ l’ampliamento dei diritti delle persone (empowerment, democrazia dei giovani e dei bambini, promozione delle minoranze),
▪ la giustizia sociale (effetti redistributivi),
▪ la efficacia ed efficienza dell’azione pubblica (discussione delle alternative, ruolo dei saperi quotidiani e dei saperi esperti alternativi).
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La motivazione che ci spinge a promuovere innovazioni democratiche è che la democrazia di prossimità avvicina i cittadini tra di loro e tra loro e le istituzioni. Nono solo sogni: infatti bilanci partecipati, dibattiti pubblici su grandi opere, social street, nuove idee di partecipazione scolastica, giurie dei cittadini, sondaggi deliberativi, procorsi partecipativi su Agenda 21 ed azioni locali partecipate sono solo alcune delle forme in cui si condensano le innovazioni democratiche a cui facciamo riferimento. Tali innovazioni sono sviluppate anche in Italia oramai da diversi decenni, seppur a macchia di leopardo e senza continuità temporale. Ma esistono!
La buona notizia, quindi, è che già esistono processi partecipativi strutturati, disegnati per includere più punti di vista possibili, capaci di rendere protagonisti i cittadini e migliorare le politiche pubbliche; sono forme partecipative che prevedono delle trasparenti rendicontazioni pubbliche.
Inoltre, le esperienze concrete sono state affiancate da una solida riflessione culturale. Esemplare il lavoro che da decenni portano avanti associazioni come Associazione Italiana per la partecipazione pubblica (AIP2), oppure Cittadinanzattiva, oppure ancora LABSUS- Laboratorio per la sussidiarietà. Per non parlare di studiosi come U. e G. Allegretti, L. Bobbio, I.Casillo, G. Cogliandro, F. Cucculelli, D. Della Porta, A. Ferrara, A. Floridia, M. Fotia, S. Franceschini, G. Gangemi, F. Gelli, S. George, T. Lapis, R. Lewanski, M. Marchetta, A. Mariotto, G. Marletto, A. Mengozzi, L. Morlino, N. Labate, M. Olivetti, G. Paba, L. Padovani, A. Pecoriello, C. Perrone, L. Pellizzoni, C. Pignaris, A. Pillon, E. Preziosi, ,A. Raus, S. Ravazzi, I. Romano, G. Saonara, V. Sammarco, M. Sclavi, A. Valastro, S. Zamagni.
La peculiarità del momento ci interpella: la emergenza del coronavirus trasformerà radicalmente le nostre società. Sarà necessario anche ricominciare a vivere meglio la nostra cittadinanza repubblicana Questo ci spinge a promuovere e valorizzare i legami che ruotano intorno ai corpi intermedi: famiglie, scuole, parrocchie, piccole e medie imprese, le relazioni civiche di vicinato, le reti di cittadinanzattiva, i gruppi di studiosi sopra richiamati, le nostre scuole, le strutture sanitarie (oggi presidio di sanità pubblica ed eroismo di medici ed infermieri), le grandi infrastrutture su cui si innesca un conflitto ambientale.

In vista della fine della emergenza da coronavirus, vorremmo scommettere sulla “democrazia argomentativa”.
Perché non lo facciamo insieme?

23-03-2020
Autore: Gian Diego Carastro
PH.D. Membro di Argomenti2000 Senigallia
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