di Fabio Porta
Orvieto, 18 gennaio 2025
Il titolo del convegno non contiene la parola “riformismo” ma è il RIFORMISMO la declinazione del ‘combinato disposto’ tra titolo e sotto-titolo; “Idee per una sinistra di governo – cosa dobbiamo, vogliamo, possiamo”: è il riformismo infatti la sintesi politica tra il dovere, la volontà e – soprattutto – le concrete possibilità di attuazione di un progetto politico.
Voglio in questo breve intervento fare riferimento a due grandissimi (e attualissimi, aggiungerei) riformisti del secolo scorso: mi riferisco a Giacomo Matteotti – del quale abbiamo appena finito di celebrare il centenario dalla morte – e a Luigi Sturzo, del quale celebreremo tra qualche mese i 120 anni dal famoso “discorso di Caltagirone” con il quale poneva le basi teoriche e operative di quella he con un linguaggio contemporaneo chiameremmo oggi “la discesa in campo dei cattolici”.
E cito Sturzo e Matteotti non a caso, poiché proprio alle culture politiche cattolico democratica e socialista democratica ho ispirato il mio impegno politico che mi ha portato ad aderire ai “Cristiano Sociali” di Pierre Carniti nel 1993 e quindi al PD di Walter Veltroni nel 2007.
Mentre i “Cristiano Sociali” non erano un partito ma un luogo di presenza organizzata dei cattolici nello schieramento progressista, il PD nasceva invece come partito dove “il pensiero politico liberale, quello socialista e quello cattolico democratico” – così come li definiva il Manifesto dei valori – si incontravano per dare all’Italia un grande partito riformista ed europeista.
Era questo il sogno di Matteotti e Sturzo, due personalità diverse ma unite dalla ricerca di un nuovo umanesimo, dalle sincere convinzioni autonomiste, europeiste e internazionaliste; due “sconfitti anche se vincenti”, come qualcuno li ha definito, se è vero che proprio il mancato accordo tra socialisti e popolari favorì in qualche modo l’avvento di Mussolini e dei suoi accoliti, anche se successivamente la storia darà ragione alla coraggiosa iniziativa di Sturzo e al progetto riformista di Matteotti. Sturzo, già nel discorso di Caltagirone del 1905, si augurava che mai la denominazione di “cattolico” o cristiano” fregiasse il partito che nasceva all’indomani dell’attenuazione del “non expedit” pronunciando a fine discorso le famose parole e ancora attualissime parole “o sinceramente conservatori, o sinceramente democratici” optando ovviamente per questa seconda strada e addirittura arrivando ad auspicare, ove necessario, una sana divisione tra cattolici conservatori da una parte e democratici dall’altra.
Matteotti, dal canto suo, soffrì sulla pelle gli attacchi dei massimalisti oltre a passare per ben due scissioni, quella di Livorno del 1921 e dell’ottobre del 1922, pochi giorni prima della marcia su Roma.
Anche oggi è questo il tema: quale e soprattutto quanto riformismo “dobbiamo, vogliamo e possiamo” portare all’interno della proposta di governo dello schieramento progressista e in particolare del PD.
Un riformismo che oltre ad essere necessariamente europeista deve fare della difesa dei diritti umani in tutto il mondo una delle travi principali della sua costruzione teorica e pratica: dall’Ucraina al Venezuela non possono esserci tentennamenti o distinzioni sulla difesa della sovranità e dello Stato di diritto per chiunque voglia dirsi sinceramente democratico e progressista. Un riformismo, infine, che in considerazione delle sfide globali poste dall’innovazione tecnologica possa attingere a un rinnovato umanesimo all’altezza dei tempi e attento alle esigenze di una socialità diffusa.
Cento anni fa la mancata unione dei riformismi (cattolico e socialista) spianò la strada al fascismo; anche oggi, come allora, i riformisti sono maggioritari nel Paese ma rischiano di venire sconfitti da un neo-massimalismo identitario da una parte e dai rigurgiti di un nazionalismo liberista dall’altro. A noi la grande responsabilità di raccogliere e rilanciare questa sfida, per il bene del Paese anzitutto!