di Michele Grilllo
42 anni fa il Prefetto Dalla Chiesa fu mandato a Palermo dopo avere combattuto e vinto il terrorismo in Italia. Era l’uomo giusto per contrastare “Cosa Nostra” che al quel tempo spadroneggiava nel capoluogo palermitano dilaniato e insanguinato dalla guerra di mafia. Gli promisero poteri speciali ma poi fu lasciato da solo.
La sera del 3 settembre il generale venne assassinato con raffiche di kalashnikov AK-47 assieme alla giovane moglie e al suo agente di scorta mentre percorrevano la via Isidoro Carini a Palermo. “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti” citava un cartello lasciato sul luogo dell’eccidio. Una strage che sarà commemorata e ricordata ancora oggi dopo 42 anni con la deposizione delle corone di alloro alla presenza del ministro dell’Interno Piantedosi e dei vertici dell’Arma dei Carabinieri.
Furono giorni culminati da continue pungenti polemiche che si manifestarono anche durante i funerali dove la protesta si fece più aspra contro i politici che di fatto non avevano messo il generale nelle condizioni di lavorare incisivamente per sconfiggere il potere mafioso. Sulla scia del triste accaduto, dieci giorni dopo, il Parlamento approvò la legge Rognoni-la Torre con cui venne introdotto il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni.
Per i tre omicidi furono condannati alla pena afflittiva dell’ergastolo come mandanti di “Cosa Nostra” i boss Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Giuseppe Calò e Antonino Geraci. Quali esecutori dell’attentato, nell’anno 2002 furono condannati in primo grado alla pena perpetua dell’ergastolo Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia e a quattordici anni di reclusione Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci.