di  Nicola Mattoscio

Mai come quest’anno le celebrazioni del 25 aprile si riflettono nella vita delle nostre istituzioni democratiche, in quelle sociali e nella costruzione del discorso pubblico. Alle origini ci sono l’aggressione russa all’Ucraina e le sua imprevista Resistenza militare e di popolo, nonché una rapida ridefinizione della geografia economica e politica del mondo. Non mancano le polemiche, in particolare sul ruolo del nostro Paese nell’invio delle armi ad un Paese invaso e sul modo di intendere la difesa e il ripristino della pace.

Non si deve dimenticare, comunque, che divisioni, discussioni, entusiasmi e ritrosie hanno sempre accompagnato la celebrazione, fin dalla sua prima volta avvenuta nel 1946 su iniziativa di Giorgio Amendola e proposta di Alcide De Gasperi. Infatti, si dovette pazientare fino al 1950 per vedere la partecipazione delle più alte cariche dello Stato, a cominciare dalla figura del Presidente della Repubblica, che in quel caso fu Luigi Einaudi. Solo allora si legittimò con pienezza la proclamazione dell’insurrezione nazionale  da parte del Cln nella enfatizzazione mitologica fondativa della nuova democrazia italiana. Le parole del decreto luogotenenziale non lasciano dubbi: «A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile del 1946 è dichiarato festa nazionale», mentre bisogna aspettare la legge del 1949 in materia di ricorrenze festive per la sua istituzionalizzazione.

Nel durante davvero tante e aspre contrapposizioni. Da allora, con inevitabili alti e bassi in dipendenza delle diverse intensità sentimentali delle maggioranze protempore al Governo, la Festa della Liberazione si è progressivamente affermata come la ricorrenza più emblematica, sentita e partecipata dagli italiani e posta a base della convivenza civile dell’intera comunità nazionale. Si spiega così che oggi, mentre nel cuore dell’Europa un Paese democratico è invaso da un’altro a regime oligarchico, super potenza militare e nucleare, il Presidente Mattarella ha modo autorevole e incontestabile di precisare che il 25 aprile: «Ricordiamo la rivolta in armi contro l’oppressore. Rivolta che fu morale, anzitutto … e poi difesa strenua del nostro popolo dalla violenza che veniva scatenata contro di essa… una data in cui il popolo e le Forze Alleate liberarono la nostra Patria dal gioco imposto dal nazifascismo. Un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista» (www.ilquirinale.it//Discorsi:22/04/2022).

Da quella esperienza derivano i valori ideali contro qualunque sopraffazione autoritaria che ci guidano ancora: «Dal “nostro” 25 aprile, nella ricorrenza della data che mise fine alle ostilità sul nostro territorio, viene un appello alla pace. Alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza» (ibiden). Dunque, non possono esserci tentennamenti, fughe dalle responsabilità o vie di mezzo. Sopratutto, l’ammonimento di Mattarella è perfettamente il linea con le parole del massimo leader riconosciuto della Resistena italiana quale fu Ferruccio Parri: «Ogni giorno la storia di un popolo pone problemi nuovi e ogni giorno ha una liberazione da compiere. Quello che conta è che il cammino segua una linea di chiarezza» (La Liberazione, 1965).

E’ dalle esperienze concrete della storia, allora, che emergono limpide ed impetuose le ragioni profonde dell’attualità dei valori della ricorrenza del 25 aprile, come strade di liberazione ancora e sempre da percorrere, specie in questi tempi difficili che destano tanti allarmi nella nostra vecchia Europa

25-04-2022
Autore: Nicola Mattoscio
Presidente ANRP
Professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Chieti – Pescara
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