di Edio Costantini
Addio a Paolo Rossi. E’ stato un grande calciatore, un idolo per i giovani degli anni 80, in cui i ragazzi si sentivano un pò tutti dei “Paolo Rossi”. . Un atleta umile, intelligente e di grande spessore umano. Sono doti importantissime per un calciatore sia dentro il campo, ma anche fuori. E non è un caso che, oggi, tutto lo sport italiano lo ricorda non solo per le gioie calcistiche indimenticabili, ma soprattutto per l’aspetto privato del Paolo uomo, sempre sorridente, accogliente e di grande umanità. Così lo ricorda suo figlio Alessandro: “Papà è sempre stato una persona umile, generosa, sempre presente. Fantastico anche nella vita privata. Non ha mai detto di no a nessuno, sempre disponibile ad aiutare gli altri. La sua dote più grande era l’altruismo” .
Non è facile riassumere in poche righe tutto quello che è stato Paolo per il calcio italiano. Una carriera da brivido, anche se qualche ombra è rimasta. Infatti, il 1° marzo del 1980, Rossi fu coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse con altri giocatori del Perugia e viene squalificato per due anni. Lui si è sempre dichiarato innocente. A tirarlo fuori dal tunnel in cui era piombato ci pensò prima Boniperti riportandoselo alla Juventus, dove era già arrivato da ragazzino e poi Bearzot che lo rimise nella nazionale azzurra nonostante avesse concluso la squalifica solo un mese prima.
Paolo Rossi, per diverse generazioni di ragazzi è stato il simbolo del riscatto, di colui che tocca il fondo, che trova in Bearzot il “maestro” che crede in lui e che in silenzio diventa eroe nazionale. Quel che accadde in Spagna nel 1982 è storia nota, così come la conquista del Pallone d’Oro. Nel dicembre 1987, a 31 anni, dice basta al calcio per diventare opinionista televisivo.
La sua è la storia di uno degli attaccanti più forti che l'Italia abbia mai avuto, un giocatore leggendario che ha lasciato il suo segno impresso nella vita del calcio mondiale.
Sono passati quarant’anni ma sembra che siano passati secoli per il calcio italiano. Ora è difficile da spiegare ai giovani di oggi quel modello di calcio, quando il calcio in TV era poco ma era per tutti ed era gratis, quando le maglie delle squadre erano senza sponsor e i grandi campioni non erano delle star intoccabili e grandissimi milionari. Dagli anni Novanta, il mondo del calcio è cambiato profondamente. La cultura calcistica che ha generato Paolo Rossi ed altri campioni di quel periodo non esiste più. Oggi è difficilissimo che tutto questo accada di nuovo. La scomparsa di Paolo Rossi ci mette di fronte alla “mutazione genetica” che ha subito il calcio professionistico negli ultimi vent’anni. Inoltre, ci pone di fronte i tanti disastri educativi che esso ha prodotto nelle ultime generazioni di giovanissimi. Basta pensare al falso modello di molte “scuole calcio” che illudono di formare futuri campioni invece sono piccole “botteghe” in mano a dei cattivi maestri. Potremmo chiamarla l’industria degli “illusi”: l’illusione di poter diventare un campione senza fatica, senza sacrifici e senza talento. Tutto ciò ha deteriorato e rovinato il calcio giovanile.
Oggi, il calcio è diventato lo sport delle vite al limite, delle idolatrie, dell’ateismo del successo a tutti i costi. Vite al limite: del conformismo, della morale, del lecito, della sopraffazione dell’uno sull’altro. Il denaro, la carriera, il culto delle immagini e delle apparenze, ha divorato velocemente il vero “capitale sociale” dello sport che è il primato dell’uomo. L’atleta non vale più per quello che è, ma per quello che è capace di dare in termini di prestazione sportiva. Il risultato e la vittoria a tutti i costi, assumono priorità sul gioco, sul divertimento e sulla formazione delle persone.
Forse, Paolo Rossi è stato anche un uomo “imperfetto” come lo siamo un po’ tutti noi, ma, nonostante tutto, la straordinaria vita calcistica di Paolo Rossi e la sua straordinaria umanità ci lascia alcuni grandi insegnamenti:
- Mai arrendersi. Si può cadere, inciampare o precipitare nel burrone ma si può anche avere la forza di risalire la vetta e risorgere;
- Avere tanta umiltà. Per affrontare le grandi sfide ci vuole tanta umiltà. Umiltà vuol dire consapevolezza dei propri limiti e dei propri talenti. Vuol dire anche avere il coraggio e la tenacia a non mollare. Umiltà vuol dire non fuggire di fronte alle traversie della vita e avere la capacità di chinarsi sino a terra e riconoscere i propri errori.
- Non si vive di solo calcio. Ha sempre pensato che il successo fosse una cosa effimera. Era convinto che: “Il successo e la fama sono cose bellissime, che esplodono in modo fragoroso e si spengono altrettanto velocemente. La strada che ti porta alla felicità è un’altra: è la vita quotidiana… nell’uscire con gli amici, nel vivere il rapporto con la famiglia”.
- Avere la fede in Dio. Fin da piccolo ha frequentato la chiesa: faceva il chierichetto e proprio in parrocchia scopre la passione per il calcio. A 10 anni già giocava nella squadra parrocchiale. Ma ben presto, il ragazzino pratese tifoso della Fiorentina si rivela un vero talento. A 11 anni passa dal campetto dell’oratorio Santa Lucia al vivaio della Cattolica Virtus, alla periferia di Firenze. E lì che fu “scovato” dal general manager della Juventus Italo Allodi e, da quel momento ha inizio la sua carriera calcistica.
Per lui i valori cristiani sono stati fondamentali: facevano parte
integrante della sua cultura e permeavano i suoi comportamenti. Lui
stesso, più volte ha ammesso che la fede lo ha aiutato molto,
soprattutto nei momenti di difficoltà.
Grazie Paolo. Resterai sempre nei nostri cuori e nei nostri ricordi.