di Francesco Tufarelli
La ricorrenza del 9 maggio, tradizionalmente la festa dell’Europa, cade quest’anno in un momento particolarmente delicato a livello europeo e internazionale.
La pandemia ha travolto la vita ed i ritmi dei cittadini, coprendo con un inquietante alone tutte le attività del vivere civile. Ai numerosi decessi intervenuti in questi sessanta giorni si aggiunge oggi lo spettro di una terribile crisi economica, di cui ancora non riusciamo bene a valutare l’entità.
Tuttavia, mentre ancora elaboriamo il lutto e piangiamo i numerosi morti il tempo non si ferma ed è dunque necessario che il mondo intero, ma l’Europa in particolare, trovi modi e tempi di reagire, così come ha sempre fatto nel corso della sua pur breve storia. A voler essere precisi infatti fu proprio dalla tragedia delle guerre mondiali che i padri fondatori trovarono idee, motivazioni ed energie per disegnare l’Europa comunitaria.
Da allora la storia dell’unione è contrassegnata da continui “stop and go” e proprio nelle più grandi crisi i leader europei hanno individuato le ragioni per continuare a lavorare insieme, compiendo i più rilevanti progressi. Non sfugge a nessuno infatti che la stessa Europa, che nella prima metà del ventesimo secolo causò e ospitò ben due guerre mondiali, nella seconda metà dello stesso secolo è divenuta il continente della pace. Basterebbe questo a giustificare ancora oggi il perseguimento del disegno europeo. Pur tuttavia negli anni il quadro si è caratterizzato per enormi e continui progressi in diverse direzioni: politica agricola, politica dei trasporti ed in genere completamento del mercato unico. Oggi, difronte alla più grande crisi economica dal dopoguerra, è necessario aggredire con decisione il dossier riguardante la politica economica e finanziaria. E’ necessario che l’unione prenda coscienza della sua limitata dimensione, aprendosi ulteriormente e favorendo una reale integrazione che vada oltre la pur importante adozione di una moneta unica.
L’assetto delle istituzioni europee è sicuramente perfettibile, il parlamento va valorizzato al pari degli altri organi legislativi, la Commissione deve rinforzarsi nel suo ruolo di garante nei trattati e il Consiglio deve superare gli egoismi degli stati nazionali. I fondi da stanziare a favore di cittadini e aziende colpite dalla pandemia sono solo un tassello verso una politica economica più coraggiosa. L’occasione deve essere sfruttata anche per aumentare i contributi nazionali all’esiguo bilancio europeo, fin dal prossimo settennato. La solidarietà fra stati non può ne deve limitarsi al momento contingente della crisi. Interventi congiunturali si devono trasformare in politiche strutturali. Se le istituzioni europee da sole non si dovessero ritenere all’altezza del compito, sarà sempre possibile chiedere aiuto alle realtà nazionali, regionali e locali, alle Università e ai Centri studi, ai cittadini e alla società civile in genere.
Potrebbe essere opportuno, una volta esaurita la fase pandemica, convocare, come nel 2003, una grande convezione, con il compito di disegnare contenuti e confini di una nuova “costituzione europea”.
Sarà però opportuno evitare questa volta gli errori fatti nei primi anni duemila, quando i preziosi suggerimenti pervenuti dalla convenzione furono accantonati, preferendo elaborare un deludente trattato. In quei giorni un importante esponente della convenzione ebbe modo di dichiarare “ho sognato una Costituzione e mi sono svegliato con un Trattato”. Mi rendo perfettamente conto degli ostacoli giuridici e politici sulla strada di una tale operazione, ma se tali ostacoli avessero costituito un limite per i padri fondatori, oggi avremmo difronte a noi non un’unione ma ventisette piccole colonie alla ricerca del migliore padrone possibile.
Chi oggi pensa a piani alternativi o ad improbabili diverse alleanze è sicuramente fuori dalla storia e probabilmente anche fuori dalla geografia. Così come furono inevitabili i diversi piccoli allargamenti successivi al 1957 ed il grande allargamento del 2004 oggi è necessario un ulteriore deciso passo in avanti.
Mi piace concludere con le ironiche parole di un grande parlamentare europeo che interrogato sul tema dichiarò: “l’Unione Europea è come una frittata può essere pesante e a tratti difficilmente digeribile quel che è certo è che non si può tornare alle uova”.