L'accordo storico per la ripresa economica, sociale e sanitaria concluso dai leader europei deve ora essere messo in atto dai singoli Stati membri
di Luca Jahier
Dopo ben cinque giorni e quattro notti di ardui negoziati, il 21 luglio scorso l'Unione Europea ha concluso un accordo sulla ripresa dalla crisi provocata dalla pandemia del Coronavirus.
Si tratta di una decisione senza precedenti per dimensioni, contenuto ed elementi innovativi. Oggi, alla luce della resilienza dimostrata, l'Europa è più forte che mai.
In meno di cinque mesi, l'UE ha presentato un ventaglio di misure ambiziose che, se verranno applicate correttamente, potranno davvero aprire la strada ad una ripresa e ad un rilancio dell'Europa. Il volume complessivo frutto dell'accordo del 21 luglio ammonta oggi a 1800 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i fondi che scaturiscono da decisioni già adottate nell'ultimo mese, nel quadro della risposta dell'UE alla crisi si arriva quindi ad un totale di 7000 miliardi di euro.
Questo pacchetto di misure non solo mette in sicurezza il progetto europeo ma ne consolida anche, in realtà, le fondamenta. Per la prima volta, l'UE potrà indebitarsi per finanziare sovvenzioni europee ai paesi e alle regioni più colpiti dalla pandemia.
Questa volta – lo possiamo sottolineare- il Consiglio europeo ha approvato in nemmeno due mesi la proposta forte e coerente presentata dalla Commissione lo scorso 27 maggio, sulla scorta della proposta congiunta del 18 maggio della Cancelliera Angela Merkel e del Presidente Emmanuel Macron.
Rimangono tuttavia ancora troppe criticità: lo sforzo straordinario di quadra politico ha richiesto infatti un prezzo elevato.
Per la prima volta il bilancio UE per i prossimi sette anni, cioè il quadro finanziario pluriennale (QFP) registra una riduzione, non solo in termini nominali ma anche in termini reali.
Inoltre, la governance del nuovo strumento per la ripresa e la resilienza (Recovery and resilience facility) è tutt'altro che convincente.
Questo nuovo meccanismo di governance, che mischia metodo comunitario e metodo intergovernativo, esclude del tutto il Parlamento europeo. Ci si può persino chiedere se sarà davvero operativo. Per quel che riguarda lo stato di diritto, il CESE mantiene la sua posizione: il rispetto dei valori europei fondamentali non è negoziabile. A noi pare evidente che tutte le misure di politica devono essere pienamente conformi ai nostri valori comuni, conformemente all''articolo 2 del TUE.
Quanto alla questione chiave delle risorse proprie dell'UE, il Consiglio europeo è rimasto ben troppo prudente al riguardo, mentre invece l'UE ha bisogno di nuove risorse finanziarie per far fronte in modo efficace all'impatto devastante della pandemia.
Destano poi anche serie preoccupazioni i tagli non accettabili in una serie di settori chiave del bilancio pluriennale (il QFP), essenziali per investire efficacemente nel nostro futuro comune: la ricerca, il programma Erasmus, la migrazione e la politica d'asilo, l'azione esterna, la difesa, il Fondo per una transizione giusta, InvestEU, la sanità, la digitalizzazione e lo sviluppo rurale, per citarne solo alcuni.
Non tutto è stato perfetto quindi in questa decisione del Consiglio europeo della settimana scorsa. Alcuni leader hanno dimostrato di riuscire ad essere molto più europei di altri e la storia ne ricorderà il coraggio e la visione.
Tuttavia, ora sta a tutti i governi cogliere questa occasione storica ed elaborare il prima possibile (e comunque entro metà ottobre) piani nazionali solidi e coerenti per l'attuazione del pacchetto #NextGenerationEU.
Per l'Italia, vi è sul tavolo una quantità di risorse finanziarie davvero notevole, abbinata ad una flessibilità sulle regole (si pensi al regime degli aiuti di stato od ancora al congelamento provvisorio del patto di stabilità) assolutamente impensabile ancora pochi mesi fa.
Per l'Italia si parla di circa 78 miliardi che sono già disponibili dal primo giugno, cui se ne aggiungerebbero circa altri 200.
Queste cifre, complessivamente, supererebbero il 12,5% del nostro PIL. Ora il nostro paese deve dotarsi rapidamente di fortissime capacità progettuali e realizzative, perché cio' che è stato conquistato a livello europeo non puo' e non deve andare disperso.
L'Europa, piaccia o meno ai populisti, è viva ed in salute, e si è dotata di mezzi per agire per il benessere dei suoi cittadini e delle future generazioni.