di Beatrice Covassi
Non è andato tutto bene. Il Coronavirus si è portato via mio padre, classe 1937, e con lui tanti, troppi, della generazione che aveva contribuito alla ricostruzione e al benessere del dopoguerra, che aveva sognato e poi lavorato attivamente a quella dirompente novità chiamata Europa. Una generazione forgiata nelle privazioni e nelle difficoltà economiche e sociali del periodo post-bellico, formata al sacrificio e all’impegno civico, tesa alla costruzione di un nuovo mondo con la democrazia come stella polare.
È su queste basi, con questo rigore morale ed afflato ideale, che è nata l’Europa che abbiamo ereditato da Schuman, Adenauer, De Gasperi e gli altri fondatori.
Un ordinamento giuridico con forti riferimenti valoriali, comuni all’umanesimo laico e cristiano; una comunità di Stati con il confine invalicabile dello stato di diritto e della tutela dei diritti; una grande comunità di destino, infine, tesa alla creazione di un’unione pacifica e sempre più stretta di popoli, culture, tradizioni. Non crogiolo o “melting pot”, ma progetto basato sul rispetto e il valore delle minoranze e delle tante diversità.
La pandemia Covid-19 ci ha sorpresi in un momento tormentato della nostra storia comune: incapaci di gestire flussi migratori sempre più importanti; colpiti sempre più duramente dagli effetti del cambiamento climatico; impoveriti dall’onda lunga della crisi finanziaria ed economica del 2008 e indeboliti dalla rinascita di egoismi e nazionalismi.
Ci siamo scoperti fragili e impauriti, legati ai fili invisibili di un contagio globale e, per ora, senza rimedio.
Non basta allora pensare al rilancio delle attività, alle riaperture, al ritorno a una rassicurante ma improbabile normalità.
Siamo oggi tutti chiamati a fare un
“reset” del nostro modo di pensare, dei nostri modelli e comportamenti, del nostro stare insieme. Dobbiamo ripensare e ripensarci per ripartire.
L’Europa che celebriamo il 9 maggio ci ricorda il sogno dei padri e delle madri in questi 75 anni di pace. Un sogno che avrà ancora senso nella misura in cui avremo il coraggio di ridefinire radicalmente le nostre priorità e darci strumenti comuni nuovi per essere più forti, insieme, dove conta davvero.
È tempo di guardare in faccia le nostre paure, i nostri limiti e le sfide globali di oggi per darsi la capacità di affrontarle insieme.
Questo vuol dire un’Unione con capacità decisionale e risorse per fronteggiare le emergenze sanitarie, con meccanismi comuni di prevenzione e sistemi di salute pubblica coordinati; con capacità di resilienza e di offensiva contro possibili attacchi alle reti e infrastrutture digitali; con una difesa comune e una politica estera efficace.
E ancora, una tassazione equa e senza paradisi fiscali, una democrazia compiuta e un mercato interno sempre più verde e sostenibile.
“Reset” europeo significa anche, e soprattutto, il coraggio di costruire una comunità dove la persona umana, la sua cura, la sua dignità e i suoi diritti siano al centro della politica e di ogni politica.
L’Europa sociale non è più rimandabile perché la pandemia e l’impatto economico del lockdown rischia di esacerbare le diseguaglianze sociali, di creare nuove povertà e discriminazioni. Penso ai tanti lavoratori in cassa integrazione, agli esercizi commerciali che non riusciranno ad aprire, al divario digitale che determinerà chi sta dentro e chi fuori rispetto allo smart working e alla didattica a distanza.
In questo contesto, tutelare il benessere di chi rischia di rimanere indietro non è “buonismo” ma significa tutelare il benessere di tutti.
Se c’è infatti una certezza che abbiamo acquisito in questi mesi di emergenza sanitaria globale è proprio quella che tutti dipendiamo da tutti e che il comportamento di ognuno di noi ha impatti drammatici, di vita e di morte, su tutti gli altri. Non possiamo più dire “non mi riguarda”. Il famoso motto della scuola di Barbiana di Don Milani, “I care” diventa l’unico modo per garantire la nostra stessa sopravvivenza.
Allora in questo 9 maggio così doloroso, sospeso tra sofferenza e voglia di vivere, immagino che nasca un’ Italia e un’Europa nuova: forte, verde, femminista, sostenibile, equa, meno burocratica e più umana.
Garantiremo così un futuro ai nostri figli, portando alto con orgoglio il testimone di impegno civile che ci hanno lasciato i nostri padri.