di Raffaella Pergamo

Non vi parlerò dell’Italia, ma dell’Europa e non dell’Europa di ieri e di oggi, ma dell’Europa di domani, di quell’Europa che vogliamo ideare, preparare e costruire” queste le parole di Alcide De Gasperi, pronunciate in un discorso alla radio nel 1952, due anni dopo la presentazione da parte di Robert Schuman del piano di cooperazione economica, esposto nella Dichiarazione che segnava l’inizio del processo di integrazione europea.

Cinque anni dopo, il 25 marzo 1957, con la firma del Trattato di Roma, si arrivò alla costituzione della Comunità Economica Europea (CEE) e l’agricoltura assunse in breve tempo un ruolo centrale, tanto da diventare oggetto di una politica mirata, la PAC, che doveva assicurare l’aumento della produttività, garantire la stabilità dei redditi agricoli, la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza degli approvvigionamenti e il soddisfacimento della domanda dei consumatori a prezzi ragionevoli. Nel giro di venti anni, dal 1962 al 1984, la produzione agricola aumentò tanto da registrare surplus produttivi, per cui si ebbe un intervento pubblico mirato alla fissazione di un sistema di prezzi obiettivo e di corrispondenti prezzi minimi ai quali la Commissione europea si impegnava a ritirare dal mercato gli eventuali eccessi di produzione. Il rispetto del prezzo minimo garantito si assicurava, oltre che con il ritiro delle eccedenze, con sussidi al consumo o alla trasformazione, indennizzi per la cessazione della produzione e controlli diretti dell’offerta, come le quote produttive. La necessità di aprire agli altri Paesi e favorire il loro ingresso in Europa, pose il problema della crescita insostenibile delle spese agricole, per cui il sostegno dei prezzi fu ben presto sostituito con sovvenzioni dirette agli agricoltori a cui veniva chiesto il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi in termini ambientali. Con la riforma Mac Sharry del 1992, la riduzione dei prezzi di intervento venne compensata da pagamenti slegati dalle quantità prodotte. L’istanza di revisione che la riforma conteneva, prendeva forma con gli avanzamenti dell’Uruguay Round, iniziato nel 1986 e sancito nel 1994 con la firma di nuovi trattati e con la nascita dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), e ha segnato l’inizio di un periodo di cambiamento per la politica agricola non più reversibile. La politica di mercato è stata affiancata da una politica di sviluppo rurale, basata sulla programmazione pluriennale e cofinanziata dagli Stati Membri, e i concetti di competitività, sostenibilità e innovazione, si sono fatti strada, anche, nel settore agricolo, legandosi non solo alla capacità produttiva, ma alla crescita e alla capacità lavorativa, con una figura chiave, quella dell’agricoltore /imprenditore consapevole, attento alla gestione del paesaggio e dei beni ambientali. Il mondo agricolo oggi è una realtà eterogenea in cui le componenti sono il paesaggio, la qualità, la sicurezza alimentare, la biodiversità, le risorse idriche e i cambiamenti climatici, la crescita e l’occupazione nelle zone rurali. La PAC che governerà l’agricoltura di domani risponderà, per ciascuno Stato Membro, a nove obiettivi specifici: 1) sostenere un reddito agricolo sufficiente e la resilienza in tutta l’Unione per rafforzare la sicurezza alimentare; 2) migliorare l’orientamento al mercato e aumentare la competitività, compresa una maggiore attenzione alla ricerca, alla tecnologia e alla digitalizzazione; 3) migliorare la posizione degli agricoltori nella catena del valore; 4) contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e all’adattamento ad essi, come pure all’energia sostenibile; 5) promuovere lo sviluppo sostenibile e un efficiente gestione delle risorse naturali, come l’acqua, il suolo e l’aria; 6) contribuire alla tutela della biodiversità, migliorare i servizi ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi; 7) attirare i giovani agricoltori e facilitare lo sviluppo imprenditoriale nelle aree rurali; 8) promuovere l’occupazione, la crescita, l’inclusione sociale e lo sviluppo locale nelle aree rurali, comprese la bioeconomia e la silvicoltura sostenibile; 9) migliorare la risposta dell’agricoltura dell’UE alle esigenze della società in materia di alimentazione e salute, compresi alimenti sani, nutrienti e sostenibili, sprechi alimentari e benessere degli animali.
La politica agricola sarà chiamata, anche, a supportare le azioni per il clima, nell’ambito del Green Deal, inserendo nei Piani strategici Nazionali operazioni che riducano l’uso di fitofarmaci e che indirizzino i produttori verso metodi di coltivazione sostenibili e miglioramenti varietali; allo stesso modo, un punto nodale è rappresentato dalla sicurezza e sostenibilità degli alimenti, con l’attuazione della strategia Farm to Fork che punta a tecniche agricole ecocompatibili, ad un piano di riduzione dei pesticidi chimici, ad una limitazione dello spreco di risorse alimentari e ad una maggiore attenzione agli aspetti nutrizionali degli alimenti. E’ evidente quindi che l’agricoltura può essere definita resiliente e il susseguirsi dei periodi di programmazione non scalfiscono il suo ruolo nella politica europea anzi lo rafforzano e ribadiscono la sua centralità rispetto a temi importanti come il clima, la salute e l’innovazione, anche nei periodi di emergenza, come quella sanitaria attuale. Sembrano calzanti, quindi, le parole di Luigi Einaudi che nel lontano 1957 affermava “che la viva esigenza del mondo agrario, antica e nuova, è quella del movimento e del rinnovamento continuo, con mutazioni senza tregua”.

08-05-2020
Autore: Raffaella Pergamo
Economista
Ricercatrice del CREA - Consiglio per la Ricerca e analisi dell’economia agraria
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