di Pietro Fiocchi
E’ calato il sipario su Borgo Egnazia. Passato qualche giorno, è il momento di elaborare i dati, senza la fanfara di sottofondo.
Ci rivolgiamo ad un esperto, Gennaro Scala, Generale di Corpo d’Armata in congedo nel Ruolo d’Onore (Arma dei Carabinieri), docente e conferenziere in materia di sicurezza internazionale e intelligence economica.
Generale Scala, come valuta l’esito del G7 guidato dall’Italia, che si è concluso da poco? E in prospettiva, quanto incideranno le decisioni prese sul corso degli eventi internazionali?
Il comunicato finale, di ben 36 pagine, è un compendio di tutte le questioni geopolitiche, geoeconomiche e geostrategiche globali pendenti, affrontate ed esplicitate con linguaggio pseudo diplomatico, infarcito com’è di aspettative, auspici, minacce e lusinghe.
Aspettative di pace in Ucraina e a Gaza, che, però, non vengono in alcun modo supportate da iniziative ad hoc ed anzi vengono condizionate da minacce dirette verso la Russia, l’Iran e la Cina, paese quest’ultimo preso particolarmente di mira per i presunti rifornimenti di armi, munizioni e tecnologia dual use al “nemico neo imperialista” e per il parallelo livello di interscambio commerciale, che ha in parte vanificato gli effetti dei 13 pacchetti di sanzioni sin qui rilasciati.
Dichiarazioni di principio dunque, ancora una volta decontestualizzate e destoricizzate, che in realtà non costituiscono affatto “decisioni” realizzabili né fattibili a breve-medio termine.
Definire, come fa il presidente Zelensky, le proposte di Putin “una farsa”, significa non prendere atto della realtà sul terreno, nonostante gli ingenti approvvigionamenti e forniture di sistemi, armi e munizioni sempre più sofisticati da parte della NATO e dei paesi membri, che, peraltro, non hanno sin qui lesinato finanziamenti per garantire e sostenere i costi della guerra.
Dalla lettura del documento si rimane poi perplessi per la pochezza delle parole espresse a proposito dell’oltre milione di morti sin qui registrati nei due principali teatri di guerra.
Tale aspetto contrasta con la corsa al riarmo nucleare che presenta aspetti propagandistici sempre più inaspriti dagli interventi del Segretario Generale della NATO, dai governanti della Polonia e dei Paesi baltici e scandinavi, vieppiù barricaderi e bellicisti in forza dell’interventismo egemonico statunitense.
In prospettiva, perciò, tali “non-decisioni”, non potranno avere nessun positivo effetto sul corso degli eventi internazionali. Ne è riprova la rinnovata guerra economica, espressa attraverso la politica dei dazi sull’automotive elettrico cinese, che già tanti dissensi ha sollevato da parte tedesca e delle maggiori case automobiliste occidentali.
E siamo alle solite: prima abbiamo creato “la fabbrica del mondo” perché non volevamo e non potevamo fare “il lavoro sporco” e quando il Dragone ci ha superato anche tecnologicamente e ci ha reso sino-dipendenti, piangiamo lacrime di coccodrillo, pretendendo bloccare la globalizzazione che noi stessi abbiamo contribuito a sviluppare, innalzandola a sistema.
Sussiste, infine, l’incognita dell’esito elettorale americano, in vista del quale si cincischia prendendo tempo e producendo catastrofi umanitarie.
Come interpreta Lei la strategia del G7 riguardo gli asset russi? E’ effettivamente realizzabile? Con quali conseguenze e reazioni da parte di Mosca?
Siamo all’insieme di auspici, minacce e lusinghe.
Gli asset russi sovrani immobilizzati ascendono a circa 300 miliardi di dollari, mentre quelli privati sommano poco più di 18 miliardi.
È da almeno due anni che la Ursula von Der Leyen si scervella per trovare una soluzione in grado di consentire all’UE di gestire le risorse derivanti dai “flussi straordinari” che quelle immobilizzazioni dovrebbero garantire. Il condizionale è d’obbligo, tant’è che lo stesso documento rimanda alle “giurisdizioni”.
Un bene immobilizzato o congelato presso istituti bancari, entità finanziarie o location in caso di beni mobili (porti, città, etc.) non è tecnicamente, giuridicamente e legalmente sequestrato a seguito di provvedimento giurisdizionale, cioè da parte di un tribunale, di un giudice competente per materia e territorio.
E non è detto che quei beni, proprio perché non sequestrati né confiscati a seguito di sentenza passata in giudicato, producano un interesse.
L’immobilizzazione è infatti frutto di decisioni e provvedimenti di natura politica impugnabili giurisdizionalmente. Affermare con tanta leggerezza uno stato di fatto che tale non è, significa lusingare.
E difatti, lo stesso documento precisa che “il G7 lancerà prestiti straordinari per l'accelerazione delle entrate (ERA) per l'Ucraina, al fine di mettere a disposizione circa 50 miliardi di dollari in finanziamenti aggiuntivi entro fine anno, attraverso un prestito obbligazionario”. Prestito così motivato che tocca l’apice dell’ipocrisia, perché se è vero che i danni prodotti dalla guerra ammontano a circa 486 miliardi, non si comprende come l’Ucraina possa poi restituirlo e come i paesi membri possano sottoscriverlo.
Insomma, se la situazione è di per sé ingarbugliata al punto che nessuno sa come uscirne, figurarsi quali possano essere le conseguenze e le reazioni delle opinioni pubbliche, già oberate dal peso dell’incremento dei bilanci della difesa, che la NATO pretende raggiungano il 2% dei PIL nazionali.
Fermo restando che Mosca non rimarrà impassibile: le nazionalizzazioni delle multinazionali, talora consenzienti, che operano in Russia costituiscono solo l’inizio delle ritorsioni. In quel paese, sono presenti e producono – direttamente o in joint venture - ben 2.600 imprese, facili prede di analoghi provvedimenti, che hanno consentito la riconversione, come è il caso della Coca Cola e di altri noti marchi.