Matteo COLACCHIO, Ludovica SANTO
Lo scenario geopolitico contemporaneo è alla ricerca di nuovi equilibri. Il fermento non risparmia il Mare Nostrum, da sempre luogo d’incontro di popolazioni e culture diverse e palcoscenico, nel corso della storia, dello splendore di civiltà fiorenti. Πάνταῥεῖ (panta rei). Tutto scorre.
I prossimi anni saranno l’occasione per due grandi potenze regionali, l’Italia e la Turchia, già unite da importanti legami commerciali, per fare dell’Area mediterranea un motore propulsore del cambiamento e un modello di stabilità. Ciò dovrà transitare necessariamente per la composizione delle aree di confronto esistenti nel Mediterraneo Orientale. Forse è tempo per il Mediterraneo di divenire quel Lago di Tiberiade tanto agognato da Giorgio La Pira, promotore di un dialogo a tutto campo tra l’Italia e i Paesi del Mediterraneo.
Il 5 luglio 2022 Mario Draghi ha incontrato ad Ankara il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il dialogo con la Turchia, Paese mediatore assunto nell’attuale crisi russo-ucraina, alleato NATO e, per ultimo, “imprenditore politico” – o, per meglio dire, diplomatico – è più che mai cruciale, in un momento storico caratterizzato da un ripensamento e da una ridefinizione degli equilibri geopolitici sino ad oggi esistenti.
Il percorso transita necessariamente per la composizione delle aree di confronto attualmente in essere nel Mediterraneo. Il Mare Nostrum costituisce un settore di primaria rilevanza per l’Italia, anche alla luce del progressivo mutamento nell’approvvigionamento di fonti energetiche. Il promesso abbandono delle fonti fossili – in particolare del petrolio – entro la metà del secolo, comporta, nel breve periodo, il maggiore utilizzo del gas naturale (meno inquinante) e, nel medio e lungo periodo, il ricorso alle energie rinnovabili.
Roma e Ankara possono assurgere ad attori chiave nella ridefinizione pacifica degli equilibri mediterranei, nell’interesse della stabilità europea e del Vicino Oriente. Ciò è ottenibile in primis attraverso la mediazione italiana sulle controversie inerenti al Mediterraneo Orientale. La composizione di tali controversie potrebbe permettere, in secondo luogo, di creare una catena di approvvigionamento di gas naturale integrata e resiliente da Ovest (Algeria) ad Est (Azerbaijan). In definitiva, tale partnership potrebbe favorire un percorso combinato italo-turco per l’adozione progressiva di tecnologie funzionali allo sfruttamento di fonti rinnovabili.
La Turchia, a Ovest delle sue coste, vede le sue attenzioni principalmente rivolte a tre aree di confronto: la questione cipriota, le controversie inerenti alle isole greche antistanti le sue coste, la delimitazione delle Zone Economiche Esclusive (ZEE) degli Stati che si affacciano sulla sponda orientale del Mediterraneo, con il conseguente diritto allo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale ivi presenti. Il tutto è riassumibile nell’adozione, da parte di Ankara, della dottrina militare “neo-ottomana” nota come Blue Homeland, che prevede il controllo della porzione di Mediterraneo antistante le coste turche, ponendo la Sublime Porta[1] in contrasto con Grecia, Cipro, Egitto e Israele. Le scoperte di gas nel Mediterraneo orientale, nel fazzoletto di mare tra Egitto, Cipro e Grecia, sono in verità un elemento strategico sul quale far leva come strumento di stabilità e sviluppo dell’area. Nessuno dei contendenti vorrà rinunciare alla propria fetta di gas. Se è vero che le questioni energetiche sono spesso più un pretesto o uno strumento a disposizione dei Paesi coinvolti per alimentare la disputa che ha a che fare con ambizioni geopolitiche molto più ampie, è anche vero che, dato l’attuale contesto geopolitico, rinunciare anche a pochi metri cubi di gas vorrebbe dire esporre il proprio Paese a pesanti ripercussioni sui consumi industriali, sulla produzione di energia elettrica e sui consumi finali per riscaldamento, il che innescherebbe una crisi economica di difficile risoluzione.
L’Italia – data l’assenza di risposte efficaci e coese da parte UE – può, in questo quadro, giocare un ruolo attivo di contenimento e di risoluzione. In tal senso, il mantenere aperti canali di comunicazione trasparenti tra tutte le parti in campo sembra essere la strategia corretta, estrapolando da tutte le questioni sul tavolo e delle loro interrelazioni quei dossier – come quello energetico – che sono più prioritari di altri e hanno maggiori possibilità di creare un circolo virtuoso, un clima di fiducia e cooperazione tra i partecipanti. La mediazione italiana è possibile e auspicabile, alla luce della rinnovata intesa tra Roma e Ankara, delle robuste relazioni con i vari contendenti e degli interessi energetici (e di sicurezza) nella regione, tra i quali spicca il ruolo di Eni al largo di Cipro e dell’Egitto. L’ipotesi di una Conferenza multilaterale sul Mediterraneo orientale, per risolvere le controversie sulle delimitazioni marittime sulla base del diritto internazionale, va peraltro in questa direzione.
La composizione delle controversie nel Mediterraneo orientale, sfruttando il canale della diplomazia energetica, porterebbe a una maggiore resilienza energetica in Europa e nel Vicino Oriente. In quest’ottica, Italia e Turchia potrebbero assurgere al ruolo di hub del gas per le due regioni. Che si tratti di rifornimenti provenienti dall’Algeria, dal Mediterraneo Orientale o dall’Azerbaijan, i gasdotti esistenti e futuri potrebbero essere resi bidirezionali, in maniera da esportare o importare gas nei Paesi connessi a seconda del loro mutato fabbisogno energetico. Ciò ricalcherebbe la strategia già attuata dal 2018 in Italia dal Gruppo Snam – società italiana che detiene il 94% della Rete di Trasporto (nazionale e regionale) – che, grazie all’ampia rete di stoccaggi per il gas metano presente sul suolo italiano e, soprattutto, grazie all’intervento sulla infrastruttura di trasporto, ha reso possibile l’esportazione verso partner esteri, garantendo il c.d. “reverse flow”, cioè l’utilizzo dei gasdotti esistenti non solo per l’import, ma anche per l’export di gas attraverso, per l’appunto, un “flusso inverso”. La permeabilità delle frontiere al gas naturale permetterebbe di risolvere shock energetici asimmetrici nei Paesi connessi sui terminali dei gasdotti, stabilizzandone le economie e integrandoli in una rete resiliente e compatta. In altri termini, ciò permetterebbe di creare una catena di approvvigionamento di gas naturale integrata e resiliente da Ovest (Algeria) ad Est (Azerbaijan).
L’auspicabile – e concretamente realizzabile – partnership italo-turca è rafforzata dal fatto che la Turchia è il primo partner commerciale per l’Italia in area MENA (Middle East and North Africa). Nel 2021, l’interscambio tra i due Paesi si è attestato a 19,4 miliardi di euro, mentre le esportazioni italiane nel Paese equivalgono a 9,5 miliardi. Inoltre, gli investimenti diretti italiani in Turchia ammontano a circa 6 miliardi di dollari e, secondo i dati del Ministero del Commercio turco, le aziende italiane presenti nel Paese sono oltre 1.500.
Con riferimento al settore energetico e della transizione energetica, Ankara sta mostrando un forte interesse a sfruttare al massimo il potenziale che può derivare dalle collaborazioni strategiche con l’Italia. Molte aziende italiane operano già in Turchia, ma altre grandi opportunità potranno scaturire in futuro, nel Paese che punta a diventare un hub strategico regionale nel settore energetico. A latere della dimensione imprenditoriale, una più stretta collaborazione potrebbe nascere sul piano universitario, con particolare riguardo alla ricerca scientifica inerente al miglioramento delle tecnologie per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili che, per la verità, non sono state oggetto di discussione nel recente incontro tra Draghi ed Erdogan.
Si tratterebbe dunque di un cooperazione inclusiva, dall’imprenditoria alle università e dai governi alla società civile. Lo sviluppo di un tale “asse progressista” – soprattutto nei settori della green economy, delle start-up e della digitalizzazione – attraverso partenariati tra governi, settore privato e società civile –, costituisce peraltro l’ultimo tra i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) definiti dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030, che prevede, nello specifico, la necessità di rafforzare le modalità di attuazione e di rilancio del partenariato globale per lo sviluppo sostenibile.
In conclusione, il momento è propizio per la “Cenerentola d’Europa” – come Antonio Varsori definì l’Italia in un suo libro edito nel 2010 – per assurgere ad attore chiave nella ridefinizione degli equilibri mediterranei, come cerniera e testa di ponte tra l’Europa e il Vicino Oriente: la rinnovata intesa con la Turchia, un Paese strategico, con una politica estera di ampia proiezione e che esercita una funzione di potenza regionale, va in tale direzione, anche nell’eventualità di un ripensamento dei confini orientali dell’Unione Europea (ricordando che la Turchia, dal 1999, ha ottenuto lo status di Paese candidato all’Unione Europea).
[1] Termine che designava il governo dell’Impero Ottomano, qui volutamente utilizzato per riferirsi al neo-ottomanesimo del Presidente Erdogan.