di Gaetano Fausto Esposito
Interdipendenza globale. Questa espressione indica le connessioni tra le diverse economie del mondo e spiega anche perché la guerra russo-ucraina può avere effetti pervasivi, soprattutto se si adottano rimedi non appropriati. Ne abbiamo avuto una prima dimostrazione con il Covid-19. Nella fase iniziale, quando si sono interrotte le forniture di componenti produttive dalla Cina, buona parte dell’industria mondiale è andata in crisi. Ma la Cina è da diversi anni il primo paese esportatore al mondo, quindi si spiega lo shock generato dall’interruzione delle forniture da Pechino. Russia e Ucraina invece contribuiscono in termini quantitativi ai processi di globalizzazione per valori molto modesti, complessivamente intorno al 2%.
Ma perché allora si sta generando tanto allarmismo a livello mondiale, al punto che le più recenti stime dell’OCSE sulla crescita internazionale prevedono una contrazione di un punto percentuale, accompagnato da un forte aumento dei prezzi al consumo intorno a 2,5 punti percentuali? Le due crisi, quella da Covid e quella russo-ucraina, sono molto diverse. La crisi Covid è stata contemporaneamente una crisi di offerta, dovuta alla contrazione della fornitura di componenti, e una crisi da domanda, indotta dalla contrazione dei redditi delle famiglie e quindi dei consumi.
I provvedimenti generalizzati di lock down nel mondo hanno fatto in modo che la riduzione della fornitura di componenti dei processi industriali si accompagnasse a una contrazione della produzione, di conseguenza non ci sono stati effetti sui prezzi perché si sono ridotti, quasi in modo simmetrico, offerta di prodotti e domanda di beni e servizi. I prezzi sono rimasti quindi sostanzialmente invariati.
Ma a due anni dell’inizio della pandemia la situazione è mutata. Il mondo si è rimesso in moto, e anzi in diversi paesi nel 2021 sono stati recuperati i livelli di produzione persi per effetto della pandemia.
La posizione dell’Italia è emblematica a questo proposito: lo scorso anno c’è stata una forte ripresa del tasso di crescita dell’economia, addirittura una performance superiore a quella di diverse economie con le quali competiamo.
In una fase di sviluppo mondiale si inserisce la crisi russo-ucraina. Per la verità già prima dell’invasione da alcuni mesi si segnalavano tensioni dei prezzi sui mercati delle materie prime.
La guerra ha agito come detonatore e qui c’entra l’interdipendenza globale. Se complessivamente il peso dei due paesi nell’economia mondiale è modesto, molto rilevante è invece la quota esportata di specifiche materie prime: Russia e Ucraina insieme pesano per circa il 30% delle forniture di grano, il 20% del mais, l’11% di petrolio. Non solo. La Russia è il principale fornitore di palladio, usato per le marmitte catalitiche, e di nichel, materia prima fondamentale per la produzione di acciaio e batterie.
I due paesi sono anche fornitori importanti di alcuni gas inerti come l’argon e il neon usati per la produzione di semiconduttori.
La minaccia, perché per il momento si tratta ancora di una minaccia, della riduzione di queste forniture, anche per effetto delle sanzioni adottate da molte nazioni, in presenza di una fase di sviluppo della produzione mondiale spiega l’innalzamento dei prezzi.
Ecco la sostanziale differenza con la crisi da pandemia: qui lo shock non riguarda contemporaneamente domanda e offerta (globale), ma sostanzialmente si riflette sulla sola offerta di materie prime strategiche e si trasforma in un aumento dei prezzi, di fronte a una domanda internazionale di materie prime sostanzialmente stabile (se non addirittura in crescita).
Da ciò il potenziale di pericolo per l’economia mondiale: l’interdipendenza economica e il diverso intrecciarsi dei circuiti di sub-fornitura (le catene globali del valore) fa in modo che, nonostante i singoli paesi siano poco esposti verso la Russia e l’Ucraina in termini di esportazioni, il livello dell’import di materie prime strategiche, che nel caso del petrolio e del gas hanno effetti in tutti i settori produttivi, produca effetti a “cascata” sull’intera offerta mondiale attraverso l’aumento dei prezzi.
In più mentre, almeno all’inizio, la crisi da Covid era una crisi simmetrica, cioè riguardava praticamente tutti paesi, in questo caso invece ci sono aspetti di asimmetria: ad esempio l’Europa, e in particolare paesi come Germania ed Italia, è più colpita dai rincari dei prodotti energetici, rispetto all’economia americana e di diversi paesi asiatici che, anche per effetto di un mix di fonti energetiche spostato più sul nucleare, sono meno pesantemente coinvolti.
Importazioni di energia in percentuale delle forniture totali di energia dei singoli paesi
Almeno in prima battuta, perché proprio per il gioco delle interdipendenze globali, l’effetto sui prezzi anche di questi paesi si potrà generare attraverso il rincaro di beni importati da nazioni più direttamente colpite dalla crisi.
Da queste considerazioni discende anche una indicazione per l’approccio ai possibili rimedi. Se la crisi riguarda uno shock da interdipendenza globale, misure adottate da singoli paesi possono dare un contributo alla soluzione di singoli problemi (pensiamo alla diversificazione delle fonti energetiche), ma serve un approccio concertato a livello internazionale, per evitare l’avvitarsi di una spirale inflazionistica che potrebbe avere, questa sì, effetti globali, soprattutto se – come alcuni stanno già proponendo – si pensa di utilizzare una politica monetaria restrittiva che, attraverso l’inevitabile aumento dei tassi di interesse, rischierebbe di sprofondarci in una vera fase di depressione!