di Carlo Bellinzona e Lucio Martino
Dal 24 febbraio, inizio della cosiddetta “operazione militare speciale” lanciata dalla Federazione Russa, abbiamo cercato di leggere nella sarabanda delle opposte propagande, le intenzioni e gli obiettivi dei combattenti, l’esito degli scontri e la possibile evoluzione del conflitto, confrontandoci sempre con una grande difficoltà di verifica degli eventi.
L’avvio dell’operazione militare speciale ha ricalcato il copione tipico degli interventi del dopo Guerra Fredda, caratterizzandosi per massiccio impiego iniziale di aerei da bombardamento in aggiunta ai missili tattici balistici e da crociera, il tutto volto all’annientamento delle infrastrutture di comando e controllo, delle basi aeree, degli aeroporti, delle fabbriche di armamenti e dei depositi di munizioni.
Con il passare delle ore non si è però delineata un’azione “lampo”, ma una progressione sistematica per controllare l’esteso territorio ucraino e impedire nel contempo ogni eventuale contrattacco. In altri termini, la Federazione Russa si è impegnata nell’invasione dell’intera Ucraina.
Le forze russe si sono mosse lungo quattro direttrici: due provenienti dalla Bielorussia, dove sembrano riunite le forze più robuste e meglio addestrate, in direzione Sud e Sud-Est. La prima ha avanzato direttamente verso Kiev. La seconda, con il precipuo compito di tagliare trasversalmente l’Ucraina, ha rinforzato la gravitazione contro la capitale, puntando poi alle aree meridionali circostanti Poltava e Dnipopretrowk.
Le altre due direttrici di attacco hanno cercato di tagliare l’Ucraina da Est verso Ovest. Di queste, la prima ha penetrato l’area di Kharkiv. La seconda si è diretta nel Donbass al fine d’impedire che le forze ucraine impegnate all’Est, in prossimità della linea di contatto con le repubbliche separatiste, e quelle poste a difesa dell'area di Kharkiv, potessero essere recuperate per la difesa di Kiev.
A seguire, una quinta direttrice d’attacco si è generata a partire dalla Crimea interessando, dopo un pesante bombardamento navale, Mariupol e Kherson. In breve il fonte Sud, collegato al Donbass, è diventato la cerniera con la quale chiudere a forza l’intera operazione.
L’esercito ucraino si è battuto e si batte strenuamente, a quanto sembra rifiutando ogni qualvolta possibile lo scontro tra corazzati in campo aperto e optando per una difesa dinamica che, puntando su azioni improvvise controcarro, per sua natura, rappresenta un difficile obiettivo per le artiglierie e le forze aeree russe.
Il piano d’attacco originale russo era senz’altro incentrato su di un’azione di sorpresa condotta da reparti scelti di una divisione avio-portata volta ad assumere il controllo di un aeroporto ad est di Kiev al fine di coprire e proteggere un colpo di mano inteso a decapitare i vertici dello stato ucraino. Al fallimento di quest’azione ha fatto seguito il tentativo del Corpo d’Armata diretto a Sud di muovere in una colonna che ha finito con il creare un “plantigrado” di 130 km.
Nel frattempo, l’intera avanzata russa si è ritrovata a doversi misurare da una parte con l’imprevisto e dall’altra con i limiti di un supporto logistico inadeguato.
In tutto questo, una nota di rilievo merita il fronte Sud, per quanto meno significativo di un sempre imminente attacco alla capitale. La conquista di Kherson, l’assedio di Mariupol, la pressione su Mykolayiv, la tracimazione verso Nord sono tutte manovre che hanno comportato l’assalto alla località di Zaporhizhia, sede della più potente centrale atomica del paese.
A parte il momento di panico per un incendio alle strutture logistiche dell’infrastruttura nucleare, e il grande clamore mediatico sollevato da Zelensky, la centrale è infine stata messa in sicurezza, ma è ora controllata dai Russi che potrebbero interromperne l’erogazione di energia. Kiev a parte, Zaporhizhia è divenuta il punto cruciale della manovra dei Russi, tanto da attirare su di sè quelle forze provenienti da Donesk impegnate in un movimento che, se incontrastato, potrebbe a breve portarle a ricongiungersi con i Corpi d'Armata immessi dalla Bielorussia, anche se questi ultimi, nel frattempo, sembrano incapaci di procedere ulteriormente verso Sud a causa dell’irrigidimento della difesa ucraina tra Nizhyn e Pryluky.
Fallito quel colpo di mano su Kiev che avrebbe dovuto portare a una rapida conclusione l’intera vicenda, e nell’impossibilità di schierare una forza in grado di permettere non solo l'invasione, ma anche il controllo del territorio ucraino, tutto lascia supporre che il conflitto ucraino stia evolvendo in una prolungata e sanguinosa campagna militare che potrebbe anche portare a una divisione di fatto dell'Ucraina in due ben distinte realtà politiche riproponendo un modello che si credeva ormai superato con la fine della Guerra Fredda.