Alcune famiglie hanno lasciato l’Italia che li ha salvati dai talebani. Perché?

di Elisabetta Trenta

L’accoglienza in Italia degli ex collaboratori Afghani sta rivelando tutti i limiti del sistema di italiano. Eppure una buona accoglienza è indispensabile per consentire l'integrazione. Per gli Afghani sarebbe stato preferibile varare un programma speciale.

 Li abbiamo salvati dalla rabbia dei talebani, abbiamo avviato una missione militare, Aquila Omnia, per andare a prenderli in quei giorni tremendi di agosto. Dice il sito del Ministero: “La Difesa ha impiegato tutte le risorse disponibili per mettere in sicurezza più persone possibili. Sono state evacuate 5.011 persone di cui 4.890 cittadini afghani grazie ad Aquila Omnia, tra di loro 1.301 donne e 1.453 bambini.”

Abbiamo visto gli uomini delle nostre forze speciali che portavano in salvo bambini e intere famiglie facendoli salire su un aereo militare per portarli via da morte quasi sicura.

La Difesa ha messo a disposizione, sotto la guida del Comando Operativo di Vertice Interforze, 1500 uomini impegnati in una complessa operazione per il ponte aereo Roma-Kabul; militari delle Forze Armate e dei Carabinieri sono stati preposti alla accoglienza e gestione presso lo scalo aeroportuale di Fiumicino; il Comando Capitale ha messo a disposizione le Basi Logistico Addestrative per la prima accoglienza e il trasporto dei rifugiati su tutto il territorio nazionale per ricollocare i rifugiati su indicazioni della Prefettura; il Dipartimento della Protezione Civile, le Regioni, la Guardia di Finanza, la Croce Rossa Italiana, ADR-Aeroporti di Roma, e numerose associazioni hanno contribuito all’ all’evacuazione con alcuni voli civili.

Siamo stati fieri di ciò che abbiamo visto, perché il Paese si stava prendendo cura di chi è stato vicino a noi nei momenti difficili. Ma adesso, dove sono questi nostri amici, come li stiamo accogliendo? Cosa facciamo per farli integrare?

Questa è la parte della storia che non vorrei raccontare.

In questi cinque mesi, continuiamo a ricevere non solo le richieste dei tanti nostri collaboratori che non erano riusciti a salire su quegli aerei, e per i quali, troppo lentamente, si stanno cercando delle soluzioni, ma telefonate e messaggi con richieste di aiuto di tante persone accolte in Italia che però si sono scontrati con un sistema di accoglienza che non funziona o, almeno, non funziona per tutti. E se l’accoglienza non funziona non può funzionare l’integrazione.

Possibile che in un paese come il nostro, ponte naturale tra uno dei luoghi principali per le partenze dei migranti, l’Africa, e l’Europa, non si sia ancora cercata e trovata la strada giusta per l’accoglienza? Non parlo dei migranti clandestini sto parlando in questo caso di rifugiati, che vengono in Italia perché hanno diritto alla protezione internazionale dovuta a un richiedente asilo. Sono venuti in Italia dopo aver firmato un accordo con noi e consapevoli dei loro diritti e doveri.

Il Ministero della Difesa si è occupato dell’arrivo in Italia e della primissima accoglienza, quella del periodo delle quarantene e lo ha fatto alla perfezione, come sempre.

Il Ministero degli Esteri ha portato avanti un grande lavoro a livello diplomatico per velocizzare la concessione dei visti.

Poi la distribuzione sul territorio è stata gestita dal Ministero dell’interno. Uno sforzo enorme da parte delle Prefetture ma ancora insufficiente. A distanza di 5 mesi, alcune famiglie sono state ospitate in abitazioni normali ma tante si trovano ancora in strutture emergenziali, non idonee alla vita di una famiglia, dove sarebbero dovute restare poco tempo. 

Molti sono stati distribuiti in aree distanti dalla scuola e con mezzi di trasporto insufficienti. Come si può assegnare a una famiglia con bambini in età scolare e senza auto un alloggio in un paesetto dove l’unico autobus per andare a scuola è la mattina alle otto e siccome la scuola inizia nel pomeriggio o vanno a scuola facendo km a piedi o ci vanno cinque ore prima?

Il presupposto della buona accoglienza è la formazione finalizzata a un’integrazione anche lavorativa? Chi si occupa di questo?

Se ti dimentichi delle famiglie in un centro d’accoglienza, quelli nati per garantire immediato soccorso e prima accoglienza agli stranieri appena giunti in Italia, e non ti curi del fatto che queste persone abbiano accesso ai servizi essenziali (cibo, vestiti, medico) aspettati pure che coloro che ti amavano, in poco tempo ti odieranno.

8 famiglie recentemente sono andate via da un centro d’accoglienza in Sardegna, destinazione Germania. Diventeranno dei clandestini. Probabilmente li rimanderanno in Italia.

Uno dei padri famiglia ha detto in lacrime a un amico, che mi ha scritto “Sto male, mia figlia ha due mesi ed è malata. Mia moglie è malata. Nessuno ci ha aiutato per cinque mesi. Cinque mesi in un campo.  La mia bambina è nata in Italia e non ho avuto aiuti. Sarebbe stato meglio che fossi stato ucciso in Afghanistan…”

Un altro ragazzo che lavorava a Camp Arena ed era stato alloggiato a Bari, due mesi fa è partito anche lui per la Germania: il figlio aveva un problema al cuore, lui chiedeva assistenza ai funzionari della cooperativa per poterlo curare. Non è stato ascoltato.

Ecco, questo è il nostro ennesimo fallimento.

Per fortuna ci sono alcuni militari, alcuni angeli che si prendono cura di quelli che conoscono e delle loro famiglie, ma quelli che non conoscono nessuno?

Due settimane fa ho mostrato su facebook alcune foto del cibo scaduto consegnato da una cooperativa ad alcuni di loro. La stessa cooperativa, che dovrebbe occuparsi anche delle spese mediche, aveva detto a queste persone che avrebbe prelevato dai loro Euro 2,50 al giorno i soldi spesi per pagare delle analisi. Ho contattato e chiesto aiuto alla prefettura ed ho trovato grande sensibilità. Ma possibile che debba esserci sempre qualcuno che si interessi per chiedere qualcosa che invece dovrebbe essere garantito come diritto?

Occorre, in generale, ripensare e riformare tutto il sistema dell’accoglienza perché continua da una parte ad essere occasione per alcuni soggetti disonesti (fortunatamente una minoranza) di speculare su persone che vivono già in situazione di disagio, dall’altra, ad essere vittima di problemi finanziari legati alla burocrazia. E’ il caso di una delle strutture che, ho avuto modo di verificare, non riceve i soldi dallo Stato perché occorre prima un accordo, tra Prefettura ed ente locale, che però sembra non esserci stato. E così l’organizzazione d’accoglienza deve andare avanti con i propri fondi cercando di fare il possibile ma, non sempre, il necessario.

Sarebbe stato necessario istituire un programma speciale per gli Afghani che supervisionasse ogni fase dell’accoglienza nel nostro Paese. 

Forse si può fare ancora visto che è ancora in corso l’operazione “Aquila Omnia” ed è stato attivato il ponte aereo con i Paesi limitrofi all’Afghanistan per portare in Italia altri 500 ex collaboratori delle Forze Armate e i loro nuclei familiari (Aquila Omnia bis) ed altre persone stanno arrivando con l’Operazione “Aquila Omnia 2 bis”).

Accogliere e facilitare l’integrazione dei rifugiati afghani non è solo un obbligo morale, ma è anche un modo per l’Italia per continuare a supportare quella parte di popolazione afghana che potrà essere un giorno il nostro contatto con il Paese e che potrebbe costituire quella nuova società civile in grado di cambiare le cose nella terra degli aquiloni.

25-01-2022
Autore: Elisabetta Trenta
Professore straordinario Università Link Campus
Già Ministro della Difesa
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