di Franco Danieli

 Il ruolo del Presidente della Repubblica ha avuto nel corso della storia nazionale una evidente evoluzione nel suo esercizio: dal dopoguerra fino alla crisi della cosiddetta “prima Repubblica” - con partiti di massa, forti e radicati - è stato, di fatto, un potere notarile garante degli equilibri decisi dalla politica. Dal 1992 in poi con la dissoluzione del blocco sovietico e con “tangentopoli” si è verificata la destrutturazione ideologica e materiale delle tradizionali forze politiche e l’affermazione di nuove e frammentate forme di aggregazione partitica e movimentistica, in questa situazione il Presidente della Repubblica ha assunto un nuovo protagonismo; non poteva più essere la figura super partes che osservava il frenetico cambio di governi pur nella stabilità della collocazione geopolitica filo-atlantica ed europeista, ma diventa un player attivo per orientare la soluzione di complesse crisi sistemiche.

Nei momenti di maggiore criticità, nel corso degli ultimi decenni, i Presidenti hanno fatto ricorso a figure estranee al mondo dei partiti e in grado di rassicurare prioritariamente partner internazionali e mercati finanziari.

Infatti alla debolezza della politica, in cerca di nuove identità e collocazioni, si sommavano le crisi economiche e la montagna del debito pubblico; lo spettro del default si è più volte manifestato, anche se, sotto l’effetto “Dunning-Kruger”, l’arroganza dell’ignoranza dei tanti leader incompetenti spargeva tranquillità sulla solvibilità dell’Italia sul presupposto “too big to fail”.

Carlo Azeglio Ciampi, Lamberto Dini, Mario Monti ed oggi Mario Draghi sono personalità che nella palude italiana della politica liquida e populista sono stati chiamati dai Presidenti della Repubblica a rendersi garanti della Nazione sullo scenario internazionale ed a provare a risolvere le problematicità sul piano interno.

Il ricorso ai tecnocrati fotografa l’incapacità di un sistema politico italiano, in perenne transizione, di proporre stabili soluzioni di governo al Paese.

Un Presidente della Repubblica, per quanto autorevole, senza un Primo Ministro altrettanto autorevole e internazionalmente riconosciuto, avrebbe un arduo compito a porsi come garante del Paese nel rapporto con i partners euroatlantici, con le istituzioni sovranazionali, con i mercati, con gli investitori… stante la natura indiscutibile di repubblica parlamentare dell’Italia; questo a maggior ragione se si considerano le urgenze connesse alla realizzazione dei programmi del PNRR (ad oggi poco trasparenti per quanto attiene la pubblicità dei bandi), alla fine della sospensione del patto di stabilità e crescita ed alla sua necessaria riforma, alla riduzione degli interventi della BCE, alla nuova struttura dell’Unione Europea, alla fuoriuscita dalla pandemia, alla transizione energetica…

Non è azzardato dire che l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica rappresenta un passaggio decisivo per il futuro del Paese e delle giovani generazioni, starà alle forze politiche dimostrare in questa occasione un ritrovato e responsabile protagonismo.

                                                                    

 

22-01-2022
Autore: Franco Danieli
Già Viceministro degli Affari Esteri
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