di Lucio Martino

Il presidente Joe Biden continua a ritrovarsi alle prese con un mondo che rifiuta di conformarsi alle sue aspettative. L'Iran non sta collaborando. La Cina non si è impegnata su questioni comuni come il cambiamento climatico, né sembra impressionata dalla decisione di boicottarne diplomaticamente le ormai prossime olimpiadi invernali mentre la Russia continua, nonostante tutto, a nutrire ambizioni di egemonia regionale. Per quanto riguarda proprio la Russia, a guidare il presidente Vladimir Putin sembra la convinzione che il tempo non sia dalla sua parte a fronte di un numero crescente di Ucraini palesemente decisi a sfuggire da un abbraccio che percepiscono come  soffocante. Con l'incoraggiamento e l'aiuto dell'Occidente, un’intera serie di cambiamenti stanno gradualmente allontanando l'Ucraina dalla Russia post-sovietica ancorandola sempre più all'Occidente.
 
Per Putin, e per i nazionalisti russi del cui sostegno non può fare a meno, il consolidamento di una vera indipendenza ucraina è percepito al pari di una minaccia esistenziale. A loro avviso la Russia ha bisogno dell'Ucraina per controllare il Mar Nero, ristabilirsi come principale potenza in Europa e difendere il carattere ortodosso e slavo della Federazione.
 
Se la situazione politica dell'Ucraina allarma Putin, la situazione politica dell'Occidente gli dà speranza. Nel 2014, all'epoca dell’annessione della Crimea, l'Occidente si è limitato a un insieme di sanzioni economiche e una serie di condanne verbali. Rispetto ad allora, l'America è più debole e l'Europa più divisa e Putin molto probabilmente ritiene che i leader occidentali non saranno in grado di fare oggi molto di più di quanto hanno fatto in passato. Nella convinzione che l’Europa stia bluffando, Putin cerca di rendere ancora più esplicite e profonde le divisioni interne di un'Alleanza Atlantica che solo in parte guarda a Est con una qualche preoccupazione. Volgendo lo sguardo al futuro, è inevitabile chiedersi se la ragione stia dalla parte di Putin  oppure se i leader europei hanno la volontà, individuale e collettiva, necessaria per  contrastare la Russia.
 
In preparazione all'incontro online avuto con Putin, Biden si è consultato con i leader di Francia, Germania, Italia e Regno Unito. Queste consultazioni hanno fatto seguito a quella che è stata ampiamente descritta come una condivisione di materiale d’intelligence statunitense sui preparativi militari di Mosca priva di precedenti. Condivisione che avrebbe dimostrato come un'azione militare russa a breve termine costituisca un qualcosa del tutto possibile. Il tutto mentre non sembra trascurabile la possibilità di un'azione coordinata della Russia in Ucraina e della Cina su Taiwan. Per quanto Xi Jinping è ancora molto lontano dall'essere in grado di lanciare quel tipo di incursione militare contro Taiwan di cui la Russia è chiaramente capace in Ucraina, il presidente cinese è certamente in grado di ordinare un ulteriore aumento della pressione militare intorno a quell’isola, cosa che avrebbe l’effetto di costringere l’amministrazione Biden alla sempre scomoda situazione di dover fronteggiare  due crisi allo stesso tempo.
 
Sempre pochi giorni fa, il segretario di Stato Antony Blinken ha avvertito che gli Stati Uniti sono pronti a lanciare sanzioni per così dire ad alto impatto. Tuttavia, qualsiasi sanzione occidentale che colpisse le importazioni di gas, direttamente o indirettamente, comporterebbe grandi problemi per l'Europa in generale e per le leadership politiche francesi e tedesche più in particolare. In Francia, il presidente Emmanuel Macron sta andando incontro a una nuova tornata elettorale che gli si prospetta già come particolarmente difficile. In Germania,  l’attuale contingenza rappresenta un primo serio test per il nuovo governo tedesco, soprattutto in considerazione del radicato impegno del Partito Social Democratico nei confronti dell'Ostpolitik, a fronte della posizione molto più dura sulla Russia promossa dalla verde Annalena Baerbock, il nuovo ministro degli Esteri.
 
Per quanto poi attiene agli aspetti prettamente militari, per prima cosa è importante riconoscere come nonostante gli indubbi progressi compiuti dal 2014, nel caso in cui le forze armate ucraine si ritrovassero da sole ad affrontare l’urto di un attacco russo non potrebbero non uscirne annientate. Questo mentre i problemi a cui andrebbe incontro l’Alleanza Atlantica nel caso in cui decidesse d’intervenire in difesa dell’Ucraina non solo davvero trascurabili. Il quartier generale del  Multinational Corps North East ha sede a Stettino, in Polonia, a circa 1500 chilometri dal quel gruppo tattico britannico posizionato in Estonia che costituisce l'Enhanced Forward Presence della NATO (EFP). Questo per via di una falsa interpretazione della serie di processi storici che hanno condotto la NATO a estendere i suoi confini a Oriente. Molti Alleati hanno rifiutato e rifiutano l’idea di posizionare stabilmente una qualche seria unità organica delle proprie forze armate sul territorio dei paesi già membri del Patto di Varsavia per paura di violare un accordo con la Russia che, in realtà, non c’è mai stato. Intanto, il dispositivo militare russo si è di molto potenziato in Bielorussia, nell’enclave baltica di Kaliningrad e nella più ampia regione del Mar Nero. In questo quadro, l’EFP non è niente altro che una presenza simbolica. Quello che c'è subito dopo, la Rapid Development Force (RDF), non è abbastanza grande, abbastanza pesante e abbastanza reattiva da colmare un sempre più visibile deficit nella deterrenza convenzionale della NATO, specialmente posto quello che la RDF si ritroverebbe a dover affrontare in Ucraina.
 
L’RDF della NATO è una forza multinazionale di 20 mila uomini comprendente componenti aeree, marittime e terrestri incaricate di reagire con breve preavviso all’interno dell'intera area euro-atlantica. Nel 2014, le capacità di risposta veloce della NATO sono state potenziate con la creazione di una Very High Readiness Joint Task Force (VHRJTF) dell’ordine di altri 5 mila uomini. Mentre si prevede che la VHRJTF sia in grado d’intervenire  in un tempo compreso tra i due e cinque giorni dalla sua attivazione, la RDF dovrebbe impiegare fino a 30 giorni prima di essere in grado di entrare in combattimento. Il contingente successivo, denominato Follow On Group, forte di 40 mila uomini, dovrebbe invece impiegare variamente compreso trai i due e i tre mesi. Sebbene gli Stati Uniti potrebbero già dai primi giorni di un simile confronto aggiungere un’altra decina di migliaia di uomini, ogni analisi delle recenti grandi esercitazioni russe suggerisce che Mosca ha deliberatamente calibrato le sue forze da combattimento sul ciclo di dispiegamento delle forze d’intervento rapido della NATO, in modo da poterle massacrare per una trentina giorni senza andare incontro a grandi problemi. In altre parole, si è ormai sviluppata una simbiosi molto pericolosa tra il dispositivo militare della Russia e la “posture” militare della NATO. Date queste circostanze, non sorprende che solo pochi di giorni fa due senatori statunitensi, Roger Wicker del Mississippi e Joni Ernst dell'Iowa, abbiano affermato la necessità d’invocare quanto prima il primo impiego di armi nucleari in risposta a un'eventuale invasione russa dell'Ucraina.
 
Finora, una delle strategie diplomatiche preferite di Putin è stata quella di indurre la leadership statunitense a impegnarsi in pompose dichiarazioni per poi umiliarla esponendone la natura vuota di una retorica pretenziosa. Putin ha eseguito questa copione ripetutamente contro l'amministrazione Obama. Sotto questo punto di vista, l’esempio migliore è identificabile nella difesa offerta dal presidente russo a quel Bashar al Assad all’indomani di quel’intervento alle Nazioni Unite nel quale il presidente Barak Obama sostenne l'opportunità di un “regime change” in Siria. Putin sembra determinato a riservare lo stesso trattamento al presidente Biden, nella convinzione che, dopo aver affrontato con successo le sanzioni lanciate contro il suo paese, l'impatto di qualunque cosa Biden possa mai aver concordato con gli Alleati in caso di nuove incursioni russe in Ucraina avrebbe conseguenze peggiori per l’Europa che per la Russia.
 
Nel caso in cui non stia pensando che l'Ucraina vale il rischio di una vera guerra con la Federazione Russa,  Biden dovrebbe cercare la via di uscita più dignitosa che Putin vorrà permettergli, perché continuare sulla linea fin qui scelta comporta il rischio di un'escalation che non può andare a suo vantaggio. Con buona pace di Karl Marx e del suo detto secondo il quale la storia si ripete sempre prima come tragedia e poi come farsa, quanto sta avvenendo in Ucraina potrebbe finire con il ricordare da vicino quanto avvenne la sera del 4 novembre del 1956, quando milioni di ungheresi aspettarono un aiuto occidentale che, nonostante le promesse, non arrivò mai.
13-12-2021
Autore: Lucio Martino
Guarini Institute For Public Affairs
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