di Giuseppe Morabito

“Il nostro unico interesse vitale nazionale in Afghanistan rimane oggi quello che è sempre stato: prevenire un attacco terroristico alla patria americana”.
Presidente Joe Biden, 16 agosto 2021
 Il riferimento del presidente Biden agli interessi degli Stati Uniti è storicamente poco consono a un presidente democratico. Questo ha creato molta confusione, soprattutto in Italia, sia ai politologi pro-Biden a ogni costo sia agli auto dichiarati esperti di Afghanistan e terrorismo che però, entrambe le categorie, non sono mai sati in Afghanistan, non hanno mai preso parte ad una operazione antiterroristimo a livello NATO in quel paese e, forse , non sono neanche mai entrati nell’Ambasciata di Kabul a Roma.

Una cosa rimane certa, lo “sconfusionato” ritiro occidentale dall'Afghanistan è catastrofico per molti degli abitanti di quelle terre. La decisione di entrambi (ricordiamolo sempre) i presidenti Trump e Biden di definire date certe per il ritiro, mentre cercavano di esercitare una qualche influenza sui talebani nei colloqui di Doha per stabilire un governo di transizione, ha offerto a questi ultimi il tempo di prepararsi alla loro offensiva con successo. È palese (ma c’è chi lo nega) che Biden e il suo partito democratico hanno deciso che tutto sommato un Afghanistan guidato dai talebani non rappresenterà più una  importante minaccia, per gli Stati Uniti e i suoi alleati, tale da giustificare una continua presenza americana e che ha poco senso sostenere un governo afghano corrotto. Logicamente, comunque, l'incapacità nell’ organizzare la “ritirata” e di coordinarsi con gli alleati danneggerà la reputazione sia degli USA sia della NATO e mette i grandi paesi europei davanti all’evidenza che è giunto il momento che diventino anche loro attori della propria sicurezza.
A meno di una settimana dal 15 Agosto le conseguenze per Washington e i suoi partner occidentali non sono ancora chiare, ma dopo i fallimenti in Iraq e Afghanistan e la perdita di influenza in Libia e Siria, la caduta di Kabul sancisce la fine definitiva dell'interventismo occidentale pro-democrazia. Certamente ora in Afghanistan si può, senza pericolo di essere smentito da chi onestamente  guarda a quel paese, ipotizzare il ritorno al terrorismo mentre nel contempo inizierà una partita a scacchi tra la Russia di Putin, la Cina comunista, l’autocrazia dell’Iran, con i tentativi di inserimento dei due mega-stati in eterno conflitto: Pakistan e India.
Definiamo la cosa: un disastro!

Ad oggi, circa 2500 soldati statunitensi hanno perso la vita in Afghanistan oltre 1.200 membri del personale della Coalizione (53 Italiani) e più di 66.000 soldati e poliziotti afgani. Almeno 47.000 civili afgani sono stati uccisi e ci sono quasi 400.000 afgani sfollati dal solo maggio 2021 e le stime indicano che nel conflitto siano morti oltre 50.000 combattenti talebani. Il solo costo dell'addestramento e dell'equipaggiamento del collassato esercito nazionale afghano è stato di circa 90 miliardi di dollari mentre il presidente Biden afferma che gli Stati Uniti hanno speso oltre 1,5 trilioni di dollari.
Praticamente, visto i dati, ciò che è accaduto in Afghanistan in queste ore è un fallimento per gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali. In particolare, si potrebbe affermare che gli Stati Uniti sono stati umiliati e Iraq, Siria, Libia e Afghanistan sono ora tutte testimonianze degli errori strategici occidentali.
Il modo in cui gli Stati Uniti e i loro alleati hanno gestito male il ritiro è la causa immediata della tragedia afghana, in particolare, come in tutti i conflitti ma in questo specificamente, per le donne e i bambini/e. Il modo in cui l'amministrazione Trump ha deciso di lasciare l'Afghanistan, confermato dal presidente Biden, ha consegnato la vittoria ai talebani. Come indicato precedentemente, la decisione sembra anche aver avuto molto più a che fare con la politica interna americana che con la strategia di sicurezza degli Stati Uniti o dell'Occidente, come dimostra lo “scaricabarile” tentato da Biden nel discorso del 16 agosto in cui avrebbe cercato di far passare il messaggio che ci fosse un accordo tra l'amministrazione precedente e i talebani. Non da ultimo, mentre gli americani e i loro alleati hanno onorato l'accordo, i talebani non l'hanno fatto. In base all'accordo di Doha del febbraio 2020 tra l'amministrazione Trump e le forze talebane, il ritiro doveva essere effettuato entro il 1° maggio 2021. In cambio, i talebani avrebbero interrotto i legami con Al Qaeda e avrebbero avviato negoziati di pace con il governo del Ghani. Non hanno fatto né l'uno né l'altro. Anche la data per il completamento del ritiro è slittata al 31 agosto, il che aveva stabilito un chiaro legame tra il ritiro e il ventesimo anniversario dell’ 11 settembre. Dato che la guerra/propaganda dell'informazione è parte della strategia  talebana, questo li ha chiaramente spinti a riprendere Kabul entro tale data e ha contribuito ad accelerare il collasso delle forze di sicurezza nazionale afghane (ANSF) demoralizzate e spaventate dal fatto che stavano per essere private dei loro consiglieri stranieri di fronte a un nemico sanguinario. Biden non solo ha consentito ai talebani una vittoria incondizionata, ma ha offerto ai terroristi jihadisti salafiti di tutto il mondo un immenso colpo propagandistico e una potente leva per il reclutamento. I gruppi jihadisti di tutto il mondo interpreteranno anche la sconfitta dell'Occidente come l'adempimento della profezia secondo cui un esercito musulmano avrebbe sconfitto gli infedeli nel cosiddetto Khorasan, che include parti dell'Afghanistan.
A vent'anni dall'operazione del dicembre 2001, le potenze occidentali avevano certamente ragione a chiedere agli afgani di decidere del loro futuro e in modo inequivocabile lo hanno fatto, o almeno l'hanno deciso per loro. Alcuni sostengono anche che l'ascesa della Cina e il ritorno della competizione tra grandi potenze significano semplicemente che non è più possibile per gli Stati Uniti, i loro alleati e partner impegnare così grandi porzioni delle loro rispettive forze e risorse in un paese dell'Asia centrale.
La triste evidenza è che tutto l'Occidente ha fallito nella sua missione di creare un Afghanistan libero e democratico. Nell'ultimo decennio i presidenti Obama, Trump e ora Biden hanno tutti fatto intendere che erano molto più preoccupati di come uscire dall'Afghanistan e quindi limitare qualsiasi impatto negativo che questo coinvolgimento poteva avere sulle loro possibilità elettorali. La domanda oggi e’: si sarebbe mai potuto stabilire un governo afghano funzionante e relativamente stabile? Probabilmente no, ma non semplicemente a causa della natura della politica afghana ma per la corruzione endemica. La stabilità in Afghanistan si basava sugli sforzi della Coalizione per costruire istituzioni di governo sufficientemente rispettate e capaci di governare il paese per il bene di tutti gli afgani. Tali sforzi sono stati frustrati dalla corruzione ai più alti livelli di governo incluso, si presume, l'ex presidente Ghani. Nonostante gli enormi sforzi compiuti dagli americani e dai loro alleati e partner per costruire istituzioni funzionanti a Kabul, non sono riusciti a far intendere tale impegno del governo di Kabul in tutto il paese dove molti Hazara, Pashtun, Tadjik e Uzbeki afgani consideravano lo stesso composto da soli corrotti.
In aggiunta, sin dall'inizio l'intera campagna afghana si è basata sulla convinzione che nel tempo le forze di sicurezza nazionali afgane credibili (300.000 unita’) sarebbero state sufficientemente solide da fornire un'efficace sicurezza pan-afghana contro circa 75000 talebani. L'affermazione del 17 agosto del Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, secondo cui il crollo del governo afghano è stato dovuto al fallimento dell'Esercito nazionale afghano è quindi corretta ma le ragioni per cui l'esercito è crollato sono molteplici e molto più complesse di quanto viene presentato, e non semplicemente a causa della scarsa leadership o del morale basso. Mentre l'ANA aveva circa 30.000 unità’ di eccellenza delle forze speciali, gran parte del resto dell'ANA era una componente immatura  la cui vera forza non era di 300.000 unità. Gran parte della forza sarebbe forse stata formata dai cosiddetti "soldati fantasma" che semplicemente non esistevano ma la cui paga era reclamata dai comandanti e gran parte del carburante e delle munizioni venivano vendute al mercato nero. La cosa è ora particolarmente preoccupante, soprattutto quando ci si riferisce alle armi leggere e i moderni sistemi d’arma, perché’ appare improbabile che i talebani siano in grado di esercitare il controllo su tutto il territorio del paese e la prossima fase del conflitto potrebbe vedere i signori della guerra e altri leader tribali cercare di riaffermare la propria autorità sulle rispettive aree proprio utilizzando gli armamenti reperiti in questi giorni.
Deve far riflettere, poi, come in soli sette giorni l’interessante (non sorprendente) velocità con cui sia Pechino sia Mosca si sono mosse per stabilire relazioni con il nuovo regime talebano anche se devono ancora riconoscerlo formalmente. Inoltre, non si deve  tralasciare che l'Iran non è amico dei talebani. Evidente che la Cina ha sempre avuto interesse alle grandi risorse minerarie afghane e senza dubbio passerà rapidamente a coinvolgere l'Afghanistan nella sua Belt and Road Initiative (BRI).
Per mitigare questo disastro, l'amministrazione Biden potrebbero coinvolgere Cina, India e Russia e cercare un certo livello di “causa comune” solida, in particolare sulla questione del terrorismo. Anche l'Arabia Saudita e altri stati del Golfo dovranno essere persuasi a limitare i finanziamenti religiosi. In caso contrario, l'Afghanistan potrebbe davvero diventare ancora una volta un’area per la competizione tra le grandi potenze.
Gli americani potrebbero poi concentrare la loro attenzione sul contrasto strategico alla Cina in un mondo post-Afghanistan, post-pandemia e questo mondo avrà bisogno ovunque di democrazie senza più “disastri afgani”.
A parere di chi scrive, gli uomini e le donne dell'Operazione Enduring Freedom della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza della NATO hanno fatto del loro meglio per far funzionare strategie e politiche imperfette, ma molti sono stati delusi, dalle rispettive capitali, nel tentativo di colmare un divario politico che non era opera loro e per il quale molti hanno pagato con la vita. In definitiva, il disastro in Afghanistan è dovuto a un catastrofico fallimento della leadership politica non delle forze armate impegnate.
Grazie all’opera dei soldati sul terreno l'Afghanistan non è piu’ stato uno spazio non governato in cui Al Qaeda stava addestrando i suoi combattenti e per circa vent'anni è stato impedito che venisse nuovamente utilizzato come base per sanguinari attacchi terroristici. Nonostante la neutralizzazione di Bin Laden, la campagna in Afghanistan non è stata un successo, ma poi l'idea stessa di "successo" per una missione del genere in un luogo del genere è fuori luogo. Probabilmente si sarebbe potuto e dovuto agire molto meglio ma l’impegno profuso e il sacrificio fatto non sono stati inutili.

21-08-2021
Autore: Giuseppe Morabito
Generale dell'Esercito Italiano
Membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation
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