di Maria Elena Viggiano
“Una nuova guerra fredda” è il rischio che intravede Xi Jinping se Biden procederà con politiche protezionistiche come il suo predecessore Trump. Nel suo discorso durante la conferenza online del World Economic Forum, il presidente cinese ha usato parole come “isolamento”, “arroganza” e “pregiudizio” e pronunciato frasi come “nessun problema globale può essere risolto da un paese da solo” e “non esistono al mondo due Paesi identici, ogni Paese è unico e nessuno è superiore”.Parole dure ed un discorso da leader per sollecitare, tra testo e sottotesto, il riconoscimento della Cina come potenza globale, la non ingerenza nelle politiche interne e l’ammonimento agli USA di non creare una divisione tra Occidente ed Oriente.
Poi, sempre partecipando al World Economic Forum, è arrivato l’intervento di Vladimir Putin che ha ribadito come il sistema internazionale stia diventando sempre più fragile e pericoloso soprattutto perché il mondo occidentale non riconosce la potenza crescente di Paesi basati su modelli di sviluppo diversi come appunto la Cina e la Russia. “C’è il rischio del collasso dello sviluppo globale e di una guerra di tutti contro tutti” - ha aggiunto il presidente russo – “Oggi un conflitto come la seconda guerra mondiale sarebbe impensabile”. Ma non meno cruento se si considerano gli strumenti tecnologici in possesso dei Paesi e la forte interdipendenza commerciale. Da qui uno scontro che sta diventando sempre più aperto ed esacerbato, basato su posizioni contrastanti: la presa di coscienza del declino degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale e la crescente leadership della Cina in particolare.
Molti analisti hanno sottolineato che la pandemia Covid-19 ha evidenziato le debolezze ed i problemi dell’Occidente, la gestione dell’emergenza sanitaria ha fatto venire alla luce l’incompetenza e la difficoltà di guidare il proprio Paese con determinazione da parte dei leader occidentali. A parte alcuni casi, si è assistito a diversi comportamenti: dalla negazione alla minimizzazione del virus, dall’incapacità di mandare chiari messaggi alla popolazione alla difficoltà di tracciare i positivi e di organizzare un piano vaccinale efficace e tempestivo. Oggi, a distanza di un anno, tra lockdown e parziali chiusure, i paesi occidentali arrancano e la fine della pandemia si prospetta ancora lontana, al contrario la Cina, primo paese colpito dal virus, sembra ormai fuori pericolo. Grazie all’uso dei dati e della tecnologia, il governo cinese ha dato una risposta tempestiva al diffondersi dell’epidemia. App di tracciamento, analisi dei Big Data ed Intelligenza Artificiale sono stati gli strumenti utili ad individuare e spegnere i focolai, così come un sistema organizzato di medicina territoriale e di supporto per esigenze di altro tipo come quelle alimentari, hanno permesso di aiutare la popolazione nel periodo di isolamento.
Il dibattito si è polarizzato immediatamente tra la differenza nel gestire una pandemia in un sistema democratico rispetto ad uno autoritario ma, probabilmente, sarebbe il caso per i paesi occidentali di avviare una profonda riflessione per trasformare questa crisi in una opportunità. È emersa la mancanza di una politica con una visione di medio e lungo termine e di riforme strutturali dei singoli Paesi occidentali necessarie per poter competere con le sfide attuali in un contesto globale che cambia velocemente. Ed è proprio sui grandi temi a livello mondiale che si gioca la sfida della leadership futura. Se da una parte sembra inevitabile la cooperazione tra Occidente ed Oriente su questioni come la pandemia o i cambiamenti climatici, la Cina corre veloce. In piena pandemia ha rilanciato la proposta di realizzare una “Health Silk Road”, una Via della Seta dedicata alla Salute. Idea avanzata nel 2017, il progetto si configura come una ramificazione della Belt and Road Inititive, un piano economico-infrastrutturale euroasiatico, con l’obiettivo di garantire la sicurezza sanitaria di miliardi di persone.
L’altra sfida vede l’annuncio di Xi Jinping di una neutralità climatica entro il 2060 a cui ha risposto Joe Biden, già il primo giorno del suo mandato, firmando il provvedimento per far rientrare gli Stati Uniti negli Accordi di Parigi sul clima. Durante la campagna elettorale Biden ha annunciato un piano di 2mila miliardi di dollari per avviare gli Stati Uniti verso una produzione di energia al 100% da fonti rinnovabili, tra l’altro attraverso la costruzione di 500mila stazioni di ricarica per i veicoli elettrici e nuove case ad alta efficienza energetica. Ora è da capire se ci sarà una convergenza sulle regole e gli obiettivi da adottare o diventerà un terreno di scontro tra Oriente ed Occidente.