di Giuseppe Morabito
Il possibile quadro futuro.
La standardizzazione, l'interoperabilità e la mobilità sono i mezzi utilizzati dei paesi membri della NATO per una difesa credibile in un ambiente strategico come quello del 2020 in rapido mutamento e deterioramento.
Queste tre “capacità” saranno al centro della strategia che definirà le possibilità della NATO per affrontare i conflitti attuali e futuri. Per raggiungere questo obiettivo, gli Alleati devono innanzitutto separare gli interessi politici da quelli strutturali.
Il mancato raggiungimento di questo obiettivo potrebbe impedire la corretta valutazione rispetto a quello che la NATO dovrà ricevere dai paesi membri nel decennio a venire. Ciò significa spostare il dibattito della NATO oltre la vecchia questione se gli alleati spenderanno il 2% del PIL per la difesa entro il 2024. Una parte di questo budget dovrebbe essere impiegato per nuove attrezzature, nonostante le problematiche connesse all’epidemia da virus di Wuhan. In questo quadro il dibattito deve concentrarsi sul migliore impiego delle risorse collettive nel perseguimento della futura architettura di difesa e, soprattutto, deterrenza della NATO.
In questo caso, è responsabilità dell'Alleanza offrire ai suoi leader politici e ai suoi cittadini una visione chiara di tale architettura in modo che tutti abbiano chiaro che cosa finanziamo con le tasse.
La NATO, per gli esperti che ne conoscono i meccanismi e la storia, ha bisogno di un nuovo concetto strategico per una nuova architettura strategica!
È necessario riscrivere la strategia della NATO in modo più chiaro e prevedendo una maggiore standardizzazione, interoperabilità e mobilità guidate dalla assolutamente imprescindibile innovazione.
Un nuovo atteggiamento strategico che affermi in modo inequivocabile che, nonostante la pandemia causata dalla, nella migliore delle ipotesi, imperizia cinese, non solo gli europei si stanno muovendo per fare di più per la propria difesa, ma che vi è una determinazione per costruire una nuova difesa digitalizzata nel quadro di una nuova architettura operativa integrata NATO.
Sarà vitale per la democrazia che si comprenda pienamente che la difesa e la deterrenza della NATO non possono essere separate dalla pace globale per la quale gli Stati Uniti “potenti e forti” rimangono essenziali. Per questo motivo i paesi europei dell’Alleanza, all’unisono devono riconoscere l'urgente necessità di diminuire le pressioni sulle forze statunitensi costruendo la prima futura forza europea di qualità.
I Balcani
Anche quest’anno, come avviene ormai dal 2014, la NATO Defence College Foundation ha riunito a Roma esperti e studiosi dell’Alleanza e dei Balcani in quanto, sotto la guida del suo presidente, Ambasciatore Minuto Rizzo, è stato stabilito che questa parte d’Europa merita un’attenzione speciale e maggiore visibilità. Nell’aprire il convegno, l’ambasciatore ha affermato che “Non c’è dubbio che i Balcani Occidentali debbano entrare a far parte delle istituzioni europee ed euro-atlantiche: ai nostri occhi è un destino naturale".
È una regione dove per anni la NATO e l’Unione Europea hanno collaborato a beneficio di tutti, ed è la prova che la cooperazione concreta tra le due organizzazioni può essere un moltiplicatore di stabilità e sicurezza”.
Con la sua visione europea Maciej Popowski (Direttore Generale Incaricato, Direzione Generale della Politica di Vicinato e dei Negoziati di Allargamento, Commissione Europea, Unione Europea, Bruxelles) ha voluto evidenziare che:
“La sicurezza nei e dei Balcani continua a essere una priorità per l’Unione Europea. Nel tempo ci siamo concentrati su criminalità organizzata, migrazione e corruzione, e ora, parallelamente alla diffusione della pandemia, si sono aggiunte nuove sfide come la disinformazione e le minacce ibride. Siamo e continueremo a essere impegnati nel supportare lo sviluppo economico dei Balcani Occidentali e la Commissione presenterà presto un piano d’investimenti per la regione. Inoltre, nel 2020 abbiamo iniziato a rinnovare e rinvigorire il processo di adesione dei paesi dell’area, adottando un nuovo metodo e un nuovo scopo: rendere i negoziati di allargamento più credibili, dinamici e prevedibili”.
L’Italia svolge da anni un ruolo chiave nei Balcani, mantenendo il comando delle Kossovo Foce (KFOR,NATO) a Pristina.
Negli anni, partner internazionali come ONU, OSCE e UE hanno ridotto la propria presenza in Kosovo, affidando molte delle loro competenze alle istituzioni del paese. KFOR, pur registrando una contrazione della forza militare - che al momento conta circa 3500 soldati provenienti da 26 paesi, di cui 18 membri NATO - ha mantenuto intatto il suo ruolo di unica forza di sicurezza unanimemente riconosciuta nell’area. Questo grazie al fatto che attualmente assicura sicurezza e libertà di movimento lavorando in stretta collaborazione con la Polizia e la Forza di Sicurezza del Kosovo. Nel corso della conferenza il Generale dell’Esercito Italiano Michele Risi attuale Comandante di KFOR, ha ricordato che: “La missione di KFOR oggi è quella di tutelare la sicurezza del paese in quanto terzo attore di risposta, facilitando così la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo. Stiamo facendo del nostro meglio per fare dei passi avanti e garantire che quello del Kosovo non diventi un “conflitto congelato”, ma il rischio che lo sia resta immutato.”
Proprio per quanto precede, il Chairman della NATO, lo scorso 18 settembre, in apertura della riunione dei capi di stato maggiore della difesa dei paesi alleati aveva indicato che il ruolo dell’Alleanza nei Balcani è tuttora rilevante e che non si prevede di “tagliare” la missione.
Questa centralità italiana, dimostrata dalla volontà nazionale di mantenere per anni il comando della missione in Kossovo è stata ripresa dal Presidente della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, Fassino che in conclusione dei lavori ha ricordato che: “L’Italia deve riconoscere i Balcani, e i Balcani Occidentali in particolare, come un’area di grande interesse strategico, da sviluppare tanto attraverso relazioni bilaterali quanto attraverso la promozione e il supporto del loro percorso d’integrazione nelle organizzazioni internazionali di cui l’Italia è membro".
Un impegno simile richiede tuttavia che l’Italia faccia un salto di qualità e strutturi meglio la sua presenza nell’area con un costante sforzo politico e diplomatico. La Repubblica Italiana non ha alcuna intenzione egemonica nei Balcani e, soprattutto, non ha nemici nella regione. Siamo il secondo, se non il primo, partner economico dei paesi balcanici e i militari italiani, continuino a contribuire alla pace e alla stabilità nella regione. Occorre inoltre che l’Italia rafforzi gli strumenti e le organizzazioni che permettono la sua proiezione economica nell’area, puntando ad approfondire l’integrazione dei mercati italiani e balcanici. Non ci sarà piena sicurezza in Europa finché l’integrazione dei Balcani non sarà completa.”
Conclusioni
In definitiva, una maggiore standardizzazione, interoperabilità e mobilità sono fondamentali per il futuro strategico di sicurezza e difesa in visione transatlantica.
Gli Stati Uniti, senza dubbio e comunque si concludano le elezioni presidenziali di novembre, continueranno a garantire la difesa europea ma dovranno ricevere in cambio degli europei non solo un maggiore impegno per la propria difesa, ma un aiuto in relazione alle scelte politiche “che guardino a occidente e non a oriente".
Nel prossimo decennio il progresso tecnologico-militare imporrà alle grandi democrazie che sono una parte fondamentale della NATO (escludendo per ora la Turchia), la più importante delle scelte: essere prede strategiche o combattenti?
L’Italia, per quanto nelle sue possibilità, dovrebbe mantenere un ruolo d’indirizzo nel Mediterraneo sfruttando anche la stima che le sue Forze Armate si sono guadagnate nei Balcani e soprattutto non guardare troppo benevolmente a oriente.