di Giuseppe Morabito
ll dilagante scetticismo sull’UE deve fermarsi per un momento. Viene finalmente ripreso il grande progetto che è stato una forte ambizione e speranza. Dalle rovine e dal sangue di due guerre mondiali è nata un'intesa regionale che rimane unica al mondo. Come tutto è imperfetta, ma proviamo a immaginare dove saremmo senza il trattato di Roma del 1957? Questa dichiarazione dell’Ambasciatore Minuto Rizzo,
Presidente della NATO Defence College Foundation deve far riflettere. Come attualissimo è quanto scritto nel 2013 dalla filosofa Chiara Botticci: “Il mito politico dell'Europa è più che una narrazione storica. L'Europa, come qualsiasi altra struttura politica sovranazionale, dipende da un eccesso di attaccamento emotivo: richiede storie condivise che hanno il potere di provincializzare le identità nazionali e galvanizzare nuove forme di fedeltà e azione politica”.
La pandemia da “Virus di Wuhan” ha messo in evidenza con forza la complessità di questa situazione. Nelle scorse settimane quando i ministri delle finanze europei hanno approvato l'assistenza di emergenza sotto forma di prestiti, attraverso il meccanismo europeo di stabilità (MES), le reazioni politiche sono state differenti, soprattutto in Italia. Allo stesso modo, le richieste italiane di condivisione del debito sono state accolte con ostilità da molti paesi del nord Europa compresa la Germania. Queste reazioni hanno profonde radici culturali.
Ad aprile, ad esempio, i lettori del tabloid più venduto della Germania, il Bild, si sono svegliati con un titolo sorprendente: “Ciao, Italia! Ci rivedremo presto. Per un espresso o un bicchiere di rosso. In vacanza o nella pizzeria locale ”. Espresso, vino, pizza: questa presunta "dichiarazione di solidarietà" aveva poco da dire sull'Italia e molto sulle prospettive tedesche. I commentatori italiani hanno replicato prontamente, con un misto d’indignazione e stupore. Alcuni quotidiani vicini alle idee del governo italiano hanno pubblicato articoli cercando di far passare un messaggio positivo e di nascondere le responsabilità politiche e gli obblighi morali della Germania. Tutti gli interlocutori hanno seguito uno “canovaccio” prevedibile. Il fascino tedesco per l'Italia è più antico del Viaggio italiano di Goethe (1816/17) e si è progressivamente consolidato!
Allo stesso modo, molti italiani hanno cercato in Germania “un’alter ego” necessario al proprio senso d’identità nazionale. Colore, passione e transitorietà a sud delle Alpi, competenza, produttività e noia a nord: identità così speculari hanno giocato un ruolo cruciale dal diciannovesimo secolo. Ippolito Nievo, nelle “Confessioni d’un italiano (1858)”, ha paragonato il Bel Paese alla bellezza effimera di una lunga serata estiva. L'Italia, osserva Nievo, può essere compresa solo da un italiano, ma può essere amata solo da uno straniero, e in particolare da quei settentrionali, che apprezzano anche il fascino cupo di una brughiera torbida. La mente
umana, secondo il Nievo, può imparare ad ammirare i grandi successi del Nord, ma il cuore umano desidererà sempre il Sud”. Nel 1958, Ennio Flaiano visitò Amsterdam e notò che l'Italia, per gli olandesi, non significava altro che tessuti e panna montata.Identità e cliché stereotipati non hanno perso il loro fascino nel XXI secolo. Il lettore tedesco medio, d'altra parte, guarda l'Italia della narrativa poliziesca di Andrea Camilleri o a qualche “balla auto-dissacrante” come le stesure sulla malavita napoletana che parlano di famiglia, amore e criminalità organizzata.
Tornando ad argomenti più strutturali, pare che la crisi del coronavirus non ci abbia insegnato nulla.
Infatti sembra che per l’efficacia di queste narrazioni secolari, su entrambi i lati delle Alpi, sia onnipresente lo scetticismo cui fa riferimento Minuto Rizzo.
Non è quindi un caso che i tedeschi considerino gli italiani economicamente inaffidabili e che questi ultimi non ritengano i tedeschi capaci di comprendere i loro problemi. Finché ogni paese considera l'altro come una proiezione dei propri desideri e difetti, non ci sarà una narrazione condivisa. Per venire a capo della situazione di crisi in cui versa l’Europa è invece necessaria un’unità politica, sociale, economica e di intenti.
Su questo solco sorprende il diniego della cancelliera tedesca di partecipare al G7. Rifiuto che configura un allontanamento dell’Europa a trazione tedesca dagli Usa.
Il Presidente Trump ha poi dichiarato che posticiperà il vertice dei sette grandi a settembre. Washington vorrebbe superare l’attuale “arretramento” a una possibile “nuova guerra fredda”.
L’altro elemento che evidenzia la strategia USA è l’invito alla Russia: Trump conferma di avere un canale privilegiato con Mosca, anche nel momento di massimo confronto geopolitica con la Cina. Tutto ciò anche se in Europa molti ritengono che l’attuale approccio di Putin renda difficile ogni dialogo e avvicinamento, atteso che la Russia è sospesa dal G7 ormai dal 2014.
Il presidente USA ha inoltre dichiarato di voler invitare altri paesi: Corea del Sud, l'Australia e l'India.
L’Italia dovrebbe considerare questa partecipazione “allargata” una possibilità imperdibile per uscire dall’anonimato in cui è caduta la politica estera e che caratterizza questo momento della politica italiana. Dovrebbe impiegare la sua vocazione europea e i buoni rapporti con Berlino e cercare un’identità superando le contrapposizioni Sud–Nord per non incorrere in un’estromissione dal G7 per “inesistenza internazionale”.
È bene ricordare che nel 1957 l’Europa scelse di costituirsi unitariamente firmando in Campidoglio i Trattati di Roma che istituirono la Cee (Comunità Economica Europea) e la Ceea (Comunità europea dell’energia atomica, nota come Euratom). Il quadro storico entro cui s’inserirono i Trattati erano il secondo dopoguerra (ritorno alla pace dopo le dittature e le tragedie del secondo conflitto mondiale, nascita delle democrazie parlamentari in Germania e Italia, ricostruzione economica e sociale) e la “guerra fredda”, con il continente diviso dalla Cortina di ferro. Ora è necessario guardare avanti e non arretrare troppo.
L’Europa merita unità sostanziale che le permetta di svolgere un ruolo primario sulla scena della politica internazionale.