di Amer al Sabaileh
Negli ultimi mesi l’attenzione mediatica si è concentrata sulla questione della pandemia Covid19 e si è parlato poco di altre vicende. Ma il mondo è andato avanti e sono tanti gli avvenimenti che sono passati sottotraccia, alcuni di questi riguardano la Siria.
Oggi più che mai questa crisi è importante per gli equilibri globali e quello che si sta attraversando è un momento cruciale per la sua risoluzione, soprattutto dal punto di vista interno, anche se ovviamente vi sono intrecci internazionali che operano in tal senso.
La situazione in Siria, anche a causa del Covid19 si è aggravata visibilmente, innanzitutto dal punto di vista economico, a causa delle problematiche legate al reperimento dei beni di prima necessità e alla svalutazione della valuta nazionale; si è anche registrata un rafforzamento dei gruppi criminali che oramai sono stanziati in alcune parti del paese e portano avanti le proprie attività. Non ultimo vi è il problema legato alla presenza di cellule terroristiche riconducibili all’Isis e ad Al Qaeda che operano in territorio siriano, soprattutto al sud del paese e vicino a Damasco.
È facilmente comprensibile che le restrizioni derivanti dalla lotta contro la pandemia e le situazioni contingenti di pericolo e instabilità rendono la situazione incandescente.
Dal punto di vista politico però vi è una novità rilevante, infatti pare che vi sia la consapevolezza da parte governativa e da quella degli oppositori che il percorso della riconciliazione sia l’unica strada percorribile per risolvere la crisi interna. Seguendo questo percorso il governo siriano è stato al centro di alcuni incontri bilaterali con gli Emirati Arabi Uniti, che di fatto hanno interrotto l’isolamento politico del paese medio orientale. Questo passo di “diplomazia della pandemia” è stato importante e potrebbe segnare il rientro della Siria nella “casa araba” in prospettiva di un futuro rientro in seno alla Lega Araba.
Per arrivare a questo importante traguardo dovrebbero però verificarsi importanti cambiamenti all’interno del paese.
Ma la Siria non è il solo attore interessato a questi mutamenti, ve ne sono altri, di rango internazionale, gli Usa in prima linea. Il governo americano chiede che venga azzerata l’influenza iraniana in Siria. Perché ciò avvenga è necessario che vi sia un’alternativa, un paese che la sostituisca. In questo contesto bisogna inoltre vagliare la portata della crisi interna dell’Iran, che ad oggi non è in grado di influenzare la politica e l’economia siriana come faceva in passato. Quel che ora è certo che la ricostruzione della Siria deve passare necessariamente per la fattiva collaborazione dei paesi arabi, e le diplomazie si stanno muovendo in questa direzione. Questa situazione apre la strada ad altri possibili scenari in cui paesi arabi dell’asse anti turca ((Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) si avvicinano sempre più alla Siria, in funzione anti Ankara. Da un lato infatti vi è la volontà di questi paesi di bloccare le attività e la crescente influenza che la Turchia è stata in grado di esprimere in Siria e dall’altro, soprattutto da parte egiziana, la necessità di interrompere i legami tra la Turchia e la Libia, infatti le milizie terroristiche siriane inviate da Ankara a sostegno di Al Sarraj sono considerate un pericolo per la stabilità dell’Egitto.
La situazione si fa ancora più intricata se si inserisce in questo quadro il ruolo di Israele a cui gli USA hanno riconosciuto la sovranità sul Golan, una circostanza inaccettabile per il governo siriano.
In conclusione la Siria e i paesi arabi hanno innescato un processo di riavvicinamento, che ribadisce l’importanza strategica del paese di Assad, la soluzione della crisi siriana si avvicina, ma è necessaria la collaborazione di tutti i paesi interessati perché questo piano di pace vada in porto.