di Alfredo Battisti,
Sono ormai imminenti le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. In Italia saremo chiamati alle urne sabato 8 e domenica 9 giugno, per designare 76 eurodeputati, su un totale di 720.
La campagna elettorale che sta scaldando il dibattito politico si basa, però, su una serie di fraintendimenti. Dico “all’italiana” non per usare un inopportuno cliché denigratorio del Belpaese, ma per sottolineare la natura “casalinga” e eccessivamente limitata delle argomentazioni in campo.
Al netto delle diffusissime candidature civetta (ossia di politici che, se eletti, rinunceranno al seggio per mantenere il loro incarico nazionale) usate al mero scopo di “sondaggio” e sorvolando anche i tentativi di scriteriati dibattiti solo tra le forze politiche più grandi (in una votazione che si gioca invece con il proporzionale puro), vorrei porre l’attenzione sui simboli e sui partiti che troveremo sulla scheda. Per eleggere il Parlamento europeo, andremo a votare dei partiti che in Europa non esistono!
Si tratta di una cruda realtà, convenientemente ignorata da tutti gli attori politici per strumentalizzare a fini di politica interna una votazione che si gioca invece su altri piani, su altre competenze, su altri programmi.
Vale la pena correre il rischio di esemplificazioni per spiegarsi meglio. Nei piccoli paesi, generalmente, alle elezioni comunali concorrono liste civiche, che giustamente basano i loro programmi sulla tenuta e valorizzazione del borgo, sulle attività per animarlo, e simili. Quando però si svolgono le elezioni politiche, se si chiedesse agli abitanti di quel paese di scegliere tra le stesse liste civiche, apparirebbe evidente il loro scetticismo: si ha a che fare con il Parlamento, non con il Comune! Che senso avrebbe far votare liste civiche comunali, che si fronteggiano su programmi legati al territorio, in una elezione che punta a livello nazionale, con partiti nazionali e programmi di respiro e di competenze completamente diversi?
È questa la domanda che vale la pena porsi anche in vista di queste elezioni, perché a livello europeo non si fronteggiano Fdi e PD, Lega e M5S, ma la vera gara è tra le famiglie politiche europee: i partiti italiani sono solo proiezioni e piccole porzioni dei più grandi partiti europei. In ballo, dunque, ci sono il Partito Popolare, i Socialdemocratici, i liberali di ALDE, i centristi del PDE, i Conservatori e Riformisti, Identità e Democrazia, i Verdi, la Sinistra.
Non è un caso allora che, seppur sulla scheda troveremo gli stessi simboli delle elezioni politiche, i programmi elettorali non esistono (solo FI e Azione ne hanno pubblicato uno). Il motivo risiede — oltre che in una riprovevole sciatteria istituzionale — certamente anche nel fatto che il programma non può definirlo un partito nazionale, ma è stato definito invece dal partito europeo, perché in Europa si lavora insieme, non divisi per Stato!
Si potrebbe allora eccepire: “Benissimo, allora mi basta scegliere il partito italiano da votare, risalire al partito europeo a cui esso appartiene e trovare il programma”. È certamente un metodo, ma probabilmente si rimarrà stupiti nello scoprire progetti e argomentazioni di respiro europeo, che poco o nulla hanno a che fare con la retorica “all’italiana”, ossia basata sull’orticello del Belpaese.
Perché, invece, non invertire il ragionamento? Analizzare i programmi delle otto famiglie europee, individuare con onestà quello su cui vale la pena puntare. In breve: scegliere la famiglia europea che merita il mio voto. Solo in un secondo passaggio, ai soli fini pratici, cercare quale partito italiano appartiene alla mia famiglia europea, per capire su che simbolo mettere concretamente la croce.
È un modus operandi — lo preciso — che va incontro a una grossa criticità: scoprire che la famiglia europea che mi piace, purtroppo, in Italia è rappresentato da un solo partito, che non voterei mai. Qui soccorre una piccola considerazione, difficile perché puramente razionale e anti-istintiva (mentre il voto ha sempre anche una componente irrazionale): la partita si gioca su piani diversi, quindi ciò che per me è invotabile al Parlamento italiano può diventare opportuno al Parlamento europeo. Si consideri, inoltre, che nella “mia” famiglia europea non ci saranno solo gli “scalmanati” italiani che non mi piacciono, ma anche tutti gli altri parlamentari di ogni Stato europeo che si riconoscono negli stessi valori e programmi. In passato, spesso abbiamo visto come ad affermazioni di leader italiani corrispondesse un voto esattamente contrario da parte dei “suoi” parlamentari in Europa. Incoerenza? No. Semplicemente, arrivati a Strasburgo, le dinamiche, i partiti, i leader nazionali sfumano e confluiscono in dinamiche, partiti e leader europei, che contano davvero nella più grande partita europea.
E se nemmeno questo riuscirà a placare il dissidio, se vi troverete in una drammatica indecisione tra partiti italiani inadeguati e famiglie europee stimabili (o viceversa), giunge in aiuto il grande Indro Montanelli: “Turatevi il naso e votate … il partito italiano iscritto alla ‘vostra’ famiglia europea”!