di Roberta Savino
Negli ultimi anni si sono verificati numerosi sviluppi nell'intersezione tra il diritto della concorrenza e la protezione dei dati. Sia il Regno Unito che l'UE hanno introdotto legislazioni per regolare il modo in cui le grandi piattaforme online competono, compresi vari requisiti sull'uso, la raccolta e la condivisione dei dati personali (in particolare il Digital Market Act nell'UE (Regolamento (EU) 2022/1925, che ha emendato le Direttive (EU) 2019/1937 and (EU) 2020/1828 e l'equivalente nel Regno Unito attualmente in fase di approvazione parlamentare (The Digital Market, Competition and Consumers Bill).
Queste questioni sono state anche oggetto di dibattito nei tribunali; l'anno scorso la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito che una violazione delle disposizioni del GDPR può costituire la base per una constatazione di violazione del diritto della concorrenza da parte di un'autorità nazionale di concorrenza. Ciò e avvenuto nel contesto di un caso concernente il modo in cui Facebook/Meta raccoglie i dati, iniziato dinanzi la Autorità antitrust nel 2019, con l’accusa che Facebook fosse responsabile di abuso di posizione dominante nel quadro del proprio regime nazionale di diritto della concorrenza, costringendo gli utenti a concedere il consenso affinché il social network, a sua volta, potesse elaborare grandi quantità dei loro dati personali sia all'interno dei propri servizi che delle app e al di fuori del proprio ambito di attività.
In un altro caso, il parere legale dell'Avvocato Generale Szpunar resa qualche settimana fa nell’esaminare con dovizia di particolari le differenze e le possibili interazioni tra normativa antitrust e GDPR, suggerisce che sia anche possibile che un'azione di questo tipo venga intrapresa da un concorrente (piuttosto che da un'autorità antitrust) nell'ambito delle azioni di applicazione privata ai sensi delle norme nazionali sulla concorrenza. Ciò è vero anche se il concorrente che intenta l'azione per un'inibitoria non è beneficiario della protezione prevista dal GDPR, che è limitata ai soggetti dei dati. L'Avvocato Generale ritiene che la possibilità di azioni di applicazione privata di questo tipo rafforzi piuttosto che comprometta l'efficacia del GDPR.
A febbraio di quest’anno organizzazioni europee per la tutela dei consumatori provenienti da otto paesi hanno presentato reclami presso le rispettive autorità nazionali di protezione dei dati contro Meta (prima Facebook), sostenendo che il gigante dei social media statunitense stia raccogliendo illegalmente i dati degli utenti attraverso il suo modello di abbonamento per l'uso senza pubblicità della piattaforma.
I gruppi fanno parte della rete pan-europea del gruppo di consumatori BEUC provenienti da Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Francia, Norvegia, Slovacchia, Slovenia e Spagna, e sostengono che il modello di abbonamento di Meta non rispetti i principi previsti dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) dell'UE e che il gigante tecnologico non abbia una valida base giuridica per giustificare la raccolta dei dati degli utenti di Facebook e Instagram.
Meta ha introdotto il modello a ottobre, affermando che il Digital Markets Act, le norme dell'UE sulla concorrenza per le piattaforme online, impongono all'azienda di offrire ai consumatori del blocco un'alternativa per utilizzare Facebook e Instagram.
Se una persona sceglie di abbonarsi, non vedrà annunci pubblicitari e Meta non elaborerà le loro informazioni per la pubblicità personalizzata. Il servizio senza pubblicità costa €9,99 al mese per gli utenti web e €12,99 per gli utenti dell'app su iOS o Android.
"Abbiamo introdotto questa scelta, chiamata 'Abbonamento senza pubblicità', come nostra soluzione di consenso per conformarci a una combinazione unica di obblighi normativi dell'UE connessi e talvolta sovrapposti con scadenze di conformità diverse", ha detto un portavoce di Meta attraverso un blog-post.
Il vice direttore generale di BEUC, Ursula Pachl, ha dichiarato in una nota oggi che "i modelli di business basati sulla sorveglianza pongono tutti i tipi di problemi sotto il GDPR ed è ora che le autorità di protezione dei dati fermino l'elaborazione dei dati ingiusta di Meta e la violazione dei diritti fondamentali delle persone".
Le rivendicazioni dei gruppi di consumatori giungono dopo che organizzazioni per la privacy e autorità di protezione dei dati hanno espresso preoccupazioni simili nei mesi recenti.
A gennaio, le autorità di protezione dei dati olandese, norvegese e di Amburgo hanno richiesto un parere all'European Data Protection Board - un organismo che comprende tutti i watchdog nazionali dell'UE per la protezione dei dati - sul modello di pubblicità comportamentale del gigante tecnologico. IL 17 Aprile scorso L'EDPB ha emesso il suo parere (Opinion 08/2024 on Valid Consent in the Context of Consent or Pay Models Implemented by Large Online Platforms) e concluso che nella maggior parte dei casi, non costituita’ valido consenso all’utilizzo dei dati personali, per le grandi piattaforme online, quello acquisito attraverso il fornire all’utente la scelta tra pubblicità comportamentale e pagamento per l’uso della piattaforma stessa… Le piattaforme online, nello sviluppare alternative alla fornitura del servizio con pubblicità comportamentale, dovrebbero considerare ‘alternative equivalenti’ che non comportino il pagamento del servizio’.
Resta da valutare la posizione del Regni Unito che, a causa delle Brexit, non è vincolato dalle opinioni rese in ambito EU (e qualsiasi decisione della CGUE che seguirà) e che stanno considerando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la protezione dei dati in un'azione collettiva intentata contro Meta. Tale azione mira ad ottenere rimedi per un presunto abuso di posizione dominante nel modo in cui Facebook ha reso l'accesso ai suoi servizi condizionato alla fornitura di dati personali. La controversia è ancora nelle fasi iniziali, avendo ottenuto solo di recente la certificazione per procedere come azione collettiva dopo vari ostacoli iniziali. Se il caso dovesse procedere alle questioni sostanziali, sarà interessante vedere quale approccio adotteranno i tribunali britannici in questo settore.
Roberta Savino