Paolo Balduzzi

In queste settimane tutto il paese sembra essersi diviso su problematiche falsamente fondamentali,  come per esempio se ognuno di noi avesse il diritto o meno di andare a correre in santa pace, e si sono rincorse teorie, tra lo scientifico e il complottismo, su origine, diffusione, trasmissione e curabilità del coronavirus.

Ben pochi però sembrano preoccuparsi dei veri colpevoli dell’emergenza sanitaria che stiamo vivendo e subendo: gli evasori fiscali. Non si tratta solo di pochi ma ricchissimi casi, bensì di un esercito diffuso, che incontriamo ogni giorno e di cui, con buona probabilità, ha fatto parte ognuno di noi almeno una volta nella vita. Quando? Quando abbiamo accettato uno sconto in cambio di uno scontrino non battuto o di una fattura non emessa; quando abbiamo preferito un pagamento in nero a uno regolare; quando, per l'ennesimo anno, abbiamo evitato di pagare il canone o il bollo. Il danno di questi comportamenti, secondo i dati ufficiali e più recenti, è stimato in circa 110 miliardi (media 2014-2016), ben tre volte la cifra che l’Italia potrebbe ottenere ricorrendo al famoso MES, e certo senza alcuna condizione. Nonostante gli interventi previsti da ogni legge di bilancio e il varo delle più diverse iniziative, come studi di settore, redditometro, spesometro, etc., ogni anno si recuperano – quando va bene –solo circa 15 miliardi.

Per avere un’idea di come le responsabilità di questo disastro fiscale si possano suddividere, basta guardare ai numeri nel dettaglio: l’evasione tributaria (98 miliardi) deriva principalmente da evasione dell’Iva (36 miliardi), evasione dell’Irpef dei lavoratori autonomi (33 miliardi), evasione dell’imposta sui redditi societari (Ires, 8 miliardi), evasione dell’Irap (6,5 miliardi), evasione dell’IRPEF da parte dei lavoratori dipendenti ed evasione dell’Imu (5 miliardi ciascuna); l’evasione contributiva, che comprende i contributi che finanziano in particolare la previdenza, vale 11 miliardi, ripartita tra evasione dei contributi a carico dei datori di lavoro (8,5 miliardi) ed evasione di quelli a carico dei lavoratori (2,5 miliardi). Per avere un’idea dell’ordine di grandezza della nostra disonestà, la somma di 110 miliardi supera la metà dell’intero gettito dell’Irpef (180 miliardi nel 2017), vale da sola quasi quanto il gettito dell’Iva (130 miliardi, sempre nel 2017) e, in una ipotetica scala delle entrate di un paese, si classificherebbe al terzo posto. Pensiamo anche al decreto legge 18/2020, il cosiddetto “Cura Italia”, che contiene proprio le prime misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per cittadini e imprese, conseguenti all’emergenza coronavirus: vale 25 miliardi, meno di un quarto di quanto ogni anno non viene corrisposto allo Stato. E allora perché la stessa intransigenza, lo stesso odio, la stessa rabbia che manifestiamo rispetto a chi continua a circolare per le strade non l’abbiamo mai applicata a chi ha rubato, anno dopo anno, risorse che sarebbero servite a mantenere i posti letto negli ospedali e a finanziare ammortizzatori sociali più adeguati? Sono - e siamo - le stesse persone che poi, sulla base di una presunta povertà, quei servizi che non finanziano li ottengono prima di altri, cioè prima degli onesti. L'evasione è un comportamento illegale, eppure in questo paese è tollerato se non addirittura motivo di vanto. Cosa contiene il già citato decreto legge 18/2020 da questo punto di vista? A prima vista, nulla. Ragionevole, del resto, che tutto l’impegno, il personale e le risorse economiche mobilitate o già a disposizione siano dedicate a contrastare questo difficilissimo periodo. Ma a una lettura più attenta, l’evasione emerge anche tra le righe di questo provvedimento. Ed emerge innanzitutto nell’osservazione il sistema sanitario che si vuole potenziare curerà anche coloro che non lo hanno mai finanziato. Ed è sacrosanto che lo sia, per fugare ogni dubbio su quanto per chi scrive sia irrinunciabile il diritto alla salute; in aggiunta, emerge nel fatto che queste persone usufruiranno dei bonus previsti, il che appare - al contrario - molto meno sacrosanto. Infine, perché tutti i procedimenti controllo, accertamento, riscossione e contenzioso sono congelati per tre mesi. In altre parole, non solo non si potenzia la lotta all’evasione ma si rinuncia proprio a farla. Non è comunque questo il tempo delle polemiche e, oggi più che mai, è decisivo affrontare insieme ed uniti questa emergenza. Ma una strada ancor più difficile ci attenderà alla fine di questo tunnel: quella del ritorno alla normalità, ai comportamenti che ci caratterizzano e qualificano ogni giorno come buoni o cattivi cittadini, e come amanti e rispettosi del nostro prossimo o meno. Chissà se come cittadini avremo finalmente maggiore coscienza di ciò che la nostra disonestà fiscale comporta. E se anche il legislatore smetterà di tollerare – quando non addirittura di incentivare a fini elettorali – questa guerra civile che consuma lentamente il nostro delicato patto sociale.

22-04-2020
Autore: Paolo Balduzzi
Docente di Economia pubblica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
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