Caterina Boca

Ho conosciuto Kemo la scorsa estate in un ospedale.  Il volto tumefatto, la voce stanca. Qualche giorno prima era stato aggredito mentre andava a lavorare. Erano le prime ore del mattino ed ancora il sole non si era levato. Sulla sua bicicletta percorreva il bordo di una strada poco trafficata che costeggia alcuni campi nel foggiano, non molto distante dal ghetto in cui viveva.

Una macchina si era avvicinata velocemente e dal finestrino qualcuno aveva scagliato un masso enorme contro di lui che immediatamente era rovinato a terra, riportando in volto e su molte parti del corpo i segni di questo gesto violento e sconsiderato.

Con quel filo di voce che ha, sdraiato su questo letto, Kemo mi dice che non capisce perché sia successo. In fondo, lui, vuole solo lavorare.
Eppure, Kemo è uno dei tanti lavoratori migranti invisibili ai quali dovremmo dire grazie ogni giorno, perché contribuiscono a far arrivare sulle nostre tavole, cibo, frutta e verdura fresca, garantendo il mantenimento della produzione agricola italiana e contribuendo a renderne competitivo il mercato anche all’estero. Invece è una delle vittime delle piaghe del lavoro nero e dello sfruttamento lavorativo, che affliggono anche altri settori lavorativi e che sembrano sempre più difficili da estirpare. Fenomeni fin troppo radicati, alimentati anche da un substrato culturale diffuso che ci induce a tollerare, a giustificare certi comportamenti, certe abitudini, certe storture, dimenticandoci delle conseguenze.
Sono migliaia i lavoratori stranieri che vivono in Italia, lavorano in agricoltura, ed all’interno del nostro Paese si spostano silenziosamente ogni giorno seguendo il ciclo naturale delle semine e delle raccolte. Persone che si adattano troppo spesso a contesti alloggiativi precari, come i cd ghetti, o che vivono in manufatti abbandonati e fatiscenti, luoghi dove spesso si perde la vita. Lavoratori che ricevono paghe basse ed inadeguate o sono privi di tutele giuridiche che quando rivendicano gli costano anche il lavoro.
Nell’ultimo Rapporto annuale dell’attività di vigilanza dell’INL - l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, relativo al 2019, su 159.805 ispezioni e accertamenti effettuati in 142.385 aziende (quelle considerate più a rischio), è emerso un indice di irregolarità dell’81% in ambito previdenziale e dell’89% in ambito assicurativo. Sono stati individuati 356.145 lavoratori irregolari, dei quali 41.544 totalmente in nero. Sono numeri alti che se incrociati con quelli riportati nel Quarto rapporto Agromafie e Caporalato - Osservatorio Placido Rizzotto di Flai Cgil, pubblicato nel 2019, ci restituiscono una preoccupante fotografia del lavoro in Italia dove l’attività irregolare vale 77 miliardi, ovvero il 37,3%, ed il settore agricolo incide per il 15,5% , e dove il business del lavoro irregolare e del caporalato è pari a 4,8 miliardi di euro. Sono tra 400.000/430.000 i lavoratori agricoli esposti al rischio di un ingaggio irregolare e sotto caporale: di questi, più di 132.000 sono in condizione di grave vulnerabilità sociale e forte sofferenza occupazionale e più di 300.000 lavoratori agricoli, ovvero quasi il 30% del totale, lavorano formalmente meno di 50 giornate l’anno, dove presumibilmente è presente molto lavoro irregolare/grigio.
Il fenomeno del caporalato è sempre più radicato e legato al lavoro nero. I caporali sono figure ambigue. Si sono costruiti uno spazio di riconoscimento, un ruolo specifico nella catena di produzione, lì dove la mancanza di Politiche adeguate e di servizi pubblici efficienti ha lasciato loro la possibilità di agire indisturbati. Offrendo servizi ai lavoratori, si sono sostituiti a chi, pur avendo il ruolo e la responsabilità politica ed amministrativa per farlo, si è dimostrato inadeguato. E cosi il lavoratore si è ritrovato a pagare per tutto: per fare ingresso nei ghetti, per essere trasportati verso i luoghi di lavoro, per cercare un lavoro, per le giornate occupate, per rinnovare il proprio permesso di soggiorno quando lo si possiede. Abbiamo assistito cosi alla nascita del “caporalato dei servizi”. Il caporale, legando a sé a doppio mandato i lavoratori, aumentando quell’ambiguità che gli permette troppo spesso di vivere e lavorare impuniti, ha rafforzato il suo ruolo ed il suo potere perché a quel punto è sempre più difficile distinguere tra le Reti di supporto e le Reti di sfruttamento, comprendere la linea sottile e fragile che li divide e avere il coraggio di oltrepassarla, affidandosi invece a chi offre tutele e servizi, lotta per i diritti e per la dignità del lavoro di tutti.
La Legge 29 ottobre 2016, n. 199, “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”, è stata una legge coraggiosa. Modificando l’articolo 603 bis del Codice penale ha introdotto il reato di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo, consentendo di perseguire non solo i cd caporali quanto anche i datori di lavoro che impiegano alle loro dipendenze lavoratori in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno. Nel primo semestre 2019 sono state denunciate per caporalato e sfruttamento dei lavoratori 263 persone, 59 delle quali arrestate (più del triplo rispetto alle 80 dello stesso periodo del 2018), con una prevalente incidenza del fenomeno nel settore agricolo (147 denunce). Numeri ancora bassi ma in crescita. Indicatori importanti, segnali di progressiva consapevolezza, di coraggio, di maggiore attenzione. L’accesso alla giustizia è difficile e continuano ad essere tanti i lavoratori migranti che non hanno fiducia nelle istituzioni competenti perché, ad esempio, i tempi di riconoscimento del danno subito sono lunghi, scoraggiano il lavoratore, che invece avrebbe bisogno di una risposta immediata alla sua ricerca di verità e giustizia, ed infine non si adattano alle esigenze di chi, anche dopo due mesi, ha già dovuto cambiare luogo di lavoro abbandonando l’interesse alle indagini ed all’azione promossa.
La grave situazione di emergenza che l’Italia sta attraversando in questi mesi a causa del Covid 19 ha posto sempre più in evidenza la fragile condizione dei lavoratori agricoli stranieri, facendo emergere quanto la loro sorte sia strettamente connessa a quella della produzione agricola italiana. Oggi il comparto agricolo si trova a fare in conti con la difficoltà di garantire la produzione per mancanza di lavoratori. Se da più parti si chiedono interventi come l’ingresso di lavoratori provenienti dall’estero, la collaborazione con Paesi dell’Unione o l’impiego dei titolari Reddito di cittadinanza, dall’altra si nega l’evidenza, ovvero i cd flussi interni, quell’emigrazione dei lavoratori agricoli stranieri all’interno del territorio nazionale. Persone che già si stanno muovendo seppure a rilento per via delle disposizioni stringenti prese in materia di Covid 19, ed ai quali non possiamo non riconoscere ruolo e diritti. Tutti abbiamo pari dignità sociale e tutti meritiamo di godere delle tutele che l’ordinamento giuridico attribuisce alla persona, anche quando svolge un’attività lavorativa. È necessario individuare azioni efficaci per rispondere ai bisogni dei lavoratori e dei territori, uniformare le modalità di intervento sempre troppo diverse e frammentate, estendere le buone pratiche, migliorare l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, favorire i flussi interni, individuare soluzioni alloggiative idonee e adatte alla presenza stagionale dei lavoratori, attuare i principi e gli obiettivi contenuti nel Piano Triennale contro lo sfruttamento ed il caporalato, approvato nel febbraio 2020, per migliorare le condizioni dei lavoratori agricoli e delle imprese agricole italiane, spesso costrette ad abbassare i prezzi dei prodotti venduti a causa della concorrenza della Grande Distribuzione Organizzata. È questo il fenomeno dell'asta elettronica al Doppio Ribasso, un processo che permette alla GDO di acquistare i prodotti alimentari a prezzi molto bassi. Doppio ribasso perché, dopo la prima asta ricognitiva, viene utilizzato il prezzo più basso per farne una successiva. Così facendo, il prezzo del prodotto è talmente basso che a pagarne le conseguenze sarà inevitabilmente l'anello più debole della catena, il lavoratore, al quale il produttore, spesso piccolo, chiederà un sacrificio che ha il sapore amaro di un ricatto, ed il suono greve della legittimazione di un atto immorale ed anche illegale. Lo scorso anno è stato approvato alla Camera un progetto di legge che fa divieto di utilizzare le aste elettroniche a doppio ribasso introducendo una multa. L’ iter legislativo però non si è ancora concluso e manca il voto al Senato che permetterebbe l’avvio di disposizioni chiare che impediscono questa ingiusta procedura.
In questi ultimi giorni il mondo dell’associazionismo e le parti sindacali chiedono a gran voce di regolarizzare la posizione giuridica delle migliaia di cittadini stranieri che vivono e lavorano in Italia privi di permesso di soggiorno. Molti di loro costituiscono proprio il bacino in cui la criminalità organizzata pesca per mantenere le attività in nero, alimentando il lavoro irregolare e producendo ancora schiavi e vittime di ingiusto sfruttamento.
Spesso sono persone in possesso di permessi di soggiorno temporanei o scaduti ma difficilmente rinnovabili. La precarietà del soggiorno regolare è stata una delle conseguenze degli ultimi provvedimenti governativi: i cd Decreti Sicurezza, che hanno aumentato l’irregolarità di migliaia di cittadini stranieri, spesso soggiornanti da anni sul territorio italiano ed hanno alimentato la crescita del numero di presenze irregolari sul territorio senza dare loro un’alternativa valida e dignitosa.
Questo momento di crisi sanitaria e sociale che stiamo vivendo tutti può diventare il tempo delle opportunità. È possibile ripensare alcuni sistemi che in questi anni si sono rivelati fallaci come nel settore agricolo. Sarebbe un passo importante per ricostruire una filiera produttiva di cui molto spesso noi consumatori siamo inconsapevoli vittime e carnefici come quando, di ritorno dalla nostra spesa quotidiana, crediamo che aver acquistato i pomodori a 99 centesimi sia stato un grande affare. Possiamo andare avanti, continuare a fare gli stessi errori o decidere invece che è arrivato il tempo di cambiare con coraggio e passione.

20-04-2020
Autore: Caterina Boca
Avvocato e consulente legale per l'Ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale di Caritas Italiana
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