Barbara Bonciani
Tutti ricorderanno la vicenda della nave da crociera americana Diamond Princess messa in quarantena lo scorso febbraio dal governo Giapponese.
Le notizie arrivate nelle nostre case hanno raccontato la storia di un rapido contagio a bordo nave, con 750 persone infettate. L’immagine della nave focoloaio bloccata nel porto di Yokohama ha tenuto con il fiato sospeso per una decina di giorni un gran numero di lettori e ascoltatori, nell’attesa di capire come la vicenda si sarebbe conclusa. Contemporaneamente, la notizia dei contagi a bordo nave ha segnato la fine del sogno crocieristico per molti potenziali turisti.
Pensare che doveva essere un anno d’oro a livello globale per il settore delle crociere. Le previsioni nel nostro paese prevedevano una crescita, per l’anno in corso, di oltre 6% e più di 13 milioni di passeggeri. Tuttavia, già nei primi mesi di marzo, a seguito dell’emergenza sanitaria, le prenotazioni dei viaggi su nave da crociera calavano già del 50% .
La crisi del settore turistico legato alle crociere è stata poi istituzionalizzata dalle disposizioni normative che sia a livello globale, sia nazionale si sono susseguite negli scorsi mesi, segnando lo stop del traffico passeggeri nei porti italiani e esteri.
Inutile ricordare l’importanza che il comparto crociere assume per l’Italia in termini di tenuta economica e sociale. Lo scenario attuale e futuro del comparto fa sorgere il timore di ricadute occupazionali rilevanti, considerando che nel nostro paese sono 120 mila le persone impiegate nel comparto, se si considera anche l’indotto, e che la presenza degli italiani fra i comandanti e gli ufficiali nella composizione degli equipaggi è rilevante.
Le restrizioni globali sul traffico passeggeri hanno provocato, nel corso degli scorsi mesi, lo sbarco dei turisti e il loro rientro a casa. Le poche navi da crociera ancora in navigazione, in cerca di un approdo sicuro appaiono oggi come grandi grattacieli vuoti, composti unicamente dal personale di bordo, vale a dire dalla forza lavoro che rende possibile il sogno turistico di chi vi viaggia, provvedendo al soddisfacimento di tutte le necessità a bordo nave. Un esercito di uomini e donne provenienti prevalentemente dai paesi in via di sviluppo (perlopiù India, Filippine, Russia e Ukraina) che può variare dalle 1000 a più di 2000 unità a seconda della categoria più o meno lussuosa del vettore. Si tratta di persone per cui, in alcuni casi il contratto di lavoro è ormai concluso, il cui unico desiderio è tornare a casa dalla propria famiglia in situazione di sicurezza. Un desiderio non così semplice da esaudire per tutta una serie di ragioni, fra cui le restrizioni globali in materia di trasporto che non rendono possibile il rientro dei marittimi nei propri paesi d’origine. A questo spesso si somma la paura dei familiari rimasti nei paesi di provenienza che vivono con paura il potenziale rientro dei propri congiunti marittimi a causa della probabilità di un possibile contagio. Ricordiamo che parliamo di paesi, come India e Filippine caratterizzati spesso da condizioni igenico sanitarie molto fragili.
In questo frangente, la preoccupazione provata dai marittimi per l’eventualità di un possibile contagio a bordo si somma alla sofferenza di non poter raggiungere, in tempi rapidi, i propri cari nei rispettivi paesi d’origine; l’insicurezza circa le tempistiche di rientro rendono ancora più difficile la vita a bordo.
Ad oggi, le navi da crociera ancora in mare con personale a bordo in sosta nei porti italiani e esteri sono 17 in totale. Risultano cinque invece le navi ancora in navigazione che potrebbero effettuare una sosta tecnica nei porti italiani per far sbarcare gli equipaggi. Si tratta di Costa Mediterranea, in navigazione nel Mediterraneo, Costa Fortuna, al momento in sosta al porto di Brindisi, Costa Deliziosa in transito a Lisbona, Costa Favolosa e Costa Magica, in questo momento nella rada di Freeport (Bahamas). Per alcune di queste navi sono stati riportati casi da contagio da Codiv-19 a bordo, per altre al momento non si segnalano invece criticità sanitarie. Accogliere queste navi nei porti Italiani è un obbligo morale, oltre che un gesto di solidarietà verso persone che soffrono la lontananza dalle proprie famiglie e vivono il terrore di un probabile contagio. Tuttavia, le problematiche da affrontare nei porti a sostegno dell’assistenza sanitaria dei marittimi contagiati e dello sbarco e rimpatrio di quelli non positivi sono molte e ci offrono uno spaccato di esistenza di lavoratori spesso invisibili all’opinione pubblica.
Per comprendere tali difficoltà è necessario parlare con chi giorno per giorno si trova ad affrontarle, vale a dire il Corpo delle capitanerie di porto e le associazioni di volontariato destinate all’accoglienza degli equipaggi, nel nostro Paese denominate Stella Maris – Apostolato del mare che operano all’interno dei comitati territoriali del Welfare di mare.
La storia che raccontiamo in questo articolo è quella relativa all’arrivo della nave Costa Diadema nel porto di Piombino, avvenuto il 30 marzo scorso. La nave, proveniente da Dubai fa ingresso nel porto toscano con 1255 membri di equipaggio, di cui 1100 stranieri e 155 italiani. Durante l’ultima navigazione nelle acque della rada di Limassol, si era reso necessario lo sbarco di due medici di bordo, poi identificati positivi al contagio Codiv-19. A seguito dell’arrivo nel porto di Piombino, l’Usmaf (uffici di sanità marittima), dopo aver verificato le condizioni igenico-sanitarie a bordo riferisce di cinque persone con necessità di sbarco con importanti sintomi alle vie respiratorie e tredici persone manifestanti sintomi riconducibili a contagio da Codiv-19.
A seguito di questi episodi, si da avvio ai test sierologici su tutti i membri dell’equipaggio e le persone positive vengono progressivamente poste in isolamento, mentre, in contemporanea il resto dell’equipaggio viene sbarcato.
I test effettuati verificano a bordo la presenza di 329 marittimi positivi su 1255. Tuttavia, mentre continuano le analisi con tampone a bordo nave, inizia l’odissea di chi cerca di tornare a casa, e le cose si complicano per i marittimi provenienti da paesi esteri.
A seguito dei divieti di viaggio, della chiusura delle frontiere e delle misure di quarantena, molti marittimi non sono in grado di viaggiare, né da e verso le navi, tanto meno di essere rimpatriati nei loro paesi d’origine. Rimpatrio, ricordiamo, che dovrebbe essere garantito sulla base delle Convenzioni ILO senza alcun costo per loro stessi, oltre che in condizioni di sicurezza. Nonostante il diritto dei marittimi di tornare a casa sia sacrosanto e debba essere garantito, assistiamo oggi a molte difficoltà a carico dei marittimi. La situazione di stallo che si viene a creare costituisce elemento di forte stress per questi lavoratori, sia sul piano economico, non avendo in molti casi più un contratto e un salario, sia sul piano psicologico dovuto al mancato ricongiungimento familiare.
Non è un caso che anche sulla nave Costa Diadema, una seconda tranche di marittimi filippini negativi ai test da Codiv-19 che dovevano essere trasportati a casa, non siano potuti partire a causa della non accettazione, da parte del loro Governo dei protocolli sanitari. Stesso destino per un gruppo di marittimi indonesiani che ancora non riescono a raggiungere le famiglie nel paese d’origine. A questi si somma un piccolo gruppo di marittimi russi che dopo essere già stati trasferiti all’aeroporto di Fiumicino per essere rimpatriati sono dovuti mestamente rientrare a bordo nave a causa del volo annullato, senza una schedulazione futura di rientro a casa.
E’ chiaro che se situazioni di questo tipo dovessero prolungarsi, la condizione di questi lavoratori del mare non può essere certo ignorata e si dovranno prendere provvedimenti strutturali. Si tratta di persone, in alcuni casi non più coperte da un contratto di lavoro e che quindi non beneficiano di un salario, senza una dimora, con necessità, non solo economiche ma anche psicologiche di rientrare a casa. Lo scorso marzo l’Associazione internazionale marittima cristiana ha scritto ufficialmente alle organizzazioni di Nazioni Unite competenti e ai Ministri dei trasporti dei governi nazionali per evidenziare il problema e chiedere ai singoli Stati di dare un aiuto a questi lavoratori, garantendo loro condizioni di dignità umana. In particolare si chiede che gli stessi possano disporre di misure adeguate per la protezione della loro salute a bordo nave, che abbiano accesso a cure rapide e adeguate sia a bordo, sia nei porti di sbarco. Nei casi di sbarco a terra dei marittimi, si chiede che gli equipaggi vengano accolti con dignità, offrendo loro tutti i servizi sociali necessari, oltre che facilitando le operazioni di rimpatrio. Sull’importanza di rispettare la dignità e il rispetto del lavoro marittimo si espresso recentemente anche l’ILO (organizzazione di Nazioni Unite per il lavoro). In termini generali, l’attuale emergenza da coronavirus ha avuto un impatto negativo sulla navigazione e in particolare sul comparto crociere .
Al di là delle situazioni più drammatiche, come il caso dello sbarco del personale di bordo presente su navi da crociera, in totale la crisi sanitaria in corso influenza il lavoro di quasi due milioni di marittimi attualmente imbarcati, sia su navi passeggeri, sia su vettori che trasportano merci.
Per coloro che ancora a bordo di navi da crociera, ormai semivuote, cercano un approdo nei porti italiani per ricevere cure, nella speranza di tornare presto a casa, non resta che favorire un sistema di accoglienza adeguato, con solidarietà e impegno, nel pieno rispetto della dignità di questi lavoratori. Per far questo si dovrà dare supporto ai sistemi di welfare presenti nei porti, oltre che fornire a questi lavoratori un adeguato supporto sanitario, materiale e morale, facilitando anche il loro rientro in famiglia nei rispettivi paesi d’origine.