di Alessandro Mauriello

Sempre più si sta diffondendo interesse nella sfera pubblica attorno a  temi inerenti la sostenibilità sociale, economica, e ambientale, inglobati nel concetto di responsabilità sociale di impresa ecc.

 Ma anche attraverso la “buona battaglia” culturale dell’Economia civile, intrapresa dagli economisti Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti, e Luigino Bruni, in armonia con i contenuti di Agenda 2030 dell’Onu, di Asvis Alleanza per lo sviluppo sostenibile, presieduta dal Pierluigi Stefanini.

Un pensiero economico che parte dal pioniere Antonio Genovesi, filosofo ed economista napoletano della seconda metà del settecento.

Parleremo di questo percorso con il saggista e ricercatore sociale Giovanni Vita, autore di molteplici studi su cooperazione, innovazione sociale, comunità, tra questi l’ultimo “Resilire per trasformare del covid 19 e di altre condizioni difficili”, Edizioni Ecra.

Nel suo bel saggio prefatto dal prof. Becchetti lei parla di resilienza trasformativa. Può esplicare tale concetto?

La pandemia ha richiamato alla nostra attenzione l’imponderabilità della condizione umana, la precarietà della vita e l’impossibilità di prevedere con esattezza il verificarsi di eventi futuri. La programmazione e i modelli di previsione sono strumenti che spesso si rivelano insufficienti alla nostra evoluzione, o al contenimento dei rischi, finendo per diventare volani di un approccio emergenziale di amministrazione degli imprevisti. Sono dunque – più che mai in ambiti e sistemi sempre più complessi – una risposta parziale a domande che ancora non conosciamo, perché si fondano, o concentrano, sulla nostra paura verso l’ignoto e l’illusione del controllo. Sentimenti e percezioni caratteristici di una visione del mondo antropocentrica, in cui l’uomo si assume il potere come dominio su ciò che lo riguarda e lo circonda: la Terra, il tempo, la relazione con l’altro. Ma la misura dell’ignoto è anche nella nostra capacità di assumere l’inesorabile come fattore trasformativo, in una visione d’insieme che esprime il legame tra la sfera individuale e la dimensione comunitaria, e che postula l’urgenza di una speranza che è anche un senso comune ritrovato. In altri termini, è necessario riconoscere i limiti delle nostre capacità predittive e allenarci anche a fronteggiare, per quanto possibile, eventi inattesi, in modo da ‘trasformare’ la condizione precedente in una nuova condizione, luogo e dimora di un nuovo senso. Ecco, la resilienza trasformativa è un tipo di resilienza che – dinanzi al verificarsi di un evento inatteso – ‘ci suggerisce’ di guardare al presente e al futuro cercando di trasformare le strutture e gli schemi preesistenti per affermare una nuova ‘normalità’. Un esempio di quanto accaduto nel corso della pandemia con lo smart working e la didattica a distanza. Hanno portato disagi ma hanno anche stimolato formazione, empowerment e innovazione, permettendo intanto che, pur tra difficoltà, molte attività continuassero. È l’espressione di un potere come possibilità, un modo di predisporsi anche interiormente acché le cose cambino e almeno per alcuni aspetti migliorino. Una prospettiva biocentrica che riporta al centro il valore insostituibile della vita.

Come si connette con la generatività e sostenibilità?

Trasformare non è sempre sinonimo di migliorare. È necessario che le intenzioni, le azioni e le iniziative trasformative traggano ispirazione e siano la miglior espressione possibile di riflessioni, sentimenti, pratiche e obiettivi capaci di difendere e promuovere il valore intrinseco della vita. Perché è dalla salvaguardia e dalla valorizzazione della dignità della vita, dall’abitare la vita, che scaturiscono trasformazioni e impulsi orientati al progresso civile, culturale e sociale delle comunità, a partire dal riconoscimento dei fondamenti (in questo tempo priorità o urgenze) che la vita stessa ci sollecita: le persone, le relazioni, l’ecosistema. Come si traduce tutto ciò nelle politiche e negli interventi trasformativi? Oggi più che mai nel favorire la partecipazione delle persone e delle comunità a concreti processi di riduzione delle disuguaglianze sociali, e di promozione di un benessere diffuso e in armonia con le risorse del Pianeta. È in questo senso che abbiamo rilevato le iniziative del Credito Cooperativo nel corso della prima ondata pandemica, osservandole nel loro contributo alla promozione di resilienza comunitaria, e collegando lo stesso contributo agli indicatori del ben-vivere civile e agli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Lei nella sua ricerca riflette sul ruolo del Credito Cooperativo, e sul ruolo della pandemia. Ci dia prospettiva di questa riflessione.

Partiamo dalla pandemia, un evento sistemico che ha inciso profondamente sulle nostre libertà personali, sulle relazioni sociali e nel rapporto che ciascuno di noi ha con gli spazi, i luoghi e l’abitare il Pianeta. Una minaccia per la salute e la vita, e una ferita indelebile per le comunità di tutto il mondo. Credo sia necessario andare alla radice di questa condizione umana per comprendere, sia come singoli che come collettivo, quali desideri di senso vogliamo vivere ed esprimere in rapporto a identità, lavoro, relazioni e ambiente. Porsi queste domande significa iniziare ad attribuire alla pandemia il ruolo di punto di discontinuità rispetto al passato, sul quale innestare processi e pratiche trasformative, generative e sostenibili a matrice comunitaria e mutualistica. Da qui la congiunzione con l’esperienza del Credito Cooperativo, nato dall’azione di innovatori sociali dell’Ottocento che – minacciati da carestie, usura e disuguaglianze sociali – hanno trovato nel mutualismo, nella cooperazione e nella solidarietà sociale, lo snodo trasformativo per rispondere ai desideri di cura, giustizia sociale e dignità delle classi povere del tempo. Un mutualismo, una cooperazione e una solidarietà sociale ancora oggi presente nella cooperazione di credito, che dinanzi alla pandemia ha confermato ai territori la propria vicinanza e il proprio sostegno. Esperienze come quella del Credito Cooperativo sono un esempio di resilienza trasformativa e un presidio di mutualità e cooperazione importanti per le comunità, oggi chiamate a una transizione delle infrastrutture sociali verso ecosistemi di cura, inclusivi, partecipativi e generativi. Una sfida che si ‘gioca’ inesorabilmente su tre fronti: il capitale culturale, sociale e relazionale, il digitale e l’ambiente.

L’economia civile è in grado di trasformare lo sviluppo economico in sviluppo sostenibile?

L’economia civile è una prospettiva culturale che postula uno sviluppo integrale della persona, un benessere che contempli identità, relazioni, lavoro e partecipazione alla costruzione di felicità pubblica e benessere collettivo. Promuove l’affermazione di un mercato in cui le relazioni sociali siano costitutive delle relazioni economiche ed entrambe le relazioni, sociali ed economiche, siano orientate al bene comune e al sostegno reciproco. Una visione in evidente contrapposizione alle idee capitalistiche incentrate alla massimizzazione del profitto e alla ricerca di una felicità privata individualistica piuttosto intesa come tornaconto personale. Il paradigma dell’economia civile, dunque, non solo accelera ma integra lo sviluppo sostenibile riconoscendo a fondamento delle relazioni umane l’esistenza di una gratuità capace di generare fiducia e capitale sociale relazionale. Una prospettiva che ci invita ad essere generativi ovvero, parafrasando Becchetti, a contribuire positivamente alla vita degli altri attraverso l’agency, l’azione che genera trasformazione generando senso. Un’azione trasformativa che riguarda le comunità e i singoli, ciascuno nella misura e nella dimensione del suo operato. Una resilienza generativa e sostenibile, utile per trasformare il comune sentire che deriva dalla comune ferita della pandemia in un significato comune; premiare la capacità di scalare dei processi di sussidiarietà circolare e innovazione sociale, e sostenere l’approccio collaborativo win win che risponde a un desiderio di felicità privata nella felicità pubblica, e nella migliore delle ipotesi a un desiderio di biodiversità e insieme senso comune.

13-02-2022
Autore: Alessandro Mauriello
Associazione Koine’
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