Gianpiero Ruggiero 

 Per fare il punto sullo stato dell’arte del sistema ricerca e innovazione in Italia, non si può che partire dando uno sguardo d’insieme a 3 documenti programmatici del Governo: Il Programma Nazionale per la Ricerca 2021-2027; la legge di Bilancio 2020; il Piano di ripartenza (PNRR).

Cosa ci dicono in sintesi questi tre documenti?

Mi limito a delle brevi riflessioni su alcuni ambiti: governance, risorse, rete soggetti.

La governance – L’aver istituito presso il CIPESS la “Commissione per la ricerca”, con un rappresentate fiduciario di ogni ministero, lo considero uno strumento di coordinamento importante per l’attuazione delle politiche multilivello. Non dimentichiamo che il settore pubblico della ricerca soffre di una eccessiva frammentazione (si tratta di 14 enti vigilati dal MUR e di 6 enti vigilati da altri Ministeri). Questo non aiuta a far crescere il sistema nel suo complesso.

Il finanziamento – L’ultima legge di bilancio ha istituito 4 nuovi Fondi per la ricerca e l’innovazione, a cui vanno a sommarsi le risorse previste dal PNRR. Non siamo ancora al “Piano Amaldi”, l’appello lanciato al premier da autorevoli scienziati, che prevede di finanziare il settore con 15 mld nei prossimi 5 anni (investire l’1% del PIL in ricerca fino al 2026). Tuttavia c’è una positiva iniezione di risorse, che di fatto inverte la tendenza dei tagli osservata nell’ultimo decennio.

Open innovation – In Italia sta crescendo l’ecosistema delle scaleup (le ex startup passate a uno stadio successivo di crescita). Abbiamo ancora un gap da colmare rispetto a Spagna, Francia e Germania, ma il nostro ecosistema si sta allargando. N’è una riprova l’andamento del segmento Star di Borsa Italiana, dedicato alle società quotate di piccola e media dimensione, da 40 milioni fino a un miliardo di capitalizzazione di ammissione. Nel corso del tempo lo Star, che quest’anno festeggia il suo ventennale, è diventato una sorta di vetrina delle imprese italiane più innovative e brillanti, con un indice di listino che ha fatto registrare un +632% dal 2003 a oggi. È una tendenza, positiva, che va rafforzata. Per questo le nostre aziende devono guardare sempre di più all’estero per fare scouting di innovazione.

Ci vuole anche un’offerta di servizi di innovazione all’altezza di quella dei Paesi citati (modello del Fraunhofer tedesco). Un passaggio che richiede la razionalizzazione delle strutture che oggi si occupano di trasferimento tecnologico: troppe e non sempre coordinate tra loro; circostanza che causa disorientamento tra le imprese.

Detto questo, c’è un’assenza importante nei 3 documenti esaminati: non viene mai citata l’Agenzia Nazionale per la Ricerca (istituita dalla L. 160/2019), che non ha ancora visto la luce. Sembra sparita dai radar, tant’è che se ne sono perse le tracce. L’Agenzia doveva servire a promuovere e finanziare progetti di ricerca altamente strategici, favorire l’internazionalizzazione delle attività di ricerca, definire un piano di semplificazione delle procedure amministrative e contabili relative ai progetti di ricerca, snellire gli iter burocratici, favorire la mobilità dei ricercatori, e da ultimo doveva servire ad aumentare la trasparenza nella distribuzione delle risorse.

Tutto quello che servirebbe oggi a rendere il nostro sistema di ricerca e innovazione più attrattivo e a valorizzare i giovani talenti presenti sul territorio. Permangono perciò alcuni “nodi critici” su cui occorre intervenire. Secondo l’Innovation Scoreboard 2020, siamo un Paese “Innovatore moderato”.

Ciò nonostante assistiamo a un paradosso: la qualità della ricerca italiana è elevatissima e siamo quelli con più citazioni tra gli autori di pubblicazioni scientifiche. Possiamo affermare che l’Italia ha quindi una posizione importante nella ricerca scientifica mondiale, ma un grave ritardo nel trasferimento tecnologico alle imprese. Con il PNRR abbiamo da essere fiduciosi, perché ci sono tutti i presupposti per intervenire su alcuni nodi critici.

Il Piano di ripartenza sta entrando nel vivo, con le prime iniziative ai nastri di partenza. La settimana scorsa si è riunita la Cabina di regia con il Premier e sono state esaminate le linee guida per l’istruzione e la ricerca. Mi riferisco alla Missione 4, componente 2, del PNRR, quella che sia chiama “Dalla ricerca all’impresa”, con i primi interventi per circa 5 mld, su un totale di 9mld di competenza del MUR. Questi primi investimenti riguardano:

  • I partenariati estesi alle Università, enti di ricerca e imprese, per il finanziamento di progetti di ricerca fondamentale: si prevedono almeno 10 partenariati per favorire la transizione digitale e ambientale.
  • Il rafforzamento delle strutture di ricerca, che dovrebbero portare alla creazione di 5 centri nazionali, definiti “Campioni nazionali” su alcune tecnologie abilitanti
  • La creazione e il rafforzamento di 12 ecosistemi dell’innovazione
  • Fino a 30 infrastrutture di ricerca e innovazione tecnologica.

Vedremo come si svilupperà nei prossimi mesi l’attuazione di queste iniziative. Si può certamente affermare che lo schema del PNRR per l’innovazione e la ricerca è pienamente condivisibile e induce a essere ottimisti.

C’è da essere ottimisti anche sul fronte della diplomazia scientifica.

Abbiamo una rete di 45 addetti scientifici dislocati in varie sedi diplomatiche del mondo. Una rete che svolge un ruolo importante per il potenziamento della cooperazione scientifica e tecnologica bilaterale e multilaterale.

Il nostro Paese è dentro i più importanti progetti di ricerca internazionali:

  • siamo presenti nella diplomazia spaziale, con l’osservazione della terra;
  • siamo presenti sull’Himalaya da più di 25 anni, con studi sulla meteorologia e conservazione dell’ambiente;
  • siamo presenti nella costruzione del più grande telescopio al mondo;
  • Trieste è sede di una grande centro di ricerca internazionale sui fasci di luce per studiare la materia oscura;
  • Fabiola Giannotti dirige il più importante centro di ricerca europeo, il CERN, dove oggi lavorano più di 10mila scienziati di tutto il mondo.

Il Nobel a Giorgio Parisi dà lustro a una tradizione italiana nel campo della fisica.

Nei giorni scorsi si è svolta a Sorrento la prima edizione dell’Innovation League, un evento dedicato alle startup innovative, organizzato dal Ministero degli Affari Esteri nel quadro della Presidenza italiana del G20. Nell’ambito del G20 Innovation League, il ministro Di Maio ha annunciato che verrà inaugurato a San Francisco il primo Polo Culturale dell’Innovazione italiano, volto a sostenere le aziende italiane che voglio internazionalizzarsi e aumentare le proprie opportunità all’estero.

Anche nella lotta alla pandemia, quindi nella ricerca medica, l’Italia ha svolto e svolge un ruolo importate. La pandemia è stata una tragedia, che però ha prodotto un’accelerazione formidabile dei processi innovativi, come la digitalizzazione e, in generale, una maggiore consapevolezza del ruolo fondamentale della scienza.

La corsa ai vaccini per salvare il mondo va letta insieme ad altri due importanti accadimenti più recenti: l’approvazione del programma Next Generation EU e l’approvazione della proposta OCSE di una global tax sui colossi del web. Questi avvenimenti mostrano come sia migliorato il clima di multilateralismo e testimoniano un salto di qualità nei rapporti solidaristici tra gli Stati.

Occorre che l’Italia continui a essere promotore di questo cambiamento e sappia farsi trovare pronta e reattiva a gestire le sfide sociali, ambientali e tecnologiche del futuro, perché le sfide globali più complesse dei prossimi anni richiedono un impegno mondiale.

Tutto questo ci dice quanto sia importante avere una stretta alleanza tra scienza e diplomazia e confermano quanto la diplomazia scientifica e la diplomazia economica siano i veri pilastri di una moderna politica estera.

Alleanza che ha radici nel passato ma che è anche proiettata al futuro.

Giova ricordare, infatti, che l’articolo 9 della Costituzione recita che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”.

Al momento di scrivere la Costituzione, alcuni padri costituenti mostrarono ritrosia a inserire questo articolo in Costituzione, perché esprimeva un concetto evidente e pacifico, che avrebbe solo appesantito inutilmente la carta fondamentale. Fu grazie alla determinazione di Aldo Moro e di Concetto Marchesi se la norma fu inserita addirittura tra i principi fondamentali, perché erano convinti che le manifestazioni del genio artistico e le teorie scientifiche potessero essere oggetto di censura e come tali dovevano essere tutelate (ai tempi della dittatura fascista infatti c’era stata una stretta repressiva su arte e cultura).

Bisognava poi far uscire dall’analfabetismo almeno 6 milioni di cittadini, all’indomani di ben due conflitti mondiali. Investire in cultura e progresso è stato giustamente considerato lo strumento migliore di emancipazione.

Oggi quell’articolo colpisce per la sua modernità, visto il fiorire di teorie anti-scientifiche, e visto che dobbiamo far fronte a un altro tipo di analfabetismo, quello digitale, che rischia di porre ai margini milioni di cittadini. Viene ripetuto spesso che i nuovi poveri del futuro saranno le persone prive di competenze digitali.

Dell’articolo 9 è importante sottolineare anche il riferimento alla “Repubblica”, inteso come volontà di coinvolgere non solo i pubblici poteri, ma l’intera collettività nella promozione e nello sviluppo del settore. Un significato profondo che evoca il concetto di impegno attivo di tutti i soggetti coinvolti. L’articolo 9 va poi letto insieme all’articolo 33 che garantisce che cultura e scienza siano libere dall’ingerenza dei poteri pubblici.

Solo dal combinato disposto dei due articoli, il progresso potrà garantire lo sviluppo integrale della persona, quindi dell’intera società orientata al benessere collettivo.

Se le relazioni internazionali non possono fare a meno della scienza, è vero anche il contrario: le maggiori scoperte e le pubblicazioni di fama mondiale sono quelle guidate dall’incorporazione di competenze e tecnologie l’una nell’altra; sono il risultato della mobilità dei ricercatori, della loro interazione, della formazione che essi acquisiscono in Paesi diversi da quelli di origine.

In un sistema di risorse scarse, diventa anche decisivo stabilire priorità strategiche e portafogli ottimali di investimenti in tecnologia. L’innovazione che studia l’innovazione ci dice che ci sono due domini in cui le tecnologie cambieranno più velocemente nei prossimi anni:

  • l’intelligenza artificiale
  • l’ingegneria del genoma umano.

Questi due domini sono anche quelli in cui sono più forti i legami interdisciplinari e dove le tecnologie hanno un’ampia interazione l’una con l’altra.

Ecco spiegato il motivo per il quale nei gruppi di ricerca, specialmente in quelli internazionali di successo, la multidisciplinarietà è un fattore chiave fortemente perseguito e sostenuto.

Ecco perché ci vuole un impegno continuo per l’ampliamento e la diffusione delle conoscenze. Ecco perché dobbiamo continuare a sostenere la promozione della cooperazione internazionale in campo scientifico e tecnologico, non solo come strumento di pace e di dialogo, ma anche di sviluppo sociale e di crescita sostenibile dell’economia.

Ecco perché sta a noi utilizzare le disponibilità del Piano di ripartenza per dare maggior forza all’alta cultura, alle università, alla ricerca e alla scienza, e renderle ancor più risorse essenziali per lo sviluppo armonico del Paese.

21-10-2021
Autore: Gianpiero Ruggiero
Esperto del CNR in valutazione e processi di innovazione
meridianoitalia.tv