di Paolo Balduzzi

Il 2021 ha segnato per molti, specialmente per i nati tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso, un vero e proprio atterraggio nel futuro sognato e immaginato. Il turismo spaziale, l’immagine che molti di noi da giovani avevano del ventunesimo secolo, è diventato realtà.

Purtroppo, non è solo questo futuro epico e spettacolare quello che si è materializzato. Anche molti degli incubi paventati nella seconda metà del ‘900, ma che mai avremmo davvero pensato si potessero realizzare, si sono verificati. La pandemia, per esempio, che ci ha colti totalmente impreparati. E un altro incubo di cui, però, non possiamo dichiararci sorpresi: il nostro pianeta si sta riscaldando a un ritmo mai visto prima.

 E, quel che è peggio, per la maggior parte degli esperti ciò è correlato all’azione umana. Impossibile quindi, sorprenderci. Anzi, farlo sarebbe una vera e propria ammissione di colpa, visto che sono decenni che se ne parla. E se ne riparlerà proprio a breve: in questi giorni a Milano, con la manifestazione “Youth4Climate: Driving Ambition” che vedrà la partecipazione anche di Greta Thunberg, e, di seguito, la riunione dei ministri dell'Ambiente europei; infine alla Cop26, il summit mondiale sui cambiamenti climatici che si terrà a Glasgow dall'1 al 12 novembre. Certo, gli scettici non mancano: ma non si tratta in questo caso (solo) dei soliti negazionisti. Il dibattito scientifico sul riscaldamento globale è molto acceso tra gli stessi addetti ai lavori. Ma le evidenze a favore dei pessimisti sono sempre di più. Hanno fatto molto rumore la scorsa estate sia il primo monitoraggio degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia, a cura del Sistema nazionale protezione ambiente (Snpa), sia, più recentemente, l’anticipazione del VI rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), organismo delle Nazioni unite che comprende ben 195 paesi e che da anni si occupa della materia. Ovviamente, oltre a un problema scientifico questo è anche e soprattutto un problema politico. Perché è del tutto possibile che, anche quando si riconosca la validità degli argomenti sul riscaldamento globale, si decida nonostante tutto di non fare nulla. E ciò non solo per motivi elettorali. Che sono importanti, sia chiaro: si smontano riforme pensionistiche senza pensare alle conseguenze sui giovani lavoratori, si rinuncia a investire in istruzione e formazione; figuriamoci l’interesse elettorale ad affrontare temi climatici, argomento certamente non alla portata di tutti. Ma non è solo questo. Il dibattito politico, anche quello più elevato, ruota principalmente intorno a quello che gli economisti chiamano tasso di sconto, che definisce quanto viene valutato il benessere delle generazioni future rispetto a quelle attuali. Non si tratta di una questione banale: già è difficile confrontare il benessere delle generazioni correnti (uomini contro donne, giovani contro anziani, cittadini contro migranti), a maggior ragione quello di chi ancora non è nato, visto che non si conoscono le condizioni economiche, tecnologiche e, vale la pena di aggiungere, sanitarie, del mondo in cui vivrà. L’economia può provare a valutare i costi del riscaldamento globale ma la decisione sul tasso di sconto è squisitamente politica. Limitiamoci quindi alla prima questione: cosa significa che la terra si sta riscaldando e che impatto avrà ciò dal punto di vista economico? Le anticipazioni sull’ultimo rapporto dell’Ipcc, che sarà completato solo nel 2022, insistono molto sull’aumento delle temperature, sulla riduzione dei ghiacciai, sul riscaldamento delle acque marine e sul loro innalzamento. Un fenomeno, quest’ultimo, che riguarda anche tutta l’Europa, tranne l’area baltica, e in particolare proprio il nostro mar Mediterraneo. Una tendenza dichiarata ormai irreversibile, e che, al massimo, potrà solo essere tenuta sotto controllo, variando all’interno di uno scenario eufemisticamente definito ottimistico, ma comunque grave, e di uno tragicamente pessimistico. Il riscaldamento delle acque marine avrà forti conseguenze sulla biologia della popolazione marina e, commercialmente, sulle potenzialità della filiera alimentare ittica. Il cambiamento delle temperature, marine e terrestri, porterà a cambiamenti climatici: aree sempre più aride, a partire dal nostro paese, con pesanti conseguenze sull’agricoltura e sulla diffusione di incendi. Oppure, in altre aree, intense piogge e sempre più frequenti inondazioni. L’innalzamento delle acque, nell’ordine dei 20 centimetri negli ultimi 170 anni (ma con un tasso di crescita raddoppiato proprio negli ultimi 20), fa intravedere la possibilità di litorali completamente ridisegnati: spiagge mangiate dall’acqua, scogliere erose, porti – e addirittura aeroporti! - da ricostruire. Per rendere l’idea con dei numeri, l’Ipcc prevede che entro il 2100 il mare potrebbe aumentare il suo livello da 50 centimetri fino addirittura a un metro; e la percentuale di popolazione italiana che vive in comuni costieri, secondo l’Istat, è del 30%. Ma lasciando perdere le cifre, per colpire l’immaginario collettivo con una sola parola basta dire “Venezia”. Che, peraltro, oltre a combattere con le acque deve fare i conti con un lento ma inesorabile sprofondamento. Quante Venezia ci sono nel mondo? New York e Amsterdam sono i primi esempi che vengono in mente. Siamo pronti a tutto questo? Crediamo di esserlo, forse: si organizzano congressi scientifici, tavole rotonde, eventi mediatici. Si vincono Oscar e Nobel, come Al Gore, si diventa influencer mondiale generazionale, come Greta Thunberg. Tutte cose positive. Ma poi, un po’ per scaramanzia, un po’ per scetticismo sugli scenari catastrofici paventati, finiamo per dimenticarcene. Noi stessi e, ancor più gravemente, chi governa il mondo.  Il futuro che abbiamo sognato è arrivato. Starà a noi far ricordare il ventunesimo secolo come quello della conquista dello spazio. E come quello della riconquista del nostro pianeta.

28-09-2021
Autore: Paolo Balduzzi
Docente di Economia pubblica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
meridianoitalia.tv

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