di Alessandro Mauriello

ALESSANDRO MAURIELLO INTERVISTA IL PROF. LEONELLO TRONTI ECONOMISTA, PRESSO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMATRE SITUAZIONE ECONOMICA E RIPARTENZA EUROPEA

L’efficacia del Piano europeo di Ripartenza contro la pandemia da covid 19 , messo in campo dall’Ue e dalla Commissione detto “Next Generation Ue”, sarà subordinato al successo dei Pnrr degli stati nazionali presentati, in particolare dal nostro, per dimensione economica, per la posizione di paese fondatore (in qualche modo i simboli contano anche nella scienza triste), come ben sottolinea il prof. Sergio Fabbrini dell’ Università Luiss di Roma, sulle pagine del Sole 24 ore:

“E quindi necessario che il governo draghi, raggiunga gli obiettivi di questo ultimo, rispettando le scadenze concordate con La Commissione europea. Tale esercizio di capacità governativa, tuttavia dovrebbe essere accompagnata da una strategia di riforma dell’UE. Il governo Draghi è determinato sulla prima ma non sulla seconda. Non vi è una posizione italiana, nella Conferenza in corso sul futuro dell’UE”

Considerazioni lucide sull’integrazione, e sulle politiche comunitarie, che però devono essere accompagnate da analisi comparative sullo stato dell’arte delle economie europee che devono ripartire sui vari dossier, sui vari ritardi del sistema paese.

Lo faremo con il prof. Leonello Tronti, economista dell’Università degli studi di RomaTre, Dipartimento di Economia.

Come giudica la situazione macroeconomica italiana ed europea, alla luce degli scenari post pandemici?

Anzitutto, se guardiamo allo scenario mondiale, dobbiamo riconoscere che si riscontra un deficit di coordinamento delle politiche di sviluppo globale, addirittura da quando sono saltati gli accordi di Bretton Woods (1971). E infatti da allora si sono succedute una serie di crisi di livello internazionale (shock di prezzo del petrolio e delle materie prime, crisi valutarie, crisi finanziarie, crisi commerciali) che in un diverso contesto di regolazione avrebbero potuto essere del tutto evitate.

Da allora abbiamo avuto diversi accordi di sviluppo (commerciali, sul clima, sul settore finanziario ecc.) promossi nell’ambito dei G20 e delle varie Agenzie globali, ma mai una politica coerente di sviluppo dell’intero pianeta.

Questa situazione di mancato governo fa guardare con incertezza alla possibilità di trovare un nuovo e stabile equilibrio tra i giganti economici, Usa, Cina ed Ue, che regoli in modo condiviso l’uscita dalla crisi

pandemica e coordini gli sforzi verso il raggiungimento di traguardi globali. E così anche per misure che riducano lo spaventoso aumento delle disuguaglianze economiche che si è creato con la globalizzazione.

Oggi assistiamo al manifestarsi di segni di ripresa da parte della Cina e a massicci investimenti da parte dell’Amministrazione Biden che intendono stimolare l’economia americana con la messa in campo di risorse molto più ingenti rispetto a quelle mobilitate dall’Unione Europea e anche, in proporzione, a quelle dello stesso Recovery Plan italiano.

Si osservano poi altri elementi di criticità della programmazione Ue, che possono tutti risalire a procedure burocratiche e poco democratiche di valutazione dei processi, aggiustamento degli obiettivi,

 

apprendimento e correzione degli errori. Il malfunzionamento di queste procedure ad alta valenza politica può mettere a repentaglio la capacità progettuale di ogni singolo paese e poi anche quella di curare lo stato di avanzamento dei lavori finanziati con le risorse comunitarie, con il rischio che la valutazione delle istituzioni europee demandate al monitoraggio dei vari Piani nazionali di ripresa sia negativa al punto di bloccare o addirittura cancellare l’assegnazione delle risorse disponibili. Per l’Italia, che vive da gran tempo una vera e propria crisi degli investimenti, sarebbe una vera iattura.

Un elemento positivo di questa fase sperabilmente post-pandemica è però che l’emergenza della ripresa ha fatto sospendere le regole del Trattato di Maastricht, del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact, che hanno caratterizzato la fase di istituzione e avvio dell’euro con un’eccessiva attenzione alla stabilità della moneta, alla solidità dei bilanci pubblici e al rafforzamento del potere dei mercati, fino al punto di stabilire una saldatura, certamente sfavorevole in modo particolare per l’Italia ma in realtà per l’intera Europa, tra la crescita mercantilista, basata sulle esportazioni, e la masochistica illusione dell’austerità espansiva.

I risultati dei primi vent’anni di euro sono stati notevolmente inferiori alle attese, tanto che è opportuno nutrire una viva speranza che i fondamenti culturali di questa strategia monetarista e mercatista tramontino presto e definitivamente nelle élite e nelle cancellerie europee. Ma non bisogna farsi troppe illusioni: si tratta di una speranza molto tenue, che per avverarsi concretamente richiederà un ripensamento profondo delle stesse istituzioni che governano la politica economica europea e la battaglia politica necessaria ad assicurare il risultato.

Come giudica l’azione del governo in carica, in termini di pianificazone e programmazione del Pnrr ?

Il piano nazionale di ripresa e resilienza è promettente, ma non ambizioso. La ripresa degli Stati Uniti dopo la crisi del ’29 dimostra che credere che l’economia muova da sola la società è molto rischioso.

Roosevelt comprese bene che era prima necessario ricostruire una cultura, una visione della nazione e una speranza, che non potevano che essere affidate all’intervento pubblico. Era poi necessario far seguire alle idee e alle speranze corposi interventi nella sfera sociale che dimostrassero a tutti, e specialmente agli ultimi, che il Paese era con loro.

E questo comportò l’emanazione di una serie di norme che sostenevano il lavoro e gli strati sociali più deboli e ripartivano le risorse in modo più equo.

L’intervento più squisitamente economico venne dopo: l’economia venne dopo la cultura e dopo la società.

Purtroppo all’Europa, e così all’Italia in Europa, mancano ancora questa convinzione e questa narrazione, questa cultura di speranza, di integrazione e di apertura al futuro. A questo proposito la vicenda greca è

stata devastante. E ancor più manca l’attenzione alla costruzione della comunità sociale europea, quasi che l’UE condividesse con la Thatcher la sfiducia nell’esistenza della società.

Vi è certo un’attenzione nuova allo sviluppo e alla solidarietà tra i Paesi membri. Ma diffidenze e rivalità sono ancora fortissime. Basti pensare alle resistenze all’emissione degli eurobond o alle difficoltà di varare una politica davvero unitaria e comune nella gestione dei migranti.

In ogni caso, seppure in mancanza dei necessari presupposti culturali e sociali, le misure varate dal Next Generation EU sono elementi di cornice europea che, insieme all’azione della BCE, creano un contesto favorevole agli investimenti pubblici e privati che dovrebbero far ripartire il Paese, almeno verso le mete

 

della digitalizzazione e della sostenibilità ambientale, con stime molto ottimistiche sulla crescita da parte del governo, che punta al recupero dei ritardi in atto sin dal 1995 – e più pesanti dal 2008 – in termini di crescita e occupazione.

Il declino economico italiano si può sintetizzare in un’evidenza empirica, che possiamo definire “legge del meno uno”: dal 1995 il Paese cresce ogni anno un punto in meno dell’Eurozona, con un ritardo cumulato di ormai più di 30 punti di Pil. Finalmente le previsioni del governo mostrano che si è iniziato a comprendere che per lo sviluppo economico e la crescita dell’occupazione non possiamo affidarci soltanto alla domanda estera e al commercio mondiale, ma dobbiamo riprendere a investire sulla domanda interna, sui consumi e sugli investimenti interni.

Il Pnrr è un buon piano per ripartire?

Come detto, il piano è un elemento positivo della strategia di ripartenza dopo la crisi pandemica; ma per avere davvero successo dovrà essere accompagnato da una campagna culturale che rinnovi la visione collettiva dell’Italia (e dell’Europa) di domani e da un nuovo Patto Sociale con i corpi intermedi che, per esercitare davvero un impatto durevole, dovrà fondarsi:

su di un approccio ai risultati, alla correzione degli errori, all’apprendimento e al miglioramento continuo, nelle imprese così come nei corpi intermedi e nelle istituzioni pubbliche e private; sull’utilizzo di tutte le leve in mano alla bilateralità (formazione, protezione sociale, fisco e previdenza pubblica e integrativa,

ammortizzatori sociali, welfare aziendale…) così come della contrattazione collettiva, ai fini della concertazione dello sviluppo culturale, sociale ed economico; su nuove pratiche di concertazione sociale dello sviluppo territoriale che delineino obiettivi, risorse e strumenti insieme a istituzioni locali, università e centri di ricerca, banche e finanza e terzo settore.

Un elemento molto importante di questo nuovo metodo di lavoro è la funzionalità della Pubblica amministrazione nella sua capacità di valorizzare il proprio capitale umano, e di promuovere lo sviluppo delle competenze necessarie a progettare e realizzare lo sviluppo del Paese.

L’amministrazione italiana sconta un grave deficit di competenze, legato a vent’anni di blocco del turnover e, di conseguenza, a un grave invecchiamento di dirigenti e dipendenti pubblici, con la conseguenza di

una rilevante sottodotazione di personale con istruzione di livello postuniversitario e aggiornate capacità tecnico-professionali.

Il governo, con il Patto per l’innovazione siglato con i sindacati del pubblico impiego, sta avviando una ripresa dell’occupazione pubblica che appare tuttavia profondamente insufficiente se raffrontata agli altri

grandi paesi europei.

Il Paese ha bisogno di una mano pubblica non solo efficiente e poco costosa, ma soprattutto capace di attuare efficaci politiche industriali, di favorire tra le numerosissime piccole e piccolissime imprese la diffusione di consorzi, gruppi e contratti di rete, formando con le necessarie competenze non solo i lavoratori ma anche – se non soprattutto – i manager e gli imprenditori.

Dunque, l’obiettivo forse centrale per assicurare che l’uscita dalla pandemia porti all’Italia una nuova fase di sviluppo intenso e sostenibile è una pubblica amministrazione quantitativamente consistente e qualitativamente agguerrita, capace di indirizzare non solo il livello quantitativo dello sviluppo economico,

 

ma anche la sua sostenibilità e desiderabilità in termini sociali e culturali, nel rispetto degli obiettivi cheanche l’Italia ha sottoscritto con Agenda 2030.

20-07-2021
Autore: Alessandro Mauriello
Associazione Koine’
meridianoitalia.tv

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