di Gaetano Fausto Esposito 

Ancora tu … cantava Lucio Battisti negli anni Settanta e questo ritornello sembra essere particolarmente adeguato alla situazione che sta attraversando il commercio internazionale ed in particolare lo sviluppo delle esportazioni del nostro Paese in questi ultimi mesi.

Poco più di un anno fa, in piena diffusione della pandemia, le previsioni a livello internazionale dell’Organizzazione del Commercio Mondiale (World Trade Organization) erano molto drammatiche.

La valutazione meno pessimistica era di una riduzione dell’interscambio mondiale di merci nell’ordine del 13 per cento, mentre nel 2020 il consuntivo è stato di un decremento del 5,3 per cento e in qualche modo questa situazione ha fatto il paio con l’andamento della riduzione del prodotto mondiale, originariamente stimato in decrescita di oltre il 6 per cento dal Fondo Monetario Internazionale, è che invece ha chiuso con un dato negativo del 3,8 per cento.

Molto, molto meglio delle attese!

esposito1Fonte: World Trade Organization

Le previsioni per l’anno in corso stimano una netta ripresa del commercio mondiale, molto migliore del previsto, sulla scia anche dei positivi risultati in termini di vaccinazioni che si stanno conseguendo nei principali paesi industrializzati.

Il commercio internazionale è ritornato motore dello sviluppo, anche da noi. Basta guardare agli ultimi dati sulle vendite all’estero. Nel mese di aprile l’incremento delle esportazioni è vistosissimo, se comparato con lo stesso mese del 2020, inoltre il dato importante è che le vendite all’estero sono superiori a quelle del corrispondente mese 2019 (ossia in periodo pre-Covid). Ma non basta, il saldo netto della bilancia commerciale ad aprile di quest’anno è superiore di 2,6 miliardi allo stesso saldo del 2019, mentre lo scorso anno era negativo per oltre un miliardo.

E poichè la domanda estera netta rappresenta un contributo positivo allo sviluppo tutto questo lascia ben sperare anche per una ulteriore spinta sul PIL.

Export is back potremmo dire quindi guardando all’andamento a livello internazionale e alle nostre performance.

Sicuramente gli aspetti evidenziati sono positivi. La crescita trainata dalle esportazioni rischia però di ampliare ulteriormente i divari di sviluppo tra settori produttivi. Se quelli dove si spostano i beni hanno ripreso a marciare bene (a volte anche meglio di due anni fa) gli altri in cui sono le persone a muoversi segnano ancora il passo.

Il lock down ha picchiato duro su alcuni comparti in particolare sul turismo e più in generale sul più complessivo settore del commercio e pubblici esercizi. Del resto nel solo settore turistico lo scorso anno le presenze straniere sono risultate del 60 per cento inferiori al 2019. Il clima di sfiducia e la connessa maggiore cautela nell’effettuare le spese si è tradotta nel 2020 in una forte riduzione dei consumi, diminuiti dell’11,7 per cento rispetto al 2019 (con punte del 40 per cento per alberghi e ristorazione), molto di più di quanto non si sia ridotto il complessivo livello di attività economica.

Si viene quindi a riproporre in maniera più drammatica rispetto al passato la distinzione tra settori e imprese che sono aperte internazionalmente (i cosiddetti settori tradeable) e quelli (essenzialmente di servizi) che invece non competono sul mercato internazionale e dipendono quindi dalla domanda interna e dal turismo (i settori non tradeable). E sono questi anche i settori in cui le imprese per dimensione aziendale e entità di mercato sono più fragili.

Ecco quindi che se sulla scia della ripresa del commercio internazionale c’è un pezzo importante della nostra economia che segnerà molto probabilmente nei prossimi mesi positive performance di sviluppo, ci sarà un altro importante segmento che potrà continuare a sperimentare una fortissima debolezza. In altri termini aumenteranno le disuguaglianze tra imprese, settori e anche territori.

In linea generale nel Mezzogiorno, dove il peso del comparto commercio-servizi vendibili è più elevato e l’incidenza delle esportazioni molto modesta (siamo a poco più del 10 per cento dell’export complessivo italiano) il post pandemia potrebbe avere strascichi molto pesanti per famiglie e imprese.

Del resto già lo scorso anno il livello di attività economica al Sud rispetto al 2007 si è ridotto di oltre il 17 per cento, contro una contrazione dell’11 per cento nel Centro-Nord.

Alla vigilia del varo concreto delle azioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e della manovra dei Fondi Strutturali Europei occorre quindi immaginare un potente percorso di riqualificazione della base produttiva, in particolare di quella più orientata alla domanda interna, se si vuole evitare non solo un ulteriore allargamento dei divari tra settori di attività, ma anche ulteriori contraccolpi negativi per l’economia del Mezzogiorno.

25-06-2021
Autore: Gaetano Fausto Esposito
Direttore generale Centro Studi Guglielmo Tagliacarne
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