di Liliana Ocmin
Le politiche di genere, oggi più che mai, devono occupare un posto di primo piano nelle agende politiche mondiali. Di questo siamo sempre più convinte anche per il nostro Paese una strada obbligata, se vogliamo rialzarci compiutamente dalle rovine sociali ed economiche in cui ci ha ricacciati la pandemia da Covid-19. Dobbiamo rimetterci in moto per una crescita che sia stabile e duratura e, come ci chiede anche l’Europa, sempre più inclusiva e sostenibile. Non dimentichiamo, inoltre, che più occupazione femminile significa più Pil: nelle stime della Banca d’Italia una maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro equivarrebbe a un aumento di circa 7 punti percentuali di Pil, cosa tutt’altro che residuale, anzi.
Il programma di rinascita del Paese sarà tanto più incisivo quanto più chiari e attenti saranno i suoi obiettivi prioritari, con il rischio altrimenti di sprecare un’occasione come quella attuale da tutti definita “storica” e irripetibile.
Le politiche di genere – è bene ribadirlo – necessitano di un approccio a tutto tondo, devono riguardare cioè tutte le questioni aperte nel loro complesso e non singoli temi a compartimenti stagni. Non si può parlare, ad esempio, di rilancio dell’occupazione femminile se non si affronta il tema della infrastrutturazione socio-assistenziale, la cui carenza è diventata negli anni una caratteristica negativa del nostro welfare. Così come non si può prescindere dall’affrontare tutte le altre problematiche esistenti, dalla leadership e dalla rappresentanza alla violenza in tutte le sue forme, fino al tema della formazione, delle competenze e della digitalizzazione che ha avuto in questa fase emergenziale uno sviluppo forzatamente rapido.
Insomma, contrastare le criticità del mondo femminile, a partire dalla scarsa partecipazione nel mercato del lavoro, vuol dire guardare al futuro dalla “giusta angolazione”.