di Annalisa Libbi
Real People è il nuovo documentario realizzato da Will, una community online di quasi due milioni di persone che si prefigge l’obiettivo di “ispirare il cambiamento”, generare cioè consapevolezza sulle grandi istanze del nostro tempo con una serie di attività e buone pratiche condivise sulle principali piattaforme social e non solo.
Il documentario, regia di Olmo Parenti, realizzato in collaborazione con @ATHINGBY, riporta la storia del salvataggio, nel Mar Mediterraneo, di centoquattordici migranti e della vita a bordo della nave Ocean Viking nei successivi dieci giorni, in attesa di poter sbarcare in Europa.
La premessa a questo racconto in video è l’idea che si parli spesso di migranti, è indubbio che il tema sia oggetto di dibattito soprattutto politico, ma che “non parlano loro”, ovvero non ci si soffermi mai a considerare che si tratta di persone, non numeri o statistiche, real people, appunto.
Così, il documentario, con un inizio quanto mai suggestivo ed efficace di un mare aperto in piena notte, ci racconta quali sono i passaggi del salvataggio.
“There’s something out there”, c’è qualcosa lì fuori, dicono gli operatori: con grande sapienza ed umanità, attraverso i dialoghi tra le persone salvate vediamo quel “qualcosa” trasformarsi in “qualcuno”, in sogni, desideri, paure e ambizioni di chi è disposto a rischiare la vita per il progetto di rendere quella stessa vita che rischia di perdere, migliore.
Il video mostra anche il lavoro dei medici e di tutti gli addetti sulla nave per salvare le vite di queste persone e, rendere quel viaggio verso qualcosa di meglio, un po’ più dignitoso.
Immediatamente dopo il salvataggio, in quel mare, inizialmente scuro e minaccioso, comincia a vedersi anche una luce sullo sfondo in una sorta di simbologia, quantomai realistica, del chiaro e dello scuro, del giorno e della notte, della morte e della vita.
L’inquadratura dell’orizzonte, ricorre spesso nel video; l’alba di un nuovo giorno che nasce, tutti affacciati a guardare quell’orizzonte quasi che, quell’essere protesi possa accorciare le distanze. Quelle distanze che li separano dalla terra ferma, dagli altri che, spesso, li considerano altro, un problema in quanto stranieri.
Nella prima parte del video, il sentimento dominante è la paura amplificata dagli occhi dei bambini che, anche se meno consapevoli degli adulti, non sono meno terrorizzati e angosciati.
I repentini cambi di inquadratura mostrano, in modo sapiente, la condizione dei migranti salvati; come per i piedi, in fila, nudi, senza calze né scarpe. Chi viene filmato si meraviglia: “invece di picchiarci ci puntate una telecamera”; una volta salvi e al sicuro, la paura si trasforma in incertezza mostrando un affresco di vite normali, di persone che amano, hanno paura, si arrabbiano, sperano, che leggono “Il piccolo principe” cercando un’umanità che forse hanno paura di perdere.
Il non potersi dichiarare migranti economici, la difficoltà ad adattarsi alle regole per quella microcomunità che si è formata da poco a bordo, il racconto di tutto “il prima di ora” e, mentre quei racconti vanno, il mare ha un riflesso rosso, innaturale al punto da scuoterci e farci percepire ancora di più l’orrore di quel prima.
Spesso noi dimentichiamo questa umanità facendo diventare i migranti una variabile politica, un numero, un dato. Al contrario, il segreto di questo documentario sta molto nel “metterci la faccia”, del regista, e degli altrettanto virtuosi collaboratori, che vediamo lì, sulla nave con i suoi “attori”, parla con loro, spiega cosa sta facendo e con loro fa festa quando finalmente li raggiunge la notizia dello sbarco.
C’è talento e anima in questo documentario che sa spaziare e raccontare la vita, gli uomini, le cose, il mondo che cambia, con la maestria del saper raccontare la complessità attraverso la solo apparente semplicità delle immagini.