Manufatti indigeni e reperti pompeiani.
di Antonella Rita Roscilli
“Vengo, caro fratello, a domandarti francamente se sarebbe possibile che tu mi mandassi degli oggetti di Pompei e Ercolano, o qualche altra antichità per il Museo di qui perché me li hanno domandati, ed anche se tu vuoi qualche cosa che sta nel Museo di qui si potrebbero fare degli scambi. Perdonami tanta seccatura, ma con te non faccio cerimonie e spero che altrettanto tu farai con me”. Così scriveva il 9 novembre 1854 D. Teresa Cristina di Borbone delle Due Sicilie, nata a Napoli nel 1822, sposa dell’imperatore Don Pedro II (1825-1891) e ultima imperatrice del Brasile. La lettera, fu spedita a Napoli al fratello D. Ferdinando II (1810-1859), sovrano del Regno delle due Sicilie.
D. Ferdinando II si trovava nella Reggia di Caserta, rispose alla lettera della sorella in data 14 gennaio 1855 ed ecco ciò che scrisse: “Per gli oggetti di Pompei ed Ercolano che mi scrivi nella tua del 9 novembre, non si farebbe difficoltà a darne. Dovresti tu destinare qui una persona di tua fiducia per consegnarli, e similmente incaricarti tu stessa di far fare un notamento di quelli che dal Brasile possono essere utili nel Museo di Napoli”. Ebbe inizio così il vasto scambio di opere e reperti archeologici tra il Regno delle Due Sicilie e il l’impero del Brasile, grazie al forte ideale secondo cui quegli scambi avrebbero potuto avvicinare i confini culturali, far conoscere l’arte di ciascuno dei paesi alle tante persone che non potevano permettersi di viaggiare.
All’epoca, l’arte del Brasile riguardava gli oggetti etnografici dei popoli indigeni, molti dei quali si trovavano nel “Museu Nacional” di Rio de Janeiro. Più avanti inglobò anche l’archeologia brasiliana che venne alla luce nel 1870-71 con la cultura di Marajó. Si trattava di un’antica civiltà indigena che si era sviluppata sull'isola di Marajó, alla foce del Rio delle Amazzoni, nello stato del Parà. Qui furono rinvenuti cimiteri che custodivano manufatti in ceramica decorati con motivi geometrici carichi di significati. La fine arte della ceramica marajoara, forse, ancora esisteva quando, nel 1500, i portoghesi iniziarono la colonizzazione delle coste sudamericane. Evidentemente, l’imperatrice apprezzava molto l’arte marajoara, tanto da considerare importante divulgarla quale simbolo di un’antica civiltà dell’immenso paese sudamericano.
I due fratelli reali condividevano lo stesso interesse per l’arte e l’archeologia. Ferdinando II, come è noto, aveva ordinato la prosecuzione degli scavi di Pompei ed Ercolano, iniziati nella seconda metà del ‘700 dai suoi antenati, arricchendo la collezione del “Museo Borbonico”. Teresa Cristina era cresciuta in questo clima e ricordava che durante la sua infanzia, quando giungevano ospiti, suo padre re Francesco I, li conduceva spesso a visitare gli scavi di Pompei. Lo scambio di materiale archeologico italiano con oggetti d’arte indigena brasiliana, venne promosso dall’imperatrice fin dagli inizi della sua vita oltreoceano. “In questo modo si cementava una relazione di enorme significato culturale e simbolico: le antichità della penisola trasportavano in America i loro valori estetici spargendo nelle terre del nuovo continente i semi della tradizione, mentre le culture indigene del Brasile andavano a mostrare all’Europa alcuni aspetti di una civiltà ancora agli albori e perciò capace di stimolare la fantasia creativa degli uomini del vecchio mondo”: così scrisse il compianto professor Nello Avella nel 2012, nel suo magistrale studio sulla vita della imperatrice D.Teresa Cristina di Borbone.
Gli scambi concreti ebbero inizio dal 1856, con l’arrivo a Rio de Janeiro di un consistente numero di reperti archeologici: un centinario di terrecotte, 60 bronzi, 30 pezzi in vetro, una sessantina di vasi, dieci pannelli di pitture in epoca romana, pezzi archeologici di alto valore culturale e forte significato. Diversi manufatti delle antiche culture di Pompei ed Ercolano giunsero al “Museu Nacional” di Rio de Janeiro, provenienti dal “Reale Museo Borbonico”, oggi “Museo Nazionale di Napoli” Allo stesso tempo, diversi manufatti delle culture indigene del Brasile arrivarono nel Regno delle Due Sicilie, dove all’epoca entrarono a far parte delle collezioni del “Reale Museo Borbonico” di Napoli.
É doveroso ricordare che già in anni precedenti, precisamente il 2 luglio 1843, sulla nave Constituição, che dal Golfo di Napoli si diresse verso la Baia di Guanabara di Rio de Janeiro,
l’ imperatrice portò con sé in dote nuziale più di 1000 libri, una bellissima raccolta di carte geografiche, carte topografiche, “cinque carrozze d'oro, cristalleria, bronzi, vasellame, stoffe, ecc.”, come scrive Vasco Mariz nella Rivista dell’IHGB-Instituto Historico Geografico Brasileiro (A. 169, gen.-mar. 2008, p 200). Alla nave Constitutição seguivano le fregate Vesuvio, Partenope e Regina Isabella Amália, sulla quale viaggiava il fratello, principe Luigi di Borbone. L’imperatrice portò con sé alcuni oggetti in bronzo donati dal re. Infatti, secondo il documento III C5, 35, appartenente al Museo di Napoli, il 22 giugno 1843, il re Ferdinando II donò alla sorella 13 antiche anfore di bronzo. Si trattò di un dono diplomatico, fatto anche ad altre personalità come l'imperatore di Russia, il re di Baviera e la regina di Napoli, così si legge nel fascicolo. D. Teresa Cristina portò con sé anche una serie di pezzi archeologici della collezione della regina Carolina Murat, moglie del re di Napoli Gioacchino Murat, e sorella di Napoleone Bonaparte (1808-1815), oltre a pezzi provenienti da Pompei ed Ercolano, frutto degli scavi della famiglia Borbone iniziati dalla metà del Settecento. Le 13 preziose anfore in bronzo divennero il nucleo della collezione in suo onore presso il Museo Nazionale di Quinta da Boa Vista, a Rio de Janeiro andando a formare quella che sarebbe divenuta la più grande collezione dell’America Latina con più di settecento pezzi. Insieme alle collezioni del “Museu Nacional” e agli oggetti esposti al “Museu Imperial” di Petrópolis, la "Collezione Mediterranea” della civiltà greco-romana, o “Collezione D. Teresa Cristina", è nota per essere uno dei principali depositi culturali italiani al di fuori dei confini nazionali.
Ma l'azione dell'imperatrice non si limitò a stabilire uno scambio culturale con il Regno delle Due Sicilie. Nel 1824 divenne proprietaria di due località vicine a Roma: le terre di Vaccareccia e Isola Farnese, ereditate dalla zia, regina di Sardegna e Piemonte, D. Maria Cristina Amalia Teresa di Napoli e Sicilia, sorella di Federico II e moglie del re Carlo Felice di Savoia. La zia regina era appassionata di arti antiche. Perciò aveva finanziato scavi in tutte le sue tenute. Fu di fondamentale importanza il ritrovamento della necropoli etrusca dell'antica Veio, città che era stata definita pulcherrima urbs (città splendida) dallo storico latino Tito Livio. D. Teresa Cristina ereditò, non solo giuridicamente, le proprietà nel Lazio dalla zia, ma ne ereditò anche la passione e la dedizione. Il diritto sul possesso le venne confermato nel 1850 e nel 1853. Decise, quindi, di finanziare nuove campagne archeologiche, e a Veio furono ritrovati molti pezzi importanti. Condussero gli scavi gli archeologi Luigi Canina e Virginio Vespignani, padre di Francesco Vespignani, divenuto a Roma procuratore dell'imperatrice.
Gli scavi di Veio del 1853, 1878, e tra 1888 e 1889, portarono alla luce vasi provenienti da cortei funerari greci ed etruschi, oltre ad oggetti votivi che furono suddivisi in tre istituzioni: il Museo Etrusco di Villa Giulia, il Museo Preistorico ed Etnografico di Roma e il Museo Civico di Modena. Tra gli oggetti di valore inestimabile provenienti dagli scavi, ricordiamo una collezione di stoviglie e ceramiche, ed un busto in marmo greco con l’effigie di Antinoo, ritrovato nel 1878. Questo pezzo fu donato dall' imperatrice all'”Academia Imperial de Belas Artes”, e custodito nel “Museu Nacional de Belas Artes” a Rio de Janeiro. Inoltre, dai sepolcri del sito laziale provennero reperti etruschi che entrarono a far parte del “Museu Nacional” da Quinta da Boa Vista: buccheri, canopi, gioielli, oggetti d’uso quotidiano, amuleti, armi, una scultura femminile di stile arcaizzante e una statuetta di Venere in alabastro, rinvenute durante i primi scavi condotti nel 1853.
In una lettera del 20 febbraio 1857, inviata dalla residenza di Petrópolis a D. Pedro II che si trovava a Rio, l’imperatrice scriveva: “Ti prego di domandare a Jacobim o Paolo se hanno una cassa mia venuta da Napoli che il direttore della dogana ha detto aver rimesso con la statua, lo stesso ha scritto al conte Grifeo. Ti prego di portarmela”. Lo scambio non venne interrotto neppure dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie, e la passione dell’imperatrice per l’archeologia rimase viva per sempre. I manufatti delle culture indigene che viaggiavano per Napoli, mostravano al vecchio continente aspetti di civiltà sconosciute, che potevano stimolare in Europa la curiosità sulle culture del Brasile. Invece, gli oggetti provenienti dalla penisola italica, potevano piantare nel Nuovo Mondo i semi della tradizione classica: giunsero secoli e secoli di storia di Roma, Grecia, ma anche Egitto, di cui l’imperatore era appassionato. A sua volta il direttore del “Museu Nacional” di Rio, Ladislau Netto, continuava a mandare a Roma attraverso il ministro d’Italia presso l’imperatore, conte de la Tour, oggetti d’interesse per gli studiosi di etnografia.
Con lettera del 21 marzo 1883, Luigi Pigorini ringraziò il collega brasiliano del dono delle “importantissime sue pubblicazioni e le pregevoli raccolte etnologiche brasiliane”. Dopo aver sottolineato di aver fatto “tosto annunziare sui giornali l’atto generoso”, ricordò che “gli oggetti etnologici del Brasile erano pochissimi nel Museo e non vi esisteva nulla dei sambaqui, e ora il vuoto in parte è tolto”. Il termine sambaqui in Brasile designa antichissimi depositi, situati sulla costa oppure in lagune o fiumi del litorale fatti di mucchi di conchiglie, resti di cucina e di scheletri messi insieme da popoli indigeni in epoca preistorica, come spiegava Ladislau Netto nel biglietto indirizzato al conte de la Tour e veniva esplicitato nelle note a margine della “Lista degli oggetti che furono spediti dal Museu Nacional al Museo di Roma”: più di 50 ogetti che testimoniano la continuità degli scambi avviati da D. Teresa Cristina. Tra i manufatti vi erano strumenti da caccia, vari frammenti di utensili domestici, un copricapo confezionato dai popoli indigeni dell’Alto Amazonas, ornamento ricoperto di piume di uccelli della regione, usato in ambito cerimoniale.
In questo processo di scambio, le antichità assunsero nuova luce, vennero risignificati al sole dei tropici dove la principessa borbonica, divenuta imperatrice, innestò la sua eredità culturale nel giovane corpo di una nazione che si andava costruendo, mentre la collezione etnologica brasiliana andava a fecondare la ricerca scientifica italiana, anch’essa in fase di definizione istituzionale dopo il recente raggiungimento dell’unità del Paese.
I legami e gli scambi tra Italia e Brasile divennero sempre più profondi. É bene ricordare che in Italia il paletnologo parmense Luigi Pigorini (1842-1925) andava ampliando le sue collezioni che avrebbero dato vita al “Museo Nazionale Preistorico Etnografico” intitolato al nome del suo fondatore. Fra le numerose collezioni del “Pigorini”, quelle riunite nelle sale espositive degli “Indios del Brasile”, ricchissime e di straordinario valore scientifico, si formarono in gran parte negli anni immediatamente successivi all’inaugurazione del Museo che avvenne nel marzo 1876. All’epoca, il Museo si trovava nel Palazzo del Collegio Romano, appartenente dalla fine del ‘500 alla Compagnia di Gesù. Era nato intorno ad una raccolta di antichità lì riunite nel sec. XVII da padre Athanasius Kirchner. Il trasferimento all’EUR fu eseguito tra il 1962 e il 1977. L’originaria impostazione del Museo si richiamava al paradigma evoluzionista che permeava la cultura dell’epoca, per cui i “popoli selvaggi” venivano osservati come testimonianza vivente degli stati primordiali della storia umana. In quel contesto le regioni del Mato Grosso e del’Amazzonia esercitavano sugli intellettuali europei un fascino straordinario. Dal 2016, le collezioni del “Museo Pigorini” sono confluite nel “Museo delle Civiltà”, all’Eur, sempre nella capitale italiana.
In Brasile, invece, il “Museu Real” fu fondato nel 1818, era la più antica istituzione scientifica e crebbe dopo l’indipendenza del Paese (1822). Durante l’impero di D. Pedro II, con il nome di “Museu Nacionale” divenne il maggiore museo di storia naturale e antropologia dell’America Latina, grazie alla cura che ne ebbe l’imperatrice.
Dal 1874 al 1893 la direzione del “Museu Nacional” fu affidata a Ladislau de Souza Mello e Netto, col quale l’italiano Luigi Pigorini intrattenne intense relazioni, dati i reciproci interessi delle istituzioni che rappresentavano. In qualche occasione Pigorini si rivolse direttamente all’imperatore, uomo di cultura che aveva visitato e apprezzato il “Museo Preistorico Etnografico” di Roma. Esistono vari carteggi tra Pegorini e D. Pedro II che continuarono fino al suo esilio a Parigi, quando l’imperatore deposto auspicò la donazione al Brasile di nuovi manufatti archeologici che erano stati rinvenuti a Veio nel 1889.
D. Teresa Cristina, consapevole del suo ruolo imperiale, non desistè mai, ma la nostalgia per gli affetti familiari la portò a mantenere sempre una fitta corrispondenza con la madre, i fratelli e le sorelle in Europa. Durante i tre viaggi internazionali che intraprese con il marito, annotò meticolosamente ogni cosa, come si evince dai suoi diari, conservati al “Museu Imperial” di Petrópolis: gli alberghi, gli incontri con le personalità, le impressioni provate nel visitare le chiese, le moschee, i musei, i monumenti storici del Medio Oriente, le emozioni provate nel rivedere la sua terra natale, le preoccupazioni per i pezzi archeologici di Pompei, Ercolano e Veio, e quelli indigeni e della civiltà marajoara che dovevano varcare i mari e affrontare varie vicissitudini. Nel primo viaggio, realizzato nel 1871, D. Teresa Cristina aveva accompagnato il marito a visitare le piramidi e le antichità egizie. Nel 1888, un anno prima di morire, nel corso del terzo viaggio transoceanico, volle tornare a visitare gli scavi di Pompei.
Gli scambi culturali da un estremo all’altro dell’oceano Atlantico del secolo XIX, uniscono quindi le storie d’ Italia e del Brasile. Sono tanti e anche molto più densi di quelli che possiamo immaginare. Accadimenti storici, culturali, personaggi in vari campi del sapere e dell’arte, storie di famiglie, migranti, lavoratori, agricoltori, scultori, ricercatori. Fu così che si consolidò una relazione di reciproco arricchimento. Nel corso della vita, D. Teresa Cristina prodigò i suoi sforzi divulgando la cultura brasiliana in Europa, specie nella penisola italica, e allo stesso tempo coltivò sempre la ricchezza culturale italiana in Brasile, incoraggiò artisti brasiliani a studiare in Italia, come il musicista Carlos Gomes, e trasformò Rio de Janeiro in una “repubblica italiana delle arti”.
Inoltre, non possiamo dimenticare che fu anche artefice e pioniera nell’introdurre in Brasile l’arte del mosaico, come testimoniato da ciò che oggi resta del “Jardim das princesas” del palazzo reale. Grazie a lei, il “Museu Nacional”, nella Quinta da Boa Vista, a São Cristóvão, zona nord di Rio possedeva la maggiore collezione di archeologia classica dell’America Latina. Con i suoi 771 pezzi tra oggetti in bronzo, terracotta, vetri e affreschi, prodotti tra il VII secolo a.C. e il III secolo d.C., la “Collezione Teresa Cristina”, occupava ben tre sale attigue al secondo piano. Era costituita, come abbiamo visto, da almeno due nuclei distinti: uno proveniente dal “Museo Borbonico” di Napoli, e l’altro dagli scavi di Veio. Purtroppo, sembra che molto di questo preziosissimo patrimonio sia andato perduto nel tragico incendio che nel 2018 divampò nel “Museu Nacional” di Rio.
In ogni caso, i citati patrimoni dei due Musei, da un lato e l’altro dell’Oceano, non sono frutto di bottini di guerra, ma di intensi e pacifici scambi culturali voluti da personaggi storici che amavano l’arte. Sono viva testimonianza di materiali della cultura prodotti da antiche civiltà, lasciti straordinari che caratterizzarono l’attività di due rappresentanti della famiglia Borbone: un sovrano e sua sorella, che tanto amò quel paese tropicale da morirne, non appena dovette lasciarlo a causa di un golpe. Tra il 1879 e il 1889, D. Teresa Cristina continuava a sostenere l’imperatore, accanto all’unica figlia che le rimaneva e agli amati nipoti, ma assisteva al lento sgretolarsi dell’impero. I malesseri degli oppositori all’abolizione della schiavitù, le rivolte popolari, le perniciose cospirazioni dei militari, l’insoddisfazione dei proprietari terrieri, il 15 novembre 1889 culminarono in un colpo di stato che proclamò la Repubblica. Due giorni dopo, il 17 novembre 1889, gli imperatori deposti dovettero partire per l’esilio. Giunsero in Portogallo il 7 dicembre. D. Pedro II rifiutò qualsiasi offerta di residenza principesca, preferì ritirarsi con l’imperatrice in un modesto albergo della città di Porto. Qui, D. Teresa Cristina, provata da questa e da altre dolorose esperienze, si ammalò e morì il 28 dicembre 1889.
Come ultimo omaggio alla moglie, “doce companheira […]verdadeira Metade de minh’alma entristecida” (dolce compagna…vera Metà della mia anima ormai rattristata), l’imperatore decise di donare al Brasile l’intero patrimonio della sua amata: la monumentale biblioteca, i diari, i dipinti, la preziosa collezione di spartiti musicali italiani, le fotografie di tanti anni, a condizione che questo lascito fosse denominato “Coleção Teresa Cristina Maria”. Ancora oggi la collezione viene custodita nella Biblioteca Nacional di Rio de Janeiro, a testimonianza del grande amore che D. Teresa Cristina nutrì non solo per il suo paese di origine, ma anche per quel paese tropicale del quale fu ultima imperatrice.
1. L’imperatrice Teresa Cristina Maria. Foto di J. I.Pacheco, 1870 / Fundação Biblioteca Nacional di Rio de Janeiro
2. Dom Pedro II e D. Teresa Cristina. Olio su tela di Joaquim Gomes Tourinho da Silva – 1861-Collezione IGHB-Bahia Istituto Geografico Storico di Bahia
3. Frammenti arte marajoara. Museo delle Civiltà, Roma.
4. Copricapo indigeno. Alto Rio delle Amazzoni, Brasile. Seconda metà XIX secolo. Museo delle Civiltà-Roma. Collezione Etnografica “Luigi Pigorini”.
5. Arte funeraria marajoara.400-1000 c. d.C. Ex collezione di Jean Lions, anni '70; ex collezione di H. Law; messo all'asta da Binoche & Giquello il 21 marzo 2011 (Wikipedia)
6. Collezione Greco-romana (Collezione del Mediterraneo) nel Museu Nacional di Rio de Janeiro. Alcuni dei pezzi della collezione persi durante l’incendio del 2018
7. Affreschi dell’antica Pompei, I sec. d.C. Tempio di Iside. Museu Nacional di Rio de Janeiro. In fase di recupero dopo l’incendio del 2018