di Piero di Lauro
"Il sabato è per l'uomo e non l'uomo per il sabato" (Mc 2,27)
E se provassimo veramente a ribaltare la domanda? Se ci chiedessimo come l'istituzione può mettersi a servizio dell'uomo e valorizzarlo invece che inquadrarlo dentro l'organizzazione data? Se ci chiedessimo cosa può fare la scuola per lo studente e non cosa DEBBA fare lo studente per la scuola? Se provassimo a mettere un attimo da parte il discorso su voti e diploma e rimettessimo al centro quello su cultura, bellezza, formazione? Probabilmente apriremmo il vaso di Pandora su un mare di fallimenti, di frustrazioni, di insoddisfazioni di tutti: studenti, docenti, dirigenti scolastici, personale scolastico e genitori. E sarebbe un bene. Soltanto un bene. Le crisi possono aiutare a ritrovare motivazioni. E la nostra scuola è in crisi ed è senza motivazioni: insegna sempre meno (lo dicono dati ufficiali, nazionali!) e annoia sempre di più. Anzi, provoca talvolta un vero e proprio disagio emotivo: si entra in classe ansiosi e scontenti. Ma come si fa a imparare così? E come si fa a insegnare in questo contesto?
Questo tipo di riflessione sulla scuola non è per niente nuovo. Si inscrive piuttosto in un alveo molto più grande. Nel Novecento tanti maestri e maestre hanno messo la questione sul tavolo in maniera radicale, basti pensare, solo in Italia, a Maria Montessori, don Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Alberto Manzi. C'è ancora adesso il grande Mario Lodi che dall'alto della sua età ed esperienza si chiede a cosa diavolo servano i voti! A Roma, sta prendendo piede l'indirizzo montessoriano alle scuole medie inferiori. Pare sia un gran successo, si chiede di renderlo stabile oltre il periodo di sperimentazione e di incrementarlo, anzi, di diffonderlo di più. Questo significa scommettere su un apprendimento che si basa su creatività, libertà, interesse. Quando a scuola, studenti o professori, mi chiedono di parlare di questo libretto, io rispondo con una domanda: è possibile fare una scuola che ci piace? La prima reazione di solito è un viso allibito e uno sguardo stupito. Siamo talmente assuefatti a fare le cose che facciamo sempre nello stesso modo, anche quando è fallimentare, che non ci chiediamo più neanche se quel modo ci piace, ci corrisponde. Siamo così abituati a subire certe cose che non ci chiediamo neanche più come vorremmo che fossero. Quindi, il succo del libro è questo: guardare al presente della scuola, un presente per certi aspetti molto sconfortante, ma ripartire. E ripartire sollevando lo sguardo, rivolgendolo alle stelle come i naviganti. Vogliamo provare a pensare una scuola bella perché, come scriveva proprio la Montessori, "una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino". Siamo felici di fare scuola?