di Alessandro Mauriello
Conversazione con Angelo Ferracuti su Letteratura Lavoro e Welfare. Nel panorama letterario italiano, si sta riaffacciando il racconto sociale del Lavoro, nelle sue declinazioni esistenziali e di trasformazione della realta'. Analizzeremo tale canone, con lo scrittore e reporter, Angelo Ferracuti, autore di Viaggio sul Fiume Mondo e di Risorse Umane, Addio : la fine del romanzo del lavoro . Cominciamo col dire che esiste una nuova letteratura laburista europea e italiana. Ce la può descrivere in termini di azione culturale?
Esiste innegabilmente un ritorno del racconto operaio, la cosiddetta letteratura working class, che ha una grande tradizione in Inghilterra ma sta dando buoni frutti anche in Francia e in Italia. Finalmente quel mondo del lavoro drammatico, fatto di sfruttamento e schiavitù, - quello del precariato diffuso, dei rider, della logistica - ha una sua rappresentazione, e a Campi Bisenzio è successa una cosa straordinaria, impensabile fino a qualche anno fa, si è tenuto un festival letterario dentro la fabbrica ex GKN presidiata dagli operai licenziati di un agguerrito collettivo, una nuova intelligenza operaia che sfida i brutali processi di globalizzazione e delocalizzazione, con i quali il turbocapitalismo infligge pesanti ferite sociali. Da un punto di vista editoriale segnalo intanto l’ottimo lavoro della casa editrice Alegre, che ha ripubblicato lo storico reportage di Orwell sui minatori inglesi, “Tuta blu” di Tommaso Di Ciaula, inaugurando una collana working class, e poi i libri di Alberto Prunetti (ora Feltrinelli ripubblica “Amianto, una storia operia”) e Stefano Valenti, “Cronaca dalla sesta estinzione” (Il Saggiatore) che racconta la storia di un uomo che perso il lavoro, senza più reddito e in attesa della liquidazione, finisce a vivere in strada dentro un furgone acquistato con gli ultimi risparmi, parcheggiato nel viadotto della tangenziale. La nuova working class globale non è più quella fordista e delle lotte collettive del movimento operaio dei padri, ma invece quella precarizzata del mondo digitale, degli algoritmi, quella raccontata nei film di Ken Loach. Anzi, proprio le sconfitte delle lotte operaie dei padri, come quella seguita alla storica marcia dei quarantamila quadri FIAT del 14 ottobre 1980 a Torino, hanno prodotto le vite precarie dei figli. Ma penso anche a libri di due scrittori francesi come “Alla linea” (Bompiani) di Ponthus, al bellissimo “Metodo per diventare un altro” (La nave di Teseo, 2023) di Édouard Louis, lucido e drammatico progetto metamorfico per sfuggire alla subalternità sociale e una vita di povertà e duro lavoro.
Nel racconto delle nuove disuguaglianze a suo avviso l'Europa che ruolo avrà nel costruire un nuovo welfare?
Sono uno scrittore, soprattutto un reporter, quindi non sono esperto di queste cose, però spero prevalgano politiche non egoistiche di solidarietà sociale, quelle della migliore tradizione del socialismo europeo, mentre in Italia il governo Meloni cancella l’unico strumento per combattere il crescente impoverimento, cioè il reddito di cittadinanza. Se la destra vincerà le prossime elezioni europee potrebbero aprirsi scenari drammatici, in un contesto già sciagurato e con una guerra in corso che ha già fortemente indebolito economicamente l’Europa.
Lei viene dalle Marche, la terra del grande economista Giorgio Fuà. Ci può raccontare questa figura di intellettuale, legato a Olivetti?
Non ho conosciuto Fuà, ma conosco il suo magistero, soprattutto all’Università Politecnica delle Marche di Ancona, dove fondò la facoltà di economia, così come l’ISTAO, lavorò con Adriano Olivetti e fu collaboratore e consigliere di Enrico Mattei, una figura di grande spessore culturale. Però ho conosciuto lo scrittore Paolo Volponi, che visse da protagonista quella stagione e scrisse romanzi sui temi dell’alienazione del lavoro che sono dei classici, “Memoriale”, “Corporale”, “Le mosche del capitale”, tutti pubblicati da Einaudi, e che proprio con questo ultimo libro, già nel 1989 denunciava una nuova forma di società, il finanzcapitalismo e si chiedeva angosciato: “Ciò che mi domando è: come mai siamo giunti al punto che la sola materia materiale diventasse il denaro. E come si fosse annullata la profondità del mondo”. Una domanda con la quale le forze progressiste, di sinistra, non hanno ancora fatto i conti, accettando a volte passivamente o addirittura colpevolmente (si pensi al “pacchetto” Treu in Italia) un nuovo capitalismo globale che ha precarizzato artatamente il mondo del lavoro e indebolito se non annullato la forza del movimento dei lavoratori, la sua capacità di analizzare e intervenire sui processi di produzione.