di Marco Pellegrini

“Dobbiamo essere fedeli solo alla complessità delle cose” (Nicolàs Gòmez Dàvila)

Tanti elementi possono essere individuati come concause profonde della sollevazione di larga parte del popolo iraniano seguita all’uccisione della cittadina iraniana – di origine curda - Mahsa Amini: la non facile situazione economica, lo strapotere dei pasdaran nella vita del Paese, la frustrazione dei giovani che non trovano sbocchi di realizzazione lavorativa ed economica e per lo stallo dell'ascensore sociale (il che ha portato negli ultimi anni ad vertiginoso calo delle nascite), l’occupazione dei ruoli di potere da parte dell’ala integralista e fanatica del clero sciita, lo iato culturale incolmabile tra l’establishment iperreazionario e l’amplissima fascia dei giovani-adulti (l’età media degli iraniani è di 31 anni) figli di una cultura fortemente influenzata dai social media e dal contatto col resto del mondo, la soffocante censura esercitata dal regime e la pervasiva ed inquietante presenza dei basiji.

Ritengo però che, per evitare facili sociologismi e per capire meglio l’Iran di oggi, sia più fruttuoso ripercorrere almeno la sua storia recente, sia culturale, politica e giuridica.

SCONTRO E CONTAMINAZIONE DI CULTURE: LE COSTITUZIONI E LE LEGGI DELL’IRAN

A) LA COSTITUZIONE QAJAR

L’11 febbraio 1907, lo Shah di Persia Mohammad Ali Qājār (1907-1909) emanò il decreto con cui fu approvata la Costituzione. All’epoca, gli 'Ulema (teologi e scienziati religiosi islamici) affermarono che il governo costituzionale, inteso come governo con poteri limitati, era stato creato dallo stesso Profeta Mohammed o che comunque si trattava della forma originaria di governo dell’Islam, successivamente dimenticata dai musulmani. Perciò fu possibile inserire nella prima fase della storia costituzionale iraniana la shari’a (cioè l’insieme delle norme religiose e giuridiche islamiche, definita nel Corano come il “corretto sentiero” o la “giusta via), che appariva come una limitazione al potere assoluto del sovrano; come garanzia di tale approccio, venne riconosciuto ufficialmente uno spazio di intervento agli 'Ulema, i quali potevano controllare che tutte le leggi approvate dal Majles (Parlamento) non fossero contrarie ai principi islamici. Ragion per cui la Costituzione del 1907 fin dall’inizio trovò la sua giustificazione nella legge islamica.

La bozza della Costituzione Condizionale era composta dai 51 articoli della Legge fondamentale del 1906 e dai 107 articoli della Legge supplementare integrativa. Tale legge era definita integrativa perché nella prima bozza erano stati esclusivamente menzionati i principi relativi alla composizione del Majles, i quali stabilivano, tra l’altro, le regole di lavoro per i parlamentari, le modalità di elezione e di redazione dei progetti di legge. Tuttavia, essa taceva circa i diritti dei cittadini. Queste carenze portarono, a meno di un anno dall’adozione della costituzione, alla presentazione allo Shah Mohammad Ali di un emendamento, che includeva 107 disposizioni, oltre ad un'estensione del principio di revisione costituzionale.

La Legge fondamentale sancì che il potere esecutivo derivava dalla nazione (art. 26 Cost.) e che la monarchia traeva legittimazione dalla fiducia concessa dalla nazione alla persona del Re e che la stessa poteva anche ritirarla (art. 35 Cost.). In questo modo la monarchia costituzionale veniva definita in relazione alla nazione.

L'articolo 8 dichiarava tutti i cittadini iraniani uguali davanti alla legge. In tal modo, la Costituzione riconosceva l’esistenza di un’unica legge dello Stato, superando quindi il particolarismo giuridico tipico della shari’a e determinando un’autonomia giuridica per le minoranze musulmane e non musulmane. Infatti, permetteva ad esse di veder riconosciuta l’uguaglianza degli individui; i diritti della persona e la libertà furono garantiti.

In ogni caso, il movimento costituzionale costituì la problematica sintesi tra la cultura razionalista delle borghesie, che si richiamava al portato scientifico occidentale, e l’approccio riformista della corrente sciita Usuli (che propugnava un’interpretazione evolutiva dell’Islam, in contrasto con i conservatori), affermata particolarmente tra i ranghi inferiori del clero, che diede un contributo determinante proprio dalle componenti religiose riformiste.

B) LA MODERNIZZAZIONE IMPOSTA DALLA DINASTIA PAHLAVI

Nel 1920 il Paese dovette affrontare una grave crisi derivante da una forte instabilità istituzionale, connessa alla crescita di nuovi partiti politici, e dall’invasione del nord del Paese da parte dell’Armata rossa, e da parte dei britannici, che avevano invaso il sud dell'Iran e minacciavano di avanzare verso la capitale. Il 21 febbraio 1921 Reza Khan, partito dalla sua città di Qazvin, assunse la carica di comandante delle forze armate iraniane. Col tempo guadagnò il consenso delle diverse fazioni politiche e sociali presenti nella società iraniana, compreso il clero sciita. Nel 1923, Ahmad Shah lo nominò primo ministro. Dopo due anni, Rezā Khan riuscì ufficialmente il 31 ottobre del 1925 con il voto del parlamento ad estromettere la dinastia Qājār ed a farsi nominare nuovo re di Persia, usando il nome della dinastia Pahlavi.

Rezā Shah Pahlavi fu mosso dall’idea di trasformare lo Stato tradizionale in uno Stato moderno e industrializzato. Il suo scopo principale era quello di estendere il controllo dello Stato nei diversi ambiti dell’economia, della società e dell’ideologia, e per perseguire questo obbiettivo il primo passo da compiere consisteva nella secolarizzazione della legge dello Stato, avendo come punto di riferimento il sistema francese.

In termini di riforma sociale, Rezā Shah, si concentrò in particolar modo sull'educazione, attraverso l’istituzione di scuole pubbliche aperte, per la prima volta senza distinzione di sesso. Inoltre, inaugurò l’Università di Teheran, fondata nel 1934. Organizzò un programma pedagogico al fine di diminuire l’analfabetismo nel Paese, usando i concetti di nazione e di cittadinanza come elementi utili per la laicizzazione della società.  Egli fu inoltre grande sostenitore della laicità della politica e realizzò uno Stato basato sul nazionalismo, ignorando il ruolo della religione e dei religiosi nella vita politica del Paese. Proprio per questo, lo Shah reintrodusse il calendario solare, già in vigore prima dell’invasione araba, e fondò l’Accademia della lingua persiana per purificare il Parsi (la lingua persiana) da ogni traccia di lingua araba. In seguito, nel 1935, cambiò il nome dello Stato da “Persia” in “Iran”, termine che significa “la terra degli ariani".

Il sistema legale fu gradualmente sottratto al controllo degli ‘Ulema e fu portato sotto il controllo del Ministero della giustizia, ossia sotto un sistema giudiziario secolare, che fu riconosciuto nel 1927.  Furono emanati codici sulla base dell'esperienza europea di civil law, tra cui codici di diritto commerciale (1932) e procedura civile (1939), diritto penale e procedura penale (1932). La secolarizzazione del sistema giudiziario raggiunse il suo culmine nel 1936, quando l'impiego dei giudici clericali fu abolito con una legge che richiedeva per l’esercizio del potere giurisdizionale una laurea in giurisprudenza, conseguita presso la facoltà di giurisprudenza di Teheran o un'università straniera.

Già da decenni molti riformisti avevano formulato la richiesta di non rendere più obbligatorio il velo e specialmente dagli anni Venti diverse donne acculturate avevano cominciato a mutarne la pratica, ad esempio portando chador di colori e stili non tradizionali o addirittura uscendo a capo scoperto. Ma solo con un decreto del 1936 lo shah proibì alle donne di apparire per le strade vestendo lo chador e ordinò alla polizia di rimuoverlo da qualsiasi donna l’avesse indossato. Successivamente si vietò alle donne velate l’accesso a luoghi pubblici, quali ristoranti, alberghi, teatri. Infine fu disposta una serie di misure per incrementare l’educazione e le opportunità di lavoro femminili.

Ci furono alcuni cambiamenti anche nel diritto di famiglia, come l’aumento dell’età minima per contrarre il matrimonio (spostata a 15 anni per le donne e 18 per gli uomini) e la necessità del consenso della donna per la sua celebrazione.

I più importanti cambiamenti nel settore del diritto di famiglia vennero introdotti sotto il figlio e successore del primo Pahlavi, lo Shah Mohammad Reza Pahvali (1941-1979). L’evoluzione dei diritti civili e l’attenzione al cittadino si concretizzò nel 1963 quando, a seguito della Rivoluzione Bianca, venne riconosciuto alle donne il diritto di voto sia attivo sia passivo. A livello mediorientale, l’Iran fu uno dei primi paesi nel quale venne concesso il diritto di voto alle donne.

Nel 1967 si configurò un diritto di protezione familiare. Venne prevista l’abolizione del divorzio stragiudiziale, si richiese l’autorizzazione giudiziaria per la poligamia e, solo in particolari circostanze, vennero stabiliti dei tribunali speciali per le famiglie, ai fini dell’applicazione della nuova normativa sullo status personale. In questo modo gli uomini non avrebbero potuto prendere nuove mogli senza il permesso delle mogli sposate in precedenza e le donne avrebbero avuto il permesso di lavorare fuori casa senza il permesso dei mariti.

C) LA RIVOLUZIONE KHOMEINISTA: LA TEOCRAZIA COSTITUZIONALIZZATA

Nel 1979 ebbe luogo la Rivoluzione khomeinista a cui aveva partecipato per rovesciare lo Shah una parte importante dei gruppi urbani, unitamente a tantissime donne; essa però portò alla creazione di un governo islamico in cui il clero radicale controllava quasi tutti gli organi di influenza.

Il 3 agosto 1979 venne eletta direttamente dal popolo un’Assemblea costituzionale (detta degli esperti) composta da 73 rappresentanti. Il partito degli islamisti (religiosi) ottenne la vittoria con 58 candidati eletti  su un totale di 73 membri.

Il testo costituzionale – promulgato il 3 dicembre 1979 - in totale, era composto da 14 capitoli e 172 articoli, mentre altri 40 emendamenti furono aggiunti alla morte di Khomeini nel 1989.

Essa è stata il frutto della combinazione di tre elementi: religioso, ideologico e democratico.

Una parte dell’appendice, comprendente un certo numero di tradizioni islamiche e ahādith riguardanti i suoi articoli più importanti, dimostra che la Costituzione della Repubblica Islamica dell'Iran del 1979 è parzialmente derivata dalla shari’a. In particolare, l’articolo 4 afferma che qualsiasi norma in contrasto con la shari’a debba essere eliminata, compresa la stessa Costituzione.

Se è vero che nel diritto costituzionale iraniano il rapporto con l’Islam deriva dal retaggio sciita del Paese, tale diritto è ancora in parte influenzato dalla cultura occidentalizzata. Si tratta infatti di un modello di matrice sì islamica, ma che si caratterizza anche per aspetti tipici di un sistema romano-germanico. L’influenza occidentale si nota non solo nel codice civile, in quello penale e nelle procedure, ma anche nell’organizzazione costituzionale dello Stato-apparato e nei conseguenti apparati, come il Parlamento, e nella scelta, dopo la rivoluzione del 1979, di costruire una Repubblica. Si tratta di istituti che non presentano i caratteri tipici della tradizione islamica.

La stessa Carta fondamentale afferma che la Repubblica Islamica “dev’essere amministrata sulla base della opinione pubblica espressa attraverso le elezioni, inclusa l’elezione del presidente, dei rappresentanti dell’Assemblea Consultiva Islamica e dei membri dei consigli, o attraverso il referendum” (art. 6 Cost.). In questi termini, si profila il paradosso di una Repubblica, teocratica non per volontà divina, ma per decisione popolare, come sancisce l’articolo primo, che definisce il Paese una “Repubblica Islamica ratificata dal popolo tramite referendum, in seguito alla Rivoluzione Islamica”.

A partire dal Preambolo, e poi nel testo vero e proprio della Costituzione, vi sono una serie di enunciazioni e norme che, oltre a indicare il carattere volutamente islamico della Costituzione, definiscono gli obiettivi dell’ordinamento in armonia con il suo tratto islamico. Ad esempio, il vincolo della legislazione al rispetto della shari’a; l’attribuzione della guida dell’ordinamento ai giuristi islamici; l’applicazione del limite del rispetto della shari’a a una serie di diritti attribuiti dalla Costituzione e l'istituzione di organi il cui compito è di assicurare il carattere islamico dello Stato.

Ancora più straordinario e ampio del carattere ideologico generale della Costituzione è il suo specifico carattere teocratico. L’articolo 2 esprime un fermo rifiuto della separazione fra religione e ordine politico. L’articolo 6 dichiara però l’alto valore dell’uomo e della sua libertà, combinato con la responsabilità di Dio, da realizzare sotto la guida dei giuristi, con l'adozione della scienza e della tecnologia e attraverso l’eliminazione della tirannia e della dominazione. È quindi evidente un contrasto tra gli articoli costituzionali: in effetti, né la sovranità nazionale né la rappresentanza parlamentare sono indicate come caratteristiche distintive della Repubblica Islamica. L'articolo 3, tuttavia, sottolinea la “garanzia della partecipazione di tutto il popolo nella determinazione del proprio destino politico, economico, sociale e culturale”.

Anche il sistema politico-giudiziario e giudiziario è stato pienamente islamizzato, eliminando la gerarchia delle corti di appello e svuotando di significato le funzioni del giudice e del pubblico ministero. Le pene primitive della shari’a, che non hanno mai trovato attuazione sotto le dinastie Safavide e Qājār o ancora prima, sono state applicate in base alla principale legge di esecuzione, ossia la shari’a. L’ordinamento iraniano può essere quindi definito come una teocrazia costituzionale.

E’ dunque evidente che le componenti laiche e legaliste della Costituzione della Repubblica Islamica non siano state adattate tra loro in modo armonioso, ma appaiono piuttosto come elementi che si contraddicono e si escludono a vicenda.

L’ordinamento giuridico post rivoluzionario non riconosce uguaglianza di genere ed è stato indirizzato alla definizione della “famiglia islamica”. Nel trattare il matrimonio, il divorzio, le decisioni e le relazioni familiari, la custodia dei figli e la cura della casa ha fatto sì che tale sfera privata tornasse ad essere fortemente patriarcale e del tutto a favore del coniuge maschio, considerato il capo famiglia, annullando così molti dei progressi raggiunti prima della Rivoluzione Khomeinista. Ad esempio, alla donna non è concesso intraprendere una pratica di divorzio, mentre l’uomo può divorziare quando desidera e senza comunicazione preventiva. Oltre al divorzio a piacimento, è stato completamente ripristinato il diritto degli uomini alla poligamia, provocando tra l’altro un’epidemia di matrimoni poligami, spesso di breve durata (i cosiddetti sigheh). L’età matrimoniale è scesa dai diciotto ai tredici anni. Padri e congiunti paterni hanno di nuovo diritto alla tutela dei figli in caso di divorzio o di morte del padre, per i bambini a due e per le bambine a sette anni. Oppure alla donna non è permesso lasciare la propria casa, né fare domanda di passaporto, senza il consenso del marito.

Ed ancora. Le donne sono state considerate inferiori all’uomo, anche dal punto di vista biologico. Secondo l’ordinamento iraniano post-rivoluzionario, infatti, la vita di una donna vale la metà di quella di un uomo. Le nuove leggi inoltre non contemplano la testimonianza di donne in tribunale, a meno che non sia suffragata da uomini.

Il quadro legislativo finora esaminato illustra sinteticamente la condizione delle donne iraniane soprattutto durante il decennio khomeinista, sebbene tale legislazione sia rimasta in vigore sino ai nostri giorni. Tuttavia, nel corso degli anni si sono susseguiti molteplici ed altalenanti sviluppi.

Il Presidente Rafsanjani si oppose alle pene più severe previste dal codice penale, riuscendo a limitare parzialmente i controlli sul velo; promosse l’occupazione femminile; rilanciò le università, favorendo maggiormente l’accesso alle donne.

Ed una circolare del 2008 ha imposto alle società di assicurazione un uguale risarcimento per uomini e per donne.

Ed ancora. In materia del diritto di famiglia è da anni in vigore il “principio di competenza” per la custodia dei figli, secondo il quale, in caso di divorzio, i minori devono essere affidati al genitore più “competente” a seguirli, per cui sempre più spesso alla madre e non più al padre, come sanciva la legislazione del periodo khomeinista.

Un altro esempio è costituito dal rigetto della proposta di legge per la protezione della famiglia del 2007 è stata respinta a maggioranza dal Parlamento perché altamente discriminatoria nei confronti della donna.

CONCLUSIONI

Rispetto dunque alle cause delle proteste dell’autunno del 2022 e dell’inverno successivo si può quindi avanzare una diversa ipotesi eziologica: e cioè che l’avvio e la diffusione della rivolta sono dovute anche alle profonde sensibilità, cultura e consapevolezza delle iraniane e degli iraniani (e quindi della società iraniana). Che avvertono profondamente e ben conoscono la natura composita e complessa della civiltà iraniana e persiana – di antichissima storia - dell’approccio del popolo iraniano rispetto alla realtà umana e delle cose ispirato a curiosità ed interesse rispetto alle novità ed alle sollecitazioni che provengono dal resto del mondo, e che sono, infine, ben consapevoli della tradizione giuridica peculiare dell’Iran.

Queste sensibilità, cultura e consapevolezza riguardano  anche la sfera del diritto, sia nel senso della tradizione del primato del diritto nella vita sociale del Paese sia nel senso dei diritti di cui ciascun membro della società iraniana è titolare.

Per cui può affermarsi che, in realtà, l’attuale indirizzo reazionario, integralista ed antiumano del regime iraniano si sta dimostrando contrario non solo ai diritti umani ed alle libertà individuali e sociali; esso si sta ponendo contro la stessa identità complessa della società e della cultura iraniana.

                                                           (Avv. Marco Pellegrini)

26-05-2023
Autore: Marco Pellegrini
Avvocato
meridianoitalia.tv