di Gloria Annovazzi

Anche negli archivi di famiglia, come in quelli storici, ci sono libri, documenti, fotografie e carte, ma, ancor più, vi si trovano gli zii e i nonni a far da perno della memoria, a ricordarci da dove veniamo. E sono proprio gli anziani i nostri archivi di riferimento, la nostra bussola, sia perché possono andare più a ritroso nel tempo di quanto noi non saremmo in grado di fare, sia perché hanno avuto la tenacia e la pazienza di conservare e preservare il passato con cura, di farne insomma tesoro.

Così, quando qualcuno vuole ritrovare le proprie tracce, telefona a quello zio o a quel nonno (o nonna) chiedendogli :«Ti ricordi come si chiamava il tizio che nonno incontrò a Fiume nel 1941?» O ancora :«Chi vi aveva accolti a Marina di Pietrasanta dopo aver lasciato Fiume? E cosa ti diceva allora la nonna, era dispiaciuta di andarsene, come stava?» E allora cominciano i racconti, sempre conditi di quell’indelebile lessico familiare, con parole ignote ai più, ma così precise ed evocative per chi le ha ascoltate sin da bambino. Peraltro Fiume è una pietra miliare della storia italiana, pietra troppo spesso trascurata dalle autorità, ma non dagli storici, come ad esempio Raoul Pupo.

Successivamente accade quello che non ci si aspetta: il decano della famiglia, al secolo Domenico Arpaia, decide di farne un libro per consentire a chi viene dopo di lui di possedere uno specchietto retrovisore a cui guardare con forza nei diversi periodi della vita, felici o malinconici.

A volte, soprattutto se i nonni “hanno fatto la guerra”  e non si è potuta avere la fortuna di conoscerli o di crescere con loro, nonostante i racconti a cena o nelle frequenti occasioni per stare insieme, le parole scivolano via, mentre un libro può essere riletto, sfogliato nuovamente col passare degli anni, non è più solo un vago ricordo o un sentito dire.

E l’occasione diventa ghiotta, perché i documenti raccolti sono moltissimi e assai disparati: dai fogli di licenza a quelli del ricovero, dalle lettere dell’intendenza del corpo di spedizione italiano in Russia ai lasciapassare, dalle schede di rimpatrio alla disciplina di distribuzione della legna da ardere, per poi trovare lettere con sopra scritto “prelevata per la censura, restituita alla posta”. Ci sono persino cartoline che in tedesco recitano “Dein Brief kommt schneller an!” e cioè la tua lettera arriva più velocemente. Sembra quasi una presa in giro, da far rabbia, la pubblicità della posta veloce in tempo di guerra, soprattutto se si ripensa agli internati militari italiani di cui il padre dell’autore, Alfonso fece purtroppo parte, tornando assai provato da Sandbostel, vicino Brema dopo due anni di prigionia. A sorprendere ancora, voltando pagina, si trova il Marconigramma che in italiano e in inglese assicura l’efficienza di comunicazione col mondo intero per tutta la durata del viaggio. Poi la Somalia e l’Africa orientale italiana, con tanto di cartoline delle forze armate e del partito nazionale fascista e, non da ultimo, un timbro stilizzato, come di una rondine a forma di aereo con sotto scritto “ala Littoria”: un’efficace variazione linguistica del “vinceremo” (cioè alla Littoria, prodigi della lingua italiana).

Si potrebbe obiettare che gli storici conoscono questo materiale, che gli archivi ne hanno forse a iosa, è vero, ma nella stragrande maggioranza dei casi, restano inaccessibili ai più. Peraltro, anche nella migliore saggistica, i documenti e le immagini sono sovente carenti, se non assenti. Le parole, per quanto ben scritte, non riescono a trasmettere quanto le fonti primarie, perché ritrovarsi sotto gli occhi il foglio che reca la dicitura InterniertenPost, Rueckantwortbrief (lettera di risposta) racconta immensamente di più di un manuale, avvicina a chi ha vissuto quei momenti migliorando le diottrie.

Il passato quindi raccontato passando dalle parole ai documenti prima e dalle immagini ai luoghi poi. Per questo Domenico Arpaia, grazie a questa sua autobiografia, Storia della mia vita e della mia famiglia (D’Arco, 2021), ha fornito un diverso angolo prospettico allo studio della storia che più spesso dovrebbe ricorrere alla condivisione delle fonti a disposizione, anche fosse a ‘mero’ scopo didattico. Visto che oramai imperversa la moda di abbattere le statue e abradere la toponomastica,  il ritorno al riscontro filologico delle fonti ci aiuterebbe, ben più della retorica, ad addentrarci nuovamente nel passato, a smettere di prendere lucciole per lanterne e a ritrovare, finalmente, la via di casa.

01-03-2022
Autore:  Gloria Annovazzi
Medico Chirurgo
meridianoitalia.tv