di Gilda Ricci
La scuola non ha mai smesso di svolgere il suo ruolo di fulcro culturale, relazionale e sociale nonostante i limiti della pandemia. DaD, non Dad, DDI, didattica mista e scuola in presenza hanno rappresentato, in questo secondo anno scolastico minacciato dal nemico invisibile, causa di angoscia, paure, chiusura, limiti e possibilità, un’occasione di riflessione sul senso della scuola oggi, nel terzo millennio.
Certo la tecnologia era già dentro le scuole, non tutte però; da oltre un decennio ha bussato discretamente alle porte di molte aule. Alcune sono attualmente adeguatamente attrezzate con lim, p.c., connessione internet, altre ancora prive di tutto ciò. E allora? Non si fa scuola moderna, adeguata ai tempi? Certo che si fa scuola, si organizzano tipologie di lezioni diversificate e adeguate sia alle aspettative dei bambini e delle bambine, di adolescenti sempre più fragili, che all’organizzazione del sistema scuola territoriale. Ecco che il territorio diventa risorsa se dialogante, limite se resta rigido nei confini delle sue singole istituzioni.
La scuola è sicuramente un sistema complesso che proprio per questa ragione ha un estremo bisogno di dialogo come i suoi attori sociali, studenti, genitori, docenti, dirigenti e personale scolastico, veri protagonisti del rapporto educativo, formativo, pilastri fondanti di questo edificio senza manutenzione. Se le scuole italiane sono state , soprattutto in alcuni territori trascurate, da investimenti sia in ambito edilizio che strutturale, attenzionati solo per eventi di cronaca passeggeri, oggi più che mai il mondo scuola ha riempito le pagine dei giornali tra chiusure, aperture a singhiozzo tra altalenanti percentuali di rientri in presenza, a seconda dell’arcobaleno geografico regionale di un paese sempre più diviso sulla considerazione del lavoro degli insegnanti.
Va precisato, anche con determinazione, che la scuola italiana non ha mai chiuso. Se gli edifici hanno chiuso le aule, e non gli uffici, ad alunni di varie età a seconda dei casi, un esercito di insegnanti dalle isole alle montagne, tra pianure e città ha in ogni modo tentato di restare connesso, oltre le linee interattive, utilizzando la propria linea telefonica, il proprio tempo senza orari scanditi da campanelle e riunioni previste, a completa disposizione delle famiglie e dei ragazzi.
Dirigenti e personale tutto della scuola hanno, in tempi brevissimi, disposto device per raggiungere ovunque chi dietro l’impossibilità di connessione nascondeva disagio e paura, rabbia e dolore, solitudine ed isolamento a volte volontario, scelto. Ecco questa scuola “militante”, termine ormai in disuso in una scuola sommersa dalla burocrazia a scapito del sapere e degli strumenti necessari ad un percorso di crescita nella conoscenza, ha continuato imperterrita a cercare soluzioni, senza aspettare interventi di istituzioni altre. Come sempre questa scuola si è messa in moto con energia propria, ha lavorato dimenticando orologi e scadenze, per non lasciare indietro nessuno. “ Non uno di meno” recitava uno slogan di qualche decennio fa, nessuno escluso e allora ecco a pioggia i progetti inclusione ma solo per quelle che erano le cosiddette scuole a rischio. Ora tutte le scuole lo sono a rischio, a rischio burnout, stress da lavoro correlato, come preferiamo definirlo nelle migliori contrattazioni integrative.
E quindi? Cosa si fa, alla fine del secondo anno di corrente alternata, di ping pong tra decreti e ordinanze, circolari emanate la domenica per il lunedì successivo, telefonate, messaggi continui? Si recupera , si organizzano attività laboratoriali per i mesi estivi, si discute, ci si riunisce fino a tarda sera in piattaforme prima sconosciute ed ora diventate consuetudine comunicativa. Ma la relazione? Il contatto? Gli sguardi? Le emozioni della scuola – comunità sono ancora solide o diventate sempre più fluttuanti in un oceano di incertezze?
Forse sì, forse no, forse…
Noi ne vogliamo discutere, abbiamo ancora voglia di affrontare i dubbi , le incertezze per ricostruire, ripartire , ma necessariamente insieme, andando oltre le difficoltà, per guardare alla scuola da un punto di vista diverso, nuovo e maggiormente inclusivo.
Ci confronteremo tra docenti, genitori, studenti, pedagogisti, associazioni, enti locali, istituzioni preposte e disposte al cambiamento dentro una crisi epocale che ancora ci soffoca ogni giorno, ma per aprire al dialogo appunto senza barriere e limiti di appartenenze corporative.
Vogliamo in una tavola rotonda, per ora ancora virtuale online, che la scuola , fulcro e volano di crescita e di ricostruzione personale e collettiva, sia il vero centro di un dibattito a più voci, per ascoltare le esigenze di tutti , nel rispetto di bisogni e necessità legate ai territori, alla diversità di quegli spazi non solo fisici ma mentali, relazionali, formativi.
Esistono esperienze didattiche utili ad un ragionamento di senso sulla scuola che andrebbero recuperate e valorizzate, come il progetto”Outdoor Education” ,già molto proficuo sul territorio emiliano , immaginato nel dicembre 2020 anche a Salerno, in Campania, per ora tra cinque scuole d’infanzia e primarie della provincia salernitana( Vietri sul Mare, Nocera Inferiore e Salerno città) e un liceo sperimentale , diventato finalmente una realtà. Se la scuola al chiuso rappresenta ancora un problema per un rientro in aula al cento per cento, nonostante distanze e mascherine, non lo è all’aperto anche laddove le scuole non hanno spazi adeguati, giardini o cortili. Ecco che in ogni quartiere è possibile nei dintorni degli edifici scolastici trovare giardini, spiagge in una città di mare, o cortili nel rispetto delle norme di sicurezza per poter fare “scuola”, percepire e vivere spazi fuori le mura, luoghi spesso abbandonati da risistemare, coinvolgendo associazioni ed enti locali. Non si tratta di uscite didattiche sporadiche e limitate alla gita fuori porta, ma di pratiche didattiche che il nord Europa ha consolidato da anni, perché lì al centro lo Stato ha scelto di mettere la scuola, investendo non solo e meramente risorse economiche ma idee, formazione, in un’ottica di pedagogia politica.
Le istituzioni hanno l’obbligo, il dovere di operare tutte in sinergia per poter affermare che l’educazione civica non è una materia, né una disciplina, ma un percorso educativo condiviso, un patto formativo tra alunni e docenti, tra famiglie e scuola, tra scuola e istituzioni che forse anche grazie ad una crisi di valori e non solo sanitaria, ma sociale, relazionale, di comunicazione interrotta possa rivedere il ruolo della politica, dell’economia, dei diritti negati o meno. Per tutto ciò da docente e da presidente di un’associazione socio- culturale, nata durante una pandemia che ci ha cambiato la vita, vorrei ricominciare da tre e non da zero, come in un film di Troisi, che ci lascia il sorriso e non solo l’amarezza di ciò che è stato e che spero qualcosa ci abbia insegnato.