di Luigi Giorgi
Nell’anno in cui il Partito comunista italiano celebra i cento anni della nascita, la sua storia perde uno degli esponenti più importanti come era Emanuele Macaluso. Che dirigente di quel partito è stato per tanti anni, partendo dalla Sicilia, dalle lotte del lavoro fatte con la Cgil, per arrivare a dirigere il quotidiano di Partito “l’Unità”. Che lo stesso Macaluso ha definito l’esperienza più ricca e gratificante fatta: «Fu l’occasione per dare uno sbocco a una mia personale tendenza al lavoro giornalistico, e mi diede la possibilità di conoscere un mondo diverso da quello che avevo frequentato» (Macaluso, 50 anni nel Pci, Soveria Mannelli 2003, p. 225).
In questa fase di ricostruzione storica e politica delle vicende, particolari, eterodosse e ortodosse allo stesso tempo, del comunismo italiano, mancherà ancor di più la sua voce e la sua visione, per certi versi lontana da eccessive ricostruzioni agiografiche delle vicende del Pci. Ma allo stesso tempo, con i piedi ben piantati nella tradizione, e nella storia, del partito comunista più grande dell’occidente.
Una analisi che avrebbe saputo condurre, nella ricostruzione storica di quella esperienza, con acutezza, individuando pregi e limiti di tutta la vicenda.
Responsabile della Cgil siciliana sarà deputato regionale comunista negli anni turbolenti della vicenda Milazzo. Venne chiamato da Togliatti nel Comitato centrale, entrando quindi in segreteria. Egli si riconoscerà, in seguito, nelle posizioni cosiddette “miglioriste” assieme a Giorgio Napolitano e Paolo Bufalini. Istanze che facevano riferimento ad alcune riflessioni di Giorgio Amendola. E che consistevano in un sostanziale riformismo e ricomposizione delle forze della sinistra, proponendo, come ha scritto Paolo Pombeni, di fronte al presunto fallimento del centrosinistra degli anni Sessanta: «un’alleanza fra la classe operaia e altre forze politiche e sociali per avviare una riforma delle strutture dello Stato e una “programmazione democratica” dello sviluppo economi» (Pombeni, Sinistre, Bologna 2021, 97). Uno sguardo che intendeva superare divisioni e fratture e che si poneva in maniera costruttiva e dialettica con il mondo socialista. Scriveva Amendola su “Rinascita” nel 1964: «L’esigenza di un partito unico della classe operaia italiana nasce da una constatazione critica: nessuna delle due soluzioni prospettate alla classe operaia dei paesi capitalistici dell’Europa occidentale negli ultimi cinquanta anni, la soluzione socialdemocratica e la soluzione comunista, si è rivelata fino ad ora valida al fine di realizzare una trasformazione socialista della società» (in Flores - Gozzini, Il vento della rivoluzione, Roma - Bari 2021, XV). Su queste riflessioni amendoliane ha ricordato Macaluso come: «il vero problema che poneva Amendola era quello della collocazione e dalla natura del PCI, insomma di uno spostamento di questa forza dall’area comunista all’area socialista» (Macaluso, cit., 150 -1). Componente della segreteria Longo e in seguito Berlinguer (definito il segretario più amato), assumerà, anche in modo non allineato al suo mondo di provenienza un profilo garantista rispetto alle spinose questioni della giustizia degli anni Novanta.
Degli anni Ottanta rammenterà le difficoltà del rapporto con il socialismo craxiano, di cui individuava capacità, errori e responsabilità. Scrivendo come: «di fronte all’esaurimento del rapporto tra Dc e socialisti, come asse del vecchio centrosinistra, del Pentapartito, della “governabilità possibile”, il PCI rimase come paralizzato dentro la sua stessa storia e dentro la svolta berligueriana» (Macaluso, cit., 222).
Emanuele Macaluso è stato espressione importante di una classe dirigente, quella della cosiddetta prima Repubblica. Un insieme di uomini politici, di maggioranza e opposizione che ha lavorato con competenza, e sensibilità per il bene comune. Nel quadro delle difficili tensioni di un mondo diviso fra Est e Ovest. E che pure nelle profonde differenze ha saputo trovare un filo comune di confronto e condivisione. In grado di creare e sostenere processi di integrazione e cittadinanza democratica.
Mancherà dunque Emanuele Macaluso. Mancherà alle persone libere, che sono, però, salde nella propria tradizione, e a chi esercita la critica e la libertà di pensiero. Mancherà alla storia della Repubblica soprattutto in questi anni e in questo periodo così difficile.