Il 24 maggio 2020 ricorre il quinto anniversario dell’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ sulla cura della nostra “casa comune”. Per celebrare tale importante ricorrenza, è stata indetta la “Settimana Laudato si’ ” dal tema “Tutto è connesso”, terminata con l’invito alla recita di una preghiera in tutto il mondo a mezzogiorno ora locale.
La coincidenza di tale anniversario con la pandemia del Covid-19, che ha evidenziato le interconnessioni e le interdipendenze che vi sono a livello mondiale, rende ancora più profetica la Laudato si’ «dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale» (Ls, 137).
Proprio oggi 24 maggio, come lo stesso Papa Francesco ha annunciato dopo l’odierna preghiera del Regina Coeli, in continuità con la “Settimana Laudato si’ ”, si apre un intero “Anno speciale” dedicato alla Laudato si’, organizzato dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale (Dssui), una sorta di “Giubileo per la Terra” per richiamare tutti all’urgenza di una indifferibile “conversione ecologica in azione”.
L’obiettivo, rivolto a tutti e ai cattolici in particolare, è quello di pregare, riflettere e prepararsi, al fine di promuovere sempre più, a livello personale e comunitario, le migliori pratiche per un futuro più giusto e sostenibile. L’approfondimento sull’ecologia integrale ci aiuta a capire che “tutto è connesso” tra Dio creatore, la madre terra e tutte le specie viventi e soprattutto le donne e gli uomini che abitano la terra.
L’augurio è che questo sia anche un tempo di grazia nel quale si possa creare attraverso un “movimento popolare” dal basso, un’alleanza tra tutte le persone di buona volontà affinché tutti possano «collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità» (Ls, 14) per rispondere, in definitiva, alla stessa domanda di Papa Francesco: «che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (Ls, 160).
Introduzione all’enciclica Laudato si’.
La lettera enciclica Laudato si'[1] di Papa Francesco si può dire che rappresenti la “summa” del magistero della Chiesa cattolica riguardo una vera e propria visione del mondo e dell’umanità in relazione all’ambiente tramite il concetto dell’ecologia integrale.
Pur facendo parte integrante del Magistero sociale della Chiesa, l’enciclica si rivolge ad ogni abitante della terra, proponendosi di entrare in dialogo con tutti, a proposito dei problemi della “casa comune”, perché «questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei»[2].
Ispirandosi alla vita ed all’azione di San Francesco d’Assisi «esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità»,[3] Papa Francesco afferma che «la sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale».[4]
Continua dunque una lunga tradizione della Chiesa cattolica nell’affrontare tali argomenti e vengono citati Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che sempre più hanno trattato le tematiche riguardanti la cura della “casa comune”, così come vengono citati esponenti di altre confessioni cristiane e, ancora più, documenti di episcopati nazionali della Chiesa cattolica di tutti i continenti.
Il Papa parla quindi del clima come bene comune: «esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi meteorologici estremi, a prescindere dal fatto che non si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare. L’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano.
[…] Numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto ed altri) emessi soprattutto a causa dell’attività umana».[5]
«Perciò -riprende il Papa- è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di anidride carbonica e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, ad esempio, sostituendo i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile. Nel mondo c’è un livello esiguo di accesso alle energie pulite e rinnovabili. C’è ancora bisogno di sviluppare tecnologie adeguate di accumulazione».[6]
Bisogna tenere in grande considerazione il rischio dell’esaurimento di alcune risorse naturali; è infatti definita come una menzogna «la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che “esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti”[7]»[8].
Da ciò quindi l’importanza dell’acqua («l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani»)[9], così come l’importanza della biodiversità e la cura degli ecosistemi e dunque la necessità di investire sempre di più nella ricerca.
Tutto ciò senza dimenticare che «un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri»[10].
Bisogna «rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future»[11].
Il Papa tiene a sottolineare che non è un problema di per sé la crescita demografica; caso mai bisogna prestare attenzione allo squilibrio nella distribuzione della popolazione sul territorio.
Al tempo stesso si ha chiaramente un «“debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud, connesso a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni paesi»[12] anche se «nel cambiamento climatico ci sono responsabilità diversificate. […] Bisogna rafforzare la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana. Non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza».[13]
Viene quindi affermata la grande importanza della politica a cui «si richiede […] una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti»[14].
«Su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione. Basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune».[15]
Molto importante è l’auspicio di un costante rapporto tra scienza e religione «che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe»[16].
In definitiva, «si richiede una preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gli esseri umani e un costante impegno riguardo ai problemi della società»[17].
In modo simile a quanto affermato nell’articolo 42 della Costituzione italiana a proposito della proprietà privata[18], viene ribadito che «il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale. […] La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata»[19].
Bisogna evitare che l’economia assuma «ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano»[20].
La finanza non può e non deve soffocare l’economia reale e bisogna trarre insegnamenti positivi dalla recente e grave crisi finanziaria mondiale.
Alcuni continuano a pensare che l’attuale sistema economico e la tecnologia possano risolvere tutti i problemi ambientali e che «i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato»[21].
La Chiesa cattolica ritiene convintamente che il mercato da solo non possa garantire lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale.
Al tempo stesso ritiene che non vi possa essere vera ecologia senza un’adeguata antropologia e quindi è necessario passare da una cultura del dominio ad una cultura della custodia della “casa comune”: «l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile»[22].
Per arrivare a ciò, è necessario rinunciare ad una cultura del relativismo (senza «verità oggettive né principi stabili»[23]) e ad una logica dell’“usa e getta”.
L’ecologia integrale deve comprendere le dimensioni umane e sociali.
La natura non è qualcosa di separato da noi, perché siamo inclusi in essa.
Il Papa quindi indica varie forme di ecologia («studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano»[24]) che hanno bisogno di essere integrate tra loro: accanto all’ecologia ambientale (che fa riferimento alla relazione tra la natura e la società che la abita) vi è un’ecologia economica, un’ecologia sociale e perfino un’ecologia delle cose quotidiane, perché «l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa»[25].
Si può parlare anche di ecologia culturale per quanto attiene la cura delle ricchezze culturali dell’umanità e, come sostenuto da Papa Benedetto XVI, un’ecologia dell’uomo perché «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere»[26].
Inoltre, l’ecologia umana è inseparabile dal concetto di bene comune («l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente»[27]) che riguarda sia le attuali generazioni che quelle future e tra le quali non può mancare una necessaria solidarietà insita nello stesso concetto di sviluppo sostenibile.
L’ambiente, infatti, «è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva»[28], quindi, «quando si parla di “uso sostenibile” bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori e aspetti»[29].
Un grande rischio da evitare è quello dell’individualismo personale e sociale che si contrasta assumendo un convinto atteggiamento di solidarietà sia intergenerazionale, che intragenerazionale.
Al fine di proporre cure efficaci non si può non tenere in considerazione che in un mondo così interdipendente, le soluzioni vanno individuate a partire da una prospettiva globale.
«L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune. […] Si rende indispensabile un consenso mondiale che porti, ad esempio, a programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza energetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e marine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile»[30].
Nell’Enciclica vengono menzionate le grandi conferenze internazionali, a partire da quella di Rio de Janeiro del 1992, quella di Stoccolma del 1972, con le conseguenti dichiarazioni finali.
In particolare, viene ricordato che la Dichiarazione di Stoccolma del 1972, «ha sancito, tra l’altro, la cooperazione internazionale per la cura dell’ecosistema di tutta la terra, l’obbligo da parte di chi inquina di farsene carico economicamente, il dovere di valutare l’impatto ambientale di ogni opera o progetto. Ha proposto l’obiettivo di stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera per invertire la tendenza al riscaldamento globale. Ha elaborato anche un’agenda con un programma di azione e una convenzione sulla diversità biologica, ha dichiarato principi in materia forestale»[31].
«Benché quel vertice sia stato veramente innovativo e profetico per la sua epoca, gli accordi hanno avuto un basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze. I principi enunciati continuano a richiedere vie efficaci e agili di realizzazione pratica»[32].
Vengono inoltre menzionate, quali esperienze positive, «la Convenzione di Basilea sui rifiuti pericolosi, con un sistema di notificazione, di livelli stabiliti e di controlli; come pure la Convenzione vincolante sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatica minacciate di estinzione, che prevede missioni di verifica dell’attuazione effettiva»[33].
«Grazie alla Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di ozono e la sua attuazione mediante il Protocollo di Montreal e i suoi emendamenti, il problema dell’assottigliamento di questo strato sembra essere entrato in una fase di soluzione»[34].
Vengono invece deplorati gli scarsi risultati per quanto riguarda la lotta ai cambiamenti climatici: «la riduzione dei gas serra richiede onestà, coraggio e responsabilità, soprattutto da parte degli Stati più potenti e più inquinanti. La Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile denominata Rio+20 (Rio de Janeiro 2012), ha emesso un’ampia quanto inefficace Dichiarazione finale. I negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale. […]
Le generazioni future non soffrano le conseguenze di imprudenti indugi»[35].
Anche la recente «strategia di compravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamento radicale all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni paesi e settori»[36].
Cosa fare dunque?
Tenendo presente che «la grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine»,[37] ecco alcune proposte concrete:
«promuovere forme di risparmio energetico. Ciò implica favorire modalità di produzione industriale con massima efficienza energetica e minor utilizzo di materie prime, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci dal punto di vista energetico o più inquinanti. Possiamo anche menzionare una buona gestione dei trasporti o tecniche di costruzione e di ristrutturazione di edifici che ne riducano il consumo energetico e il livello di inquinamento»[38];
è importante la continuità di una «sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose»[39];
nei casi di gravi minacce all’ambiente e a chi lo abita, è opportuno adottare sempre il principio di precauzione (come anche indicato nella Dichiarazione di Rio del 1992) per garantire la protezione dei più deboli.
«Se l’informazione oggettiva porta a prevedere un danno grave e irreversibile, anche se non ci fosse una dimostrazione indiscutibile, qualunque progetto dovrebbe essere fermato o modificato. In questo modo si inverte l’onere della prova, dato che in questi casi bisogna procurare una dimostrazione oggettiva e decisiva che l’attività proposta non vada a procurare danni gravi all’ambiente o a quanti lo abitano»[40].
Papa Francesco quindi afferma: «la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune»[41].
Ciò premesso, ritiene che sia «arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti»[42], ricordando, come disse Benedetto XVI, che «è necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di energia e migliorando le condizioni del suo uso»[43].
«Si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso»[44].
Il Papa quindi, esalta l’importanza ed il ruolo della politica, («abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi»)[45], all’interno della quale è corretto che si svolga l’attività economica e menziona il principio di sussidiarietà, che «conferisce libertà per lo sviluppo delle capacità presenti a tutti i livelli, ma al tempo stesso esige più responsabilità verso il bene comune da parte di chi detiene più potere»[46].
«La coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini»[47].
Siamo davanti ad una grande sfida educativa che deve essere finalizzata alla creazione di una “cittadinanza ecologica” che faccia maturare e consolidare delle abitudini. «L’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale»[48].
«L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. […] Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità»[49].
Nella parte finale dell’Enciclica, viene citata e richiamata la “Carta della Terra”[50], dichiarazione di principi presentata all’Aja il 29 giugno 2000, che riguarda soprattutto l’ambiente e riconosce l’interdipendenza e l’indivisibilità tra protezione dell’ambiente, diritti umani, sviluppo umano equo e pace e perché «la coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini»[51], in una vera e propria “conversione ecologica”.
E’ necessaria quindi una “cultura della cura” rivalutando la dimensione dell’amore nella vita sociale.
[1] Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune, Città del Vaticano, 2015; [2] Ibid., 2; ; [3] Ibid., 10; [4] Ibid., 13; [5] Ibid., 23; [6] Ibid., 26; [7] Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 462[8] Francesco, Laudato si’, 106; [9] Ibid., 30; [10] Ibid., 49; [11] Ibid., 53; [12] Ibid., 50; [13] Ibid., 51; [14] Ibid., 57; [15] Ibid., 61; [16] Ibid., 62; [17] Ibid., 91; ; [18] «La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale»[19] Francesco, Laudato si’, 93; [20] Ibid., 109; [21] Ibid., 109; [22] Ibid., 116; [23] Ibid., 123; [24] Ibid., 138; [25] Ibid., 141; ; [26] Discorso al Deutscher Bundestag, Berlino (22-9-2011): AAS 103 (2011), 668; [27] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 26;; [28] Conferenza episcopale portoghese, Lettera pastorale Responsabilidade solidária pelo bem comume (15-09-2003), 20 [29] Francesco, Laudato si’, 140; [30] Ibid., 164; [31] Ibid., 167; [32] Ibid., 167; [33] Ibid., 168; [34] Ibid., 168; [35] Ibid., 169; [36] Ibid., 171; [37] Ibid., 178; [38] Ibid., 180;[39] Ibid., 180;[40] Ibid., 186;; [41] Ibid., 188; [42] Ibid., 193; ; [43] Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2010, 9: AAS 102 (2010), 46.;[44] Francesco, Laudato si’, 194; [45] Ibid., 197; [46] Ibid., 196; [47] Ibid., 209; [48] Ibid., 211; [49] Ibid., 211; [50] Si veda: http://www.cartadellaterra.it; [51] Francesco, Laudato si’, 209;