Istruzione e colonialismo: quando l’Italia costruiva scuole, strade e moschee

di Mario Nardicchia

“«Crescit interea Roma Albae ruinis».

Quegli che disegnono che una città faccia grande imperio, si debbono con ogni industria ingegnare di farla piena di abitatori; perché sanza questa abbondanza di uomini, mai non riuscirà di fare grande una città. Questo si fa in due modi, per amore e per forza”.  (Niccolò Machiavelli –“Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio”. Libro secondo, III).

Secondo i sussidiari italiani di pochi anni fa per il quinto anno della scuola primaria, nel fascicolo “Storia e studi sociali”, si leggeva letteralmente che le grandi potenze mondiali così motivarono la propria spinta al colonialismo tra l’ ‘800 ed il ‘900:

-si doveva portare la civiltà ai popoli selvaggi;

-si doveva estendere la fede cristiana a popolazioni pagane;

-occorreva punire qualche popolazione perché aveva ucciso un missionario o un esploratore.

I testi di storia per l’ultimo anno della Scuola secondaria di primo grado riformata, ovvero per la vecchia e gloriosa Scuola Media, insegnavano ai nostri adolescenti che le politiche europee di espansione coloniale nel periodo citato poggiavano su:

-il senso del prestigio politico e militare dello Stato;

-l’ idea della superiorità di alcune razze sulle altre;

-la crescita demografica.

I trattati di storia, infine, in uso negli Istituti del secondo ciclo del nostro Sistema educativo di istruzione, facevano affondare le radici del colonialismo:

- nella grande depressione economica verificatasi nel periodo 1873-1896 in cui fu coinvolto il capitalismo europeo;nardicchia2

-nello spirito delle esplorazioni europee di natura scientifica, geografica ed antropologica nel continente africano;

-nelle idee professate da pensatori come Nietzsche, o da letterati -per il nostro Paese- quale il “vate” pescarese Gabriele D’Annunzio.

Fatto sta che anche l’Italia fu contagiata dal virus del colonialismo e dell’imperialismo, tanto che in un volumetto apparso nel 1937-XV° anno dell’era fascista, prezzo £.4,50, facente parte della collana «“Piccole guide di cultura” e per la preparazione agli esami di concorso», dal titolo “Italia d’oltremare”, autore Carlo A.Avenati, Editore G.B.Paravia & C.-Torino- Corso Vittorio Emanuele II,199, si legge al Capo I: “Chiamiamo Italia d’Oltremare le terre al di là dei mari che bagnano il territorio del Regno e sulle quali s’innalza la bandiera d’Italia. Vale a dire la Libia, l’Etiopia e le isole italiane dell’Egeo. Vi si potrà aggiungere, ma soltanto per certi aspetti, la Concessione italiana di Tien Tsin (porto di Pechino, Cina-ndr).

Ebbene, i patri confini assunsero così un significato particolare, tenuto conto anche del discorso del Duce ai deputati fascisti il 25 maggio 1935-XIII: “Tutte le frontiere, e le metropolitane e le coloniali, sono indistintamente sacre”, concetto questo importante da far passare in quanto, come si vedrà più avanti, servirà a giustificare delle spese che il Governo affronterà non solo per costruire infrastrutture, ma anche in campo religioso islamico, soprattutto in Libia.

Ora, tralasciando l’approfondimento sui fautori del colonialismo (Alfredo Oriani: “…l’Italia che è stata due volte il centro del mondo, risorta oggi Nazione, non può sottrarsi a quest’opera di incivilimento universale…”, Cavour, Umberto I, Crispi; “il posto al sole” per l’Italia, “grande proletaria” secondo il Pascoli, pervenuta -a detta della propaganda del regime- a “nazionalità compiuta”) registriamo l’avvio  –all’indomani della Conciliazione dell’11 febbraio 1929-VII (i cosiddetti Patti Lateranensi, sottoscritti da Mussolini e da Monsignor Gasparri, costituiti da un trattato e da un concordato il quale ultimo riconosceva nel “cattolicesimo” la religione dello Stato italiano) che tiene fuori ed al riparo il Vaticano, ma che permetterà comunque al Duce di dichiararsi, come vedremo, garante del rispetto «alle leggi» del Profeta quando i guerrieri libici gli offriranno, nel marzo del 1937-XV, la «spada dell’Islam».-  della cosiddetta “iniziativa” imperialistica nostrana dal volto, secondo la propaganda, spiritualistico che “diventa una sola cosa con il nostro nazionalismo o, se si preferisce, una sua logica conseguenza. La spiritualità dell’imperialismo italiano sta proprio in ciò che l’Italia esprime, attraverso le conquiste d’oltremare, un aspetto della propria Iniziativa, vale a dire la propria civiltà, ed ivi la coltiva né più né meno di come la coltiva nel territorio del Regno” (Capitolo I, punto I dell’op. cit.).

In verità le mire di occupazione coloniale in Africa e nella lontana Cina risalgono al Cavour e, successivamente, a dopo l’unità d’Italia del 1861.

La Libia, in particolare, così attuale da qualche lustro, era già nei sogni espansionistici di Cristoforo Neri fin dal 1863. Ci volle però la dichiarazione di guerra alla Turchia, che l’occupava, da parte dell’Italia, il 29 settembre 1911 e che portò con sé una serie di battaglie per un anno intero, fino al Trattato di Pace con gli stessi Ottomani firmata a Ouchy (Losanna) il 18 ottobre 1912,nardicchia3 per conseguire il famigerato “posto al sole”. Un altro storico del regime, Augusto Lizier, in analogo volumetto della medesima Collana ma dal titolo “La storia italiana dal Risorgimento al Fascismo”, pag.48, così sintetizza la fine della guerra, con tono di “reconquista”: “La Turchia così si indusse alla pace. All’Italia restava il dominio della Tripolitania e della Cirenaica, che vennero comprese sotto il nome di Libia, ed il dominio del Dodecanneso. Così l’Italia rafforzava la sua posizione nel Mediterraneo con la riconquista di terre che serbano ancora le imponenti tracce del dominio di Roma, o di isole, sulle quali, in tempi più recenti, Venezia aveva fatto sventolare il vessillo di San Marco”.

Torna alla mente, a tal proposito, il perpetuarsi dei fasti del passato anche nei testi non prettamente storici o epici. Ecco, ad esempio, come Giuseppe Lipparini, autore  di una grammatica per le scuole medie inferiori del dopoguerra, “La nostra lingua”, Ed. Carlo Signorelli-Milano- 1952, £540, pag.3, classifica il nostro idioma in rapporto a quello dell’Impero della Città Eterna: “L’italiano è la continuazione del latino, cioè della lingua degli antichi Romani, signori del mondo”.

Dopo la Marcia su Roma il Duce  invia in Libia 60.000  “regnicoli” che si aggiungono ai 704.123  abitanti autoctoni (di cui 160.451 in Cirenaica) su un territorio di kmq 1.773.952, molto arido e poco adatto alle coltivazioni, ma al di sotto del quale giace quell’ immenso tesoro costituito dall’oro nero di cui, purtroppo, nessuno si accorge. I nostri rimpatrieranno dopo un cinquantennio, con l’appellativo di profughi, quando un decreto del luglio 1970 emanato dal Colonnello Gheddafi esproprierà i beni della comunità italiana.

 Le cifre sulla popolazione, così precise, sono dovute all' VIII Censimento Generale della Popolazione del Regno indetto per il 21 aprile 1936-XIV ed in occasione del quale fu stampato, a cura della “Casa Editrice “Arti Grafiche dei Comuni”- Ditta Caparrini & C.- Empoli, un “Prontuario alfabetico delle professioni”, revisionato dall’ Istituto Centrale di Statistica (lettera n.13508 Rep.III, del 15 aprile 1936-XIV), 164 pagine contenenti circa 400 voci professionali, alcune delle quali curiose, almeno per i tempi attuali: Abbacchiaro = (Posizione) padrone – (Ramo di attività) Macelleria di ovini; Giocatore di calcio = impiegato – Società Giuoco Calcio; Rabbino = avvocato – Studio legale; Sarmataro = operaio – Lavorazione delle carogne; Sciuscellaro = padrone – Vendita ambulante di carrube; Ernista = artigiano con o senza dipendenti – Fabbrica di cinti erniari; Eccentrico = libero professionista – Spettacoli di varietà.  Veniamo alla scuola: Insegnante di ballo, di canto, di equitazione = libero professionista – Scuola di ballo, di canto, di equitazione; Insegnante di ginnastica = impiegato – Regio Istituto Tecnico; Insegnante di musica, nuoto/scherma, scuole private, insegnante di tedesco = impiegato – rispettivamente: Comune, Società sportiva, Scuola privata, Istituto Superiore di Commercio. Alla professione di Maestro, risulta: Maestro di banda = impiegato – Comune; Maestro di canto = libero professionista – Scuola privata di canto; Maestro di ginnastica = impiegato – Regio Istituto Tecnico; Maestro di musica = impiegato – Comune; Maestro = impiegato – Scuola elementare; Direttore didattico = direttore – Scuole elementari; Preside = dirigente – Regio Liceo Ginnasio; Ispettore scolastico = impiegato – Regie Scuole elementari.

Torniamo alla Libia. Tripoli è la metropoli, sede del Governo, con 100.000 abitanti. Bengasi è la città principale della Cirenaica e la seconda di tutta la Libia, con 50.000 abitanti.

La religione è la “mussulmana-ortodossa” (rito sunnita); 50.000 cattolici; 24.000 ebrei. La lingua comunemente parlata è l’arabo; in certe tribù si parla il berbero. Ma a quell’epoca l’italiano è compreso da tutti.

Con la Grande Guerra il dominio italiano sulla Libia si era, in effetti, indebolito. Nell’agosto del 1921 il Governatore Giuseppe Volpi tentò una prima fase di riconquista della Tripolitania che fu ultimata, più tardi, dal fior fiore dei “Marescialli d’Italia”: Rodolfo Graziani, Emilio De Bono e Pietro Badoglio. La riconquista della Cirenaica fu invece affidata al Governatore Bongiovanni, con licenza di essere duro, come riporta lo storico citato Carlo A. Avenati nel suo volumetto, a pag. 17: “Gli stessi benèfici risolutivi effetti l’azione fascista provocava in Cirenaica . Nel gennaio 1923 assumeva il governatorato della Colonia il generale Bongiovanni, al quale il Duce aveva dato la parola d’ordine:«Pestar sodo». Si inizia allora una politica energica, guerriera, si sciolgono i campi misti, si denunciano i patti con la Senussia ( territorio abitato dai Senussi, “confraternita mistica islamica fondata nel 1837 dall’algerino Muhammad ben Alì al-Sanusi, il cui centro era Giarabub appunto, in Libia, da dove si cercava di contrastare la colonizzazione italiana” -ndr) , si intraprendono azioni militari tutte vittoriose”. Fu in questo anno, il 1923, che venne istituita in un primo tempo la Cassa di Risparmio della Tripolitania e, successivamente, quella della Cirenaica per favorire –si disse- il credito agrario ai coloni.

Non si fa menzione, certo, delle cifre delle vittime del conflitto le quali, si saprà alla fine, ammonterebbero a varie diecine di migliaia! E’ per questo che il colonnello Gheddafi, una volta rovesciato il re senusso Sayid Muhammed Idris nel 1969 ed aver istituita la Repubblica Araba Socialista Popolare (Jamahiriya) assumendone il comando, non si stancherà di richiedere all’Italia i danni di guerra, come -ad esempio- la costruzione a  spese del nostro Governo, di un’autostrada lunga 1.800 km. sul territorio libico, tale da poter collegare l’Egitto e la Tunisia, in pratica l’allargamento della litoranea della Sirtica inaugurata nel 1937, più avanti descritta.

Il menzionato storico riporta anche che “…quando l’Italia si impegnò nella conquista d’Etiopia ( il Lizier la giustifica con queste parole:”Di fronte alle altre potenze coloniali l’Italia si trovava in una condizione di inferiorità tanto più ingiustificata quanto maggiore l’incremento della sua popolazione e maggiori i suoi bisogni di rifornimento. Si poneva per l’Italia un problema che ha trovato la sua soluzione con la guerra italo-etiopica del 1935-36”), dalla Libia diecine di migliaia di guerrieri mussulmani chiesero di combattere al nostro fianco” e che “ il 17 marzo 1937-XV, i guerrieri libici offrivano al Duce la «spada dell’Islam»”.Il giorno successivo Mussolini, dopo l’inaugurazione della litoranea libica, “annunciava con lo storico «Discorso ai Mussulmani»(con doppia –s, ndr) le leggi della giustizia di Roma: L’Italia fascista intende assicurare alle popolazioni mussulmane della Libia e dell’Etiopia la pace, la giustizia, il benessere, il rispetto alle leggi del Profeta, e vuole inoltre dimostrare la sua simpatia all’Islam e ai mussulmani del mondo intero”. Da notare, evidentemente, il forte valore semantico dell’espressione “rispetto alle leggi del Profeta” e non già “delle leggi”..

Intanto, dieci anni prima, il 15 aprile 1928, da Roma in treno erano partiti il Re Vittorio Emanuele III, la Regina Elena di Montenegro e le Principesse Giovanna e Maria alla volta di Siracusa ove s’imbarcarono sulla nave reale “Savoia”, scortata dalle navi Venezia, Duilio e Cavour e fiancheggiata da due squadriglie di cacciatorpediniere, diretti a Tripoli.

Due anni innanzi, nel 1926, Mussolini in persona si era recato a Tripoli per dare “uno scossone alla colonia. Ai mussulmani di Tripoli e della Libia, ai Giovani Arabi organizzati sotto il segno e nel nome del Littorio, annunciava: <E’ incominciata una nuova epoca nella storia della Libia>” ( pag. 20 op. cit.)

Alberto Lumbroso, biografo della Casa Reale, nel volume “Elena di Montenegro Regina d’Italia”- Edizione de “La Fiamma fedele” e di “Fiamme Gialle d’Italia”, Firenze 1935-XIII, così descrive l’impatto della sovrana italiana con l’Islam: “La mattina del 21 aprile i reali partivano per Sliten, 400 Km in macchina. Il corteo era composto di dieci automobili. Ventimila arabi erano accorsi con i loro stendardi. La coltissima Donna si interessò alla visita alla Moschea di Sidi Abdussalam, il massimo e più venerato santo della regione, che visse a metà del XV secolo”. Ed ecco subito un banale avvenimento che allude al divino di cui sarebbe depositaria la Casa Reale: “Quella sera, accadde un piccolo fatto che forse ricordò alla Regina un episodio analogo che era avvenuto a Cettigne (Montenegro) nei giorni del fidanzamento. Uscendo dall’Università Islamica del Bolaba, cadde dal cielo qualche goccia di pioggia. Data la mentalità araba (!!?? -ndr), questo fatto assunse un significato pressochè miracoloso, e fu oggetto di un gran parlottare in tutte le popolazioni arabe, che ritenevano l’augusta visita essere stata benedetta perfino dal loro santone, poiché il Re Vittorioso poteva anche far piovere…”. Ed ancora: “Nell’ultimo pomeriggio del suo soggiorno, la Regina andò con il Re a visitare la Moschea di Gurgi, e fu molto commossa udendo 100 sacerdoti levare in coro la loro solenne preghiera: «Sommo Iddio, concedi vittoria gloriosa alla Maestà del nostro Re beneamato; concedigli una immensa conquista, dando vittoria ai suoi soldati; prolunga la sua vita; perpetua il suo trono; estendi i confini del suo Regno; destinagli la salute, la protezione, la gioia perenne. Tu, Allah, che sei presente su ogni cosa, darai alle nostre preghiere pronto esaudimento» (pag.134 op.cit.). Fa un certo effetto questo passo, oggi, ripensando alla figura del re concesso agli italiani, come si faceva credere all’epoca, “per grazia di Dio e per volontà della Nazione”!

Ovviamente, già allora le cifre erano evocate a sottolineare e propagandare le differenze tra il prima ed il dopo. Eccone alcune tratte dal citato volumetto  “Italia d’Oltremare”( pag. 18): «Un’occhiata alle spese bilanciate annualmente per opere pubbliche e un confronto tra quanto si faceva prima e quanto si fa dall’avvento del Fascismo, sono eloquenti più di lunghi discorsi. Per la Tripolitania: nel 1919 spesa per opere pubbliche £ 1.270.000, nel 1935 £ 34.100.000; per la Cirenaica nel 1922  £ 13.477.000, nel 1935  £  40.801.080. Fra le opere pubbliche bisogna ricordare prima di tutto il rifiorimento della città di Tripoli. Bengasi è stata totalmente trasformata: oltre al Palazzo del Governatore, al Teatro, alle Scuole, agli Ospedali, alla Cattedrale, al lungomare, basterà ricordare il nuovo porto iniziato nel 1929 e ormai pronto. E’ costato oltre 200 milioni».

Ma fu nella costruzione delle strade che l’Italia si distinse, riprendendo la tradizione romana: «La litoranea libica, inaugurata nel marzo dell’anno XV dal Duce, lunga 1822 km, con oltre 100 case cantoniere, larga 7 metri, 4.510.000 giornate di lavoro, superficie d’asfalto di 4.000.000 di mq, 5 milioni di mc di terra mossi, è costata 103.000.000 di lire».

In fatto di istruzione e di religione, che costituisce lo scopo principale di questa ricerca, seguiamo cosa fa rilevare Carlo A. Avenati: «Il Governo fascista, rispettoso delle credenze religiose dei mussulmani, ha creato numerosissime moschee in Libia (21 nella sola Tripolitania, fra cui quella famosa di Sidi Hamuda); ha provveduto alla educazione scolastica di tutti i ragazzi indigeni creando, accanto alle scuole primarie e medie per i giovani italiani, scuole di arti e mestieri e professionali per gli indigeni». Come dire: istruzione riservata agli italiani, futura classe dirigente nei territori colonizzati; formazione professionale agli autoctoni occupati, futura classe operaia.

Ma c’è di più, addirittura l’apertura di una madrasa: “(Il Governo fascista) ha poi inaugurato a Tripoli una vera Università Islamica e cioè la «Scuola Superiore di Cultura Islamica» i cui corsi durano dieci anni e donde escono maestri, funzionari, cadì, muftì, ecc. La popolazione scolastica indigena che nel 1911 era di 3.000 individui, nel 1936 era di 45.000”.

E non fu tutto. Uno sguardo particolare il governo fascista dovette rivolgere ai lavori  da eseguire nei preziosi siti archeologici, specialmente in quelli di Leptis Magna, la città dell’imperatore romano Lucio Settimio Severo (146-211 d.C.), non fosse altro per il principio che  “La romanità è connaturata con lo spirito del fascismo (pag. 19 op. cit.): Opera iniziata fin dal 1935 con gli scavi di Leptis Magna dove si rinvennero le celebri terme romane, la basilica e l’arco di Settimio Severo, il foro, il mercato, ecc. Ricorderemo il mercato di Sabrhata accanto al quale sono stati rimessi alla luce un tempio romano dell’epoca di Antonino Pio, una villa, un tempio dedicato a Giove. Così, in Cirenaica, l’archeologia ha messo in onore la Venere di Cirene, una statua di Apollo, le terme, un bellissimo tempio dorico. Cinque grandi musei sono sorti a Tripoli, a Bengasi, a Cirene, a Leptis Magna e a Sabrhata”.

Intanto vengono emanate leggi imperiali che modificano l’ordinamento della Libia a partire dal 10 aprile 1937-XV. Una di queste, 6° punto, prevede: “L’assegnazione in proprietà ai municipi della Libia a scopo di generale interesse per le popolazioni musulmane dei beni immobili, il cui valore ammonta a vari milioni, già confiscati ai ribelli”. Ed ancora, visto ormai che la colonizzazione è completata con fermezza: “E’ facoltà del Governatore Generale della Libia, stante la persuasione della forza e della giustizia italiane, sospendere i provvedimenti penali e l’esecuzione delle sentenze pronunciate nei confronti di cittadini libici. Viene estesa, inoltre, a questi ultimi, la concessione dell’amnistia e dell’indulto emanata in occasione della nascita del Principe di Napoli”.

Ma allora, a parte i discutibili e discussi interventi in Africa, “Duce docet” a proposito dei comportamenti assunti all’epoca nei confronti dell’Islam? Ma forse è l’etimo, “muslim” (plurale del persiano musliman = che aderisce all’Islam), che è comune al “maestro” di Predappio che lo ha fatto benevolo nei confronti dei seguaci della dottrina di Maometto.  Chissà  !

24-05-2020
Autore: Mario Nardicchia
Preside Scuole associate Unesco e Commissario Governativo Scuole Italiane all'Estero, a riposo.
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